RECESSIONE O VERA CRISI? di G.P.

 

I piccoli investitori dovrebbero, a forza di cazzotti in faccia presi negli ultimi tempi, aprire gli occhi su quello che accade nei mercati finanziari. Una giungla di prodotti spazzatura coperta dai giudizi sempre positivi emessi da agenzie di rating, nient’affatto obiettive, che hanno come compito principale quello di ratificare l’apparato ingegneristico finanziario grazie al quale gli speculatori si fottono tra loro e fottono, soprattutto, i piccoli risparmiatori.

Queste agenzie non servono proprio a niente e men che meno ad avere informazioni sul reale stato di salute delle imprese che operano sul mercato e sui prodotti che queste esitano (siano essi output finanziari o più strettamente materiali).  Come era già accaduto per Parmalat, le solite agenzie di rating “a delinquere” avevano emesso, fino all’ultimo momento, giudizi “inconfutabili” sulla solvibilità di un’impresa che era già bella che fallita, mentre i “re di denari” della finanza si liberavano, a spron battuto, dei titoli posseduti in portafoglio, rifilando ad ignari risparmiatori carta igienica del tipo più ruvido, fatta passare per un’ottima occasione di profitto. Gran parte delle nostre banche sapeva dello sprofondamento dei Tanzi eppure continuava a presentare ai propri clienti tutta una serie di titoli dal rendimento assicurato, buoni per lo più ad attirare le allodole verso il buco nero che si sarebbe, di lì a breve, mangiato tutti i loro risparmi.

Adesso è scoppiata la bolla dei subprime negli Usa che minaccia di sconvolgere la tenuta delle principali borse mondiali. I soliti guru dell’ideologia capitalistica si sono subito impegnati negli esercizi di minimizzazione del danno, sostenendo che il mercato sarà in grado di ammortizzare lo scossone già nelle prossime settimane. I grandi “esperti” confidano, una volta di più, sulle capacità riequilibrative del mercato e sull’intervento delle banche centrali, le quali stanno aprendo un ombrello di protezione contro la pioggia di derivati finanziari abbattutasi sugli USA, ma che ha portato i suoi nuvoloni sui cieli europei ed asiatici. Del resto, le banche centrali (FED, BCE, Bank of Japan, ecc.) hanno iniettato nel circuito monetario quasi 300 mld di euro, mica una bazzecola, al fine di evitare la crisi di liquidità a breve termine, quella che rischia di strozzare l’economia mondiale. In verità, tra ottimisti (tanti) e pessimisti (pochi) il balletto delle opinioni rivela quanta aleatorietà vi sia nel cipiglio degli esperti che fingono di aver capito tutto mentre non sanno che pesci pigliare. L’unica certezza che cogliamo noi poveri mortali, a digiuno di specialismo finanziario, è che le principali banche centrali sono intervenute a sostegno dei funamboli del mercato speculativo con incredibile prontezza. Sotto la coltre ideologica dell’intervento riparatore, atto ad evitare una crisi ancor più incipiente, si cela, invece, il solito sostegno a favore dei principali operatori capitalistici che privatizzano al massimo i profitti e ne socializzano le perdite. Ad esempio, siamo proprio sicuri che la faccenda dei subprime sia il sintomo di una crisi di liquidità del sistema? Oppure si tratta di una vera e propria crisi d’insolvenza da parte di alcuni attori capitalistici? Da più parti viene detto che l’indebitamento eccessivo delle famiglie, le quali non riescono ad onorare le rate dei mutui contratti, sarebbe alla base di questa debacle dell’economia mondiale. In parte questo è vero se si pensa che il 13% delle famiglie americane si trova in questa situazione d’insolvenza, ma non sarà che ciò che preoccupa maggiormente le varie banche centrali sia l’incapacità delle imprese più grandi di rientrare dai propri debiti? La bufala del liberomercato in liberomondo dimostra per l’ennesima volta la sua diafanità, e la mano invisibile dell’equilibrio assomiglia sempre troppo ad una stampella di natura istituzionale. Insieme alle famiglie risultano insolventi anche le società immobiliari e gli hedge found (oltre a tanti altri fondi esposti al mercato dei mutui, quindi non solo subprime). Forse è proprio qui che si nasconde il problema più  mastodontico (la contraddizione principale si potrebbe dire). Vogliamo ricordare che gli hedge found non sono sottoscrivibili da chiunque ed occorre molto denaro per giocare in questi fondi che sono spesso fuori dalla portata dei cosiddetti piccoli risparmiatori.

Gli hedge found, inoltre, non hanno vita lunga (mediamente dopo due anni finiscono per azzerarsi a causa di qualche speculazione sbagliata) ma chi riesce a giostrare tra la vita e la morte di questi fondi, spostandosi tra l’uno e l’altro prima di ogni default, può accumulare brevemente fortune incredibili. In sostanza, il timore delle banche centrali è più per i rischi di propagazione della crisi sull’economia reale che non sulla rotta dei piccoli risparmiatori. Di fatti, con l’attuale crisi finanziaria le imprese che in questi anni hanno potuto contare sui prestiti facili vedranno ri-prezzato il rischio sul proprio debito, con rendimenti (interessi più elevati) più confacenti rispetto alla loro reale situazione produttiva. Tanto che, alla fine, l’iniezione di “fiducia” voluta dalla banche centrali potrebbe rivelarsi solo un sottile involucro “ritardante” di una catena di fallimenti (fisiologicamente prevedibili in regime di competitività capitalistica) che sta assumendo i caratteri del terremoto proprio perché tante imprese hanno potuto “cabotare” tra i debiti grazie ai prestiti facili rinvenienti dalla propensione all’azzardo degli speculatori. Insomma, le imprese meno competitive erano destinate a fallire già da molto prima ma hanno retto grazie a chi ha concesso loro prestiti senza garanzie di solvibilità.

La situazione resta complicata e coincide fortemente con le difficoltà dell’economia americana. Staremo a vedere chi ne farà le spese.