“VIA” BENEDETTO CRAXI DALL’ITALIA

 

La decisione di dedicare una strada a Benedetto Craxi "da Milano" (detto Bettino) Martire sconsolato del primorepubblicanesimo italiano, in quel di Hammamet, ha rinfocolato le anime dei nostri politici nullafacenti che ogni tanto si accalorano su qualche tema secondario, data la loro nota incapacità di agire sulle questioni che contano. Eppure questa volta hanno ragione. Perché non dedicare una via a Craxi. VIA BETTINO DALL’ITALIA, appunto. Non ci si può davvero scandalizzare per l’evento. Craxi sarebbe in buona compagnia, con Crispi (che prima di lui si era fatto foraggiare dalla Banca Romana, è davvero antica tradizione italiana quella del finanziamento illimitato ai partiti!) con Cadorna ( Generale che resisteva al nemico fino al parossismo, tanto alla fine erano i soldati che morivano) con Scelba (il ministro degli interni che sparava sulle folle). E poi ancora tante e tante altre vie intitolate al (de)merito. In una cittadina in provincia di Bari (Locorotondo) ho potuto anche ammirare una via dedicata a Julius Evola, il teorico dell’individuo assoluto. Per non dimenticare la diatriba apertasi a Roma qualche anno fa, dove l’allora sindaco Rutelli si era deciso a dedicare un largo al gerarca fascista Giuseppe Bottai. Siamo il paese della riabilitazione postuma e del buonismo veltroniano. La toponomastica italiana è tutta un’assoluzione di personaggi discutibili, baroni, generali, politici, intellettuali che hanno riempito, col loro lavoro, le pattumiere della storia. E allora perché sottrarre a Craxi l’olimpo rovesciato dei personaggi infangati dalla storia ma tanto acclamati dai poveri post-moderni che oggi abitano l’Italia? Sia fatta, anche qui da noi, Via Benedetto Craxi. Tuttavia bisognerà specificare bene sotto la targa la motivazione di tanto alloro. Si scriva allora per intero: Via Bettino Craxi, simbolo del socialismo rampante di una perenne prima repubblica ancora viva, uomo del garofano rosso e di un sol dell’avvenir calante, dell’elezione alla massima carica del partito per acclamazione, delle alleanze con Andreotti e Forlani (CAF), simbolo della corruzione generalizzata di un paese schiavo dell’alleanza atlantica. Mi direte: e Sigonella allora? Quando tutti sono ugualmente servili in qualche modo ci si deve pur distinguere dalla massa. E Moro? Mica era stupido Craxi! Ve lo immaginate un Moro libero che scampa anche all’internamento in manicomio che i suoi amici di partito gli avevano riservato? Cosa avrebbe potuto combinare il politico leccese ai suoi poco sodali amici democristiani una volta fuori dal covo BR? Craxi era uno che vedeva lontano ed è finito lontano.

Di lui ricordiamo ancora la lotta contro la scala mobile ed il nuovo Concordato con la Santa sede nel 1984. Bettino il socialista, nemico del lavoro salariato e depositario di una tradizione anticlericale che veniva a patti con la chiesa cattolica. Bettino come mamma RAI, di tutto e di più. Certo, lo aveva fatto anche Togliatti ma in un diverso contesto di riconciliazione generalizzata post-dittatura, con i sogni di una rivoluzione comunista miseramente riposti nel cassetto degli assetti internazionali stabiliti a tavolino da URSS e USA.

Bettino Craxi, fu anche l’uomo che si bevve Milano in una pantagruelica orgia di potere politico e potere finanziario.

Ma Craxi, come ogni uomo troppo scaltro, s’identificò così tanto col potere che dimenticò la sua natura infida, pensò sé stesso come indispensabile laddove era solo congiunturalmente necessario. La logica intrinseca del potere è sempre finalizzata all’autoconservazione e alla riproducibilità progressiva (al passo col mondo che cambia sotto i suoi impulsi), che agisce i soggetti attraverso la sua dinamica oggettiva. Ma quando tale riproducibilità necessita  di una nuova propulsione si avvia una rivoluzione (dall’interno) che ne sovverte i gangli fondamentali mutandone obiettivi e funzioni. In questo sommovimento i servitori inservibili vengono trascinati nelle dentature della “ruota che gira”. Si compie il sacrificio necessario che ravviva l’essenza del potere. Craxi era troppo imbevuto di sé stesso per comprendere che il vento stava girando, lui era ormai divenuto pleonastico negli equilibri che mutavano e l’unica parte che poteva ancora giocare era quella dell’agnello sacrificale per la purificazione del sistema. La catarsi per i suoi “commilitoni” si compieva  col "latte" che lui versava per loro. Difatti, buona parte di questi co-legionari sopravvivranno al “venerabile” maestro che affondava. A nulla servirono gli ultimi mugugni del leader socialista per non sprofondare solo (o per salvarsi il culo): “…non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario quando affermo presto o tardi i fatti si inacaricherebbero di dichiaralo spergiuro”. Povero Craxi, pensava che trascinare tutti nella stessa polvere avrebbe contribuito a dare a ciascuno il suo disonore. Ma gli ex-PCI erano già d’accordo col Diavolo. In cambio dell’anima s’apprestavano a guidare il paese e a farsi nuova classe dirigente, senza il fardello del fu comunismo storico realizzato (eclissatosi definitivamentenel ‘91) che aveva imposto per anni una ininterrotta conventio ad excludendum. Lui, antonomasia rampante del potere avrebbe dovuto immaginarlo, poteva fare una fine più dignitosa sobbarcandosi in solitudine i mali di un sistema che aveva servito con protervia fino a qualche mese prima. Pensate un po’, quando la Camera nega l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti i più indignati sono proprio i picciisti ormai diessini, l’altra faccia scandalosa di un Italia ad “una direzione”, corrotta e sudicia fino al midollo. Si dimisero per la vergogna altrui, mentre tenevano ben nascosta la propria sotto il premio che doveva arrivare ma che gli fu scippato dal cavaliere di Arcore.

Come spesso accade nella storia, i giudicatori sono più luridi di chi subisce il giudizio (vedere il processo consumato a danno di Saddam Hussein). Pensate ai loschi piccìisti che parlavano a vanvera di “questione morale” da dare in pasto alle plebi lavoratrici (pur di non parlare di comunismo), mentre loro, nel consociativismo primorepubblicano, costruivano fortune politiche ed economiche. Una magistratura compiacente completò il duro lavoro. Quest’ultima aveva trovato i punti di contatto necessari tra le indagini che stava svolgendo e i nuovi equilibri fortemente voluti dall’alleato-padrone americano. Il pool di Mani Pulite non indagò mai, se non liminarmente, nella direzione ex-comunista. E come si poteva fare del resto? Qualcuno doveva pur rimanere in piedi per governare il popolo bue. E così, i personaggi scampati alla fine di quell’epoca sono oggi qui con noi e ci parlano pure: “il paese normale”, “la moralità politica”, “le riforme strutturali” “ i pacs” ed un mondo di infinite altre cazzate.

Oggi però Craxi viene riabilitato, anche da chi all’epoca se ne stette lontano da lui per paura di essere coinvolto. Gli italiani avevano emesso il loro giudizio prima della magistratura, si erano scagliati contro Gargantua all’uscita dell’Hotel Raphael, spronati dal pupone Rutelli e dell’insulso Occhetto. Gli lanciarono monetine (rivelando di non aver mai capito un cazzo sulla natura del potere) usando lo stesso accanimento con il quale gli avevano per anni leccato il culo perché adornato dell’aurea del potere. Siamo un popolo fatto così, usiamo meraviglia verso i potenti ma appena cadono nella pece sfoghiamo le frustrazione di esserci tolti il cappello di fronte a loro per tutta una vita.

Concludendo, sia fatta questa via a Bettino Craxi con l’auspicio di poter annoverare presto nella toponomastica italiana anche: Via Massimo D’Alema dall’Italia, Via Fausto Bertinotti dall’Italia, Via questa classe dirigente corrotta di destra e di sinistra dall’Italia. E’ tutto.