QUALE STRATEGIA DI POTENZA PER IL PAKISTAN? – I Parte – (liberamente tradotto da un articolo intitolato Quelle stratégie de puissance pour le Pakistan ? fonte www.infoguerre.com)

 

Dopo la suddivisione del 15 agosto 1947, è stato costituito un paese totalmente nuovo: il Pakistan. Questa parola fu inventata da un giovane del Pendjabi negli anni ’30: ciascuna lettera che compone la parola Pakistan fa riferimento alle varie province che compongono il paese (P=Punjab, A=Afghania, K=Kashmir, S=Sindh e TAN=BelucisTAN). All’epoca il paese era formato da due entità geografiche distinte: Il Pakistan occidentale e quello orientale (l’attuale Bangladesh).

Sin dalla sua creazione il Pakistan ha cercato di accedere allo statuto di potenza egemone divenendo un modello per tutto il mondo mussulmano. Malgrado i mezzi ridotti e gli antagonismi etnici, religiosi e linguistici, che hanno condotto a divisioni interne molto forti, il Pakistan è riuscito a divenire un attore di primo piano nello scacchiere geopolitico, sia dal punto di vista regionale che da quello mondiale. Inoltre è uno dei principali alleati degli USA nella guerra al “terrore islamico”. Ci si deve interrogare sulla natura di questo paese che è riuscito ad assurgere al ruolo di potenza regionale, se non addirittura mondiale, e che fa parte del club delle 8 potenze nucleari.

Qual è la strategia di potenza del Pakistan? E quali i fattori? Come si manifesta questa potenza? La sua alleanza con gli USA è tattica oppure solo opportunistica? (ed in quest’ultimo caso, deriva esclusivamente dal timore di non essere toccato dalla stessa sorte dei taliban in Afghanistan?).

 

Un paese in cerca della sua identità nazionale

 

Il padre fondatore del Pakistan, M. Alì Jinnah, sognava di creare uno stato forte che riposasse sul principio “una nazione, una cultura, una lingua”. Il Pakistan attuale è ancora molto lontano da tutto ciò ed è sottoposto a molte divisioni etniche, religiose e linguistiche. Queste fratture hanno reso complicato il processo di unificazione nazionale, impedendo al Pakistan di approntare una strategia di potenza duratura.

 

L’islam come vettore di unità nazionale

 

La lega mussulmana, costituita da mussulmani che erano emigrati dall’India chiamati “mohajirs”, ha sostenuto fortemente la nascita di questo paese. Il suo scopo era quello di proteggere i mussulmani indiani. Questi mohajirs, benché fossero una minoranza senza radicamento locale, a differenza dei pendjabi o dei bangladeshi, hanno permesso che lo Stato creato si cementasse sull’ideologia islamica. Era l’unico modo per superare tutti i contrasti etnici e culturali derivanti dal meltin pot pakistano. Tutti i presidenti succedutisi a Jinnah si sono, non a caso, richiamati all’islam. Sin dalla prima Costituzione del 1956 è stato stabilito che l’islam avrebbe dovuto essere il collante dell’unità nazionale. Il Generale Ayub Khan, il quale salì al potere nel 1958, fece scrivere nella Costituzione del 1962 che le leggi dello Stato non dovevano contraddire la sharia. Zulfukar Alì Bhutto pose i fondamenti di una vera politica d’islamizzazione nella Costituzione del 1973: venne sancita la corrispondenza tra ordine statale e ordine religioso a base islamica. Il Generale Zia, che rimpiazzò Bhutto nel ’77, mantenendo le redini del potere fino al 1988, mise in opera una politica d’islamizzazione ancora più forte. Nawaz Sharif, l’ultimo civile ad aver governato il Pakistan, fece introdurre un emendamento nella Costituzione pakistana secondo il quale lo Stato federale era tenuto ad applicare la sharia. Lo scopo di questi uomini era quello di dare al paese, attraverso l’islam, un’unità che oltrepassasse le differenze regionali.

Il Pakistan è un paese dove la maggioranza della popolazione è mussulmana, ma è altresì caratterizzato da una divisione fortissima tra sciiti e sunniti, ed all’interno degli stessi sunniti tra deobandi (riformisti) bareviti (tradizionalisti) e wahhabiti. I sunniti si considerano come i soli veri mussulmani ed hanno spesso cercato di far passare gli sciiti come non mussulmani.

 

Diversità di popolazioni e tensioni etniche  

 

Il Pakistan è una creazione dei mohajirs, letteralmente gli emigranti. Nel 1951 essi rappresentavano 1/5 della popolazione del Pakistan occidentale e circa il 2% di quello orientale, sono 7 milioni di persone in tutto. Già subito dopo la nascita del Pakistan, l’influenza dei mohajirs nella politica e nella società pakistane era superiore alla loro grandezza numerica. Forti della loro elite intellettuali e commerciali molti di loro si sono insediati nelle città del Sind, in particolare a Karachi. Questi hanno dominato lo Stato attraverso la lingua mussulmana, la funzione pubblica e le professioni liberali. Non da meno sono stati i pendjabi, per quanto quest’ultimi si fossero mostrati reticenti verso l’idea di costituire il Pakistan; i pendjabi hanno conservato il potere che già detenevano nelle province prima dell’indipendenza cercando di estenderlo al paese intero. Secondo il censimento del 1951 essi non rappresentavano che ¼ della popolazione ma formavano l’80% degli effettivi dell’esercito e occupavano il 55% dei posti amministrativi. I pendjabi occupano, inoltre, le terre più fertili del paese. Questo spiega come, accanto al gruppo dei mohajirs che detiene posizioni importanti nell’amministrazione e nel potere esecutivo, i pendjabi abbiano potuto avere un posto determinante nel Pakistan degli anni ’50. Questi due gruppi non hanno la stessa cultura politica e nutrono divergenze politiche, con interessi soci-economici profondamente dirimenti. Per la loro difficoltà d’integrazione culturale e sociale i mohajirs furono poco a poco esclusi dal potere. Questo declassamento fu sancito con il colpo di stato del 1958, da parte di un generale pendjabi, tale Ayub Khan. Dopo la secessione del 1971 del Pakistan orientale, i pendjabi sono divenuti circa il 69% della popolazione e sono iperrappresentati  anche nell’esercito dove occupano il 70% dei posti. Tuttavia, è un sindi, Z. Alì Bhutto, che succederà a capo dello Stato. Di fatto Bhutto concluderà con i pendjabi un accordo tacito per dividere la dominazione del paese tra pendjabi e sindi. Dopo la destituzione di Bhutto, con condanna a morte prontamente eseguita, il movimento nazionalista sindi conobbe una forte esacerbazione. Ma Zia, il successore di Bhutto, favorirà nuovamente i pendjabi a danno dei sindi. A questo seguirà una forte repressione del movimento sindi. Dopo una prima riappacificazione, i giochi politici porteranno al potere la figlia di Bhutto, la quale diverrà Primo Ministro. Questa alternanza incoraggerà i sindi a sottoporsi allo Stato pakistano abbandonando le velleità indipendentiste. Ma nel momento stesso in cui i sindi arretreranno, due altre minoranze, i beluci e i pashtun, attiveranno il loro nazionalismo.

Nel Belucistan, il movimento fu sottoposto ad una dura repressione militare che fece 5300 vittime. Il generale Zia giunse, tuttavia, a pacificare una parte dei nazionalisti liberando migliaia di prigionieri e amnistiando quelli rifugiatisi in Afghanistan. Il principale pomo della discordia  esistente tra beluci e potere centrale concerneva i diritti di sfruttamento dei giacimenti del gas. Una volta ancora i conflitti economici precedono quelli identitari. Ma il prammatismo crescente dei beluci, con le divisioni tra gli stessi leader autoctoni, le alleanze stringenti con i partiti nazionali e l’erosione del loro militarismo, hanno portato allo spegnimento del loro “foco” autonomista. Quanto alla comunità dei pashtun, invece, principalmente situata nella zona tribale, essa rivendica la creazione di uno Stato pahstun indipendente e la riunificazione con l’etnia pashtun afghana. Per questo c’è stato un problema di frontiere con l’Afghanistan, anche se queste rivendicazioni sembrano non essere più attuali. Tutti questi gruppi etnici difendono esclusivamente i loro interessi. Ciò determina molte tensioni che sfociano inevitabilmente nell’instabilità politica dell’intero Pakistan. (continua…)