ALCUNE CONSIDERAZIONI SUGLI ULTIMI AVVENIMENTI DI NATURA FINANAZIARIA di F. D’Attanasio

 

Si ritorna a parlare di problemi finanziari a carattere internazionale e sembra che si siano verificate le prime avvisaglie di ciò che molti analisti, economisti ed esperti vari lasciavano solo trapelare moto pallidamente nei loro discorsi ma che non hanno mai detto chiaramente. Chiunque segua con un po’ di attenzione queste discussioni e dibattiti si sarò reso conto di quanta incertezza siano carichi gli stessi, considerando anche il fatto che il più delle volte è molto difficile decifrarne completamente il significato. In linea generale, per quel che ne ha potuto capire una persona inesperta come me il quale spesso si cimenta nel cercare di capirci qualcosa, penso si possa dire che gli esperti di ogni ordine e grado in genere tendono ad essere ottimisti su quel che possono essere gli esiti di certe situazioni economiche-finanziarie che si vengono a consolidare a livello nazionale e/o internazionale. Il copione è sempre lo stesso, alla fine di ogni bella disamina le conclusioni sono sempre identiche a se stesse, chiunque le pronunci o scriva: un invito ai risparmiatori ad avere fiducia poiché i fondamentali dell’economia rimangono buoni ed il futuro non è affatto così “nero” come qualcuno si diverte a dipingere magari per il solo gusto di seminare paura e sconforto tra la gente. Mi rimane alquanto difficile pensare che questi “guru” dell’economia esprimendosi con siffatti toni lo facciano in buona fede, penso al contrario che la loro strategia di fondo sia di far abboccare i “pesci” piccoli a tutto vantaggio dei grossi operatori finanziari. Però penso ci sia un’altra verità, come La Grassa ha descritto bene in un suo ultimo intervento sul blog ripensaremarx, vale a dire che anche questi “emeriti professori” non hanno comunque completamente il polso della situazione trattandosi appunto di questioni molto complesse le cui variabili in gioco sono infinite. Nella stragrande maggioranza dei casi le loro previsioni anche nel breve termine, si rivelano  completamente sbagliate; ma ciò che più irrita è proprio il fatto che nonostante ciò, tali “professori” continuano ad essere considerati tali e gli si continua imperterriti a lasciare spazio in ogni dove in maniera tale che possano ancora a lungo indisturbati a turlupinare l’opinione pubblica. Il punto è che quando si verificano situazioni di crisi (le quali possano essere di varia natura e portata) chi ci rimette le penne sono sempre i piccoli risparmiatori, gli effetti sono più o meno traumatici a seconda dell’entità delle stesse. Come dimenticare i casi dei bond e delle azioni della Cirio e della Parmalat? Le agenzie di rating, seppur ben informate sul reale stato finanziario di queste società, emettevano giudizi positivi fino a qualche giorno prima della debacle, mentre le banche alla svelta si liberavano dei titoli di dette società mollandole agli ignari risparmiatori per giunta loro clienti. Ditemi voi se questa non è delinquenza pura appannaggio esclusivo di chi detiene realmente il potere. Ma ritorniamo ai fatti più recenti, vale a dire alla crisi dei mutui americani. Ciò che a me ha colpito maggiormente di primo acchito dell’intera vicenda è stato il seguente fatto: tra Giovedì e Venerdì scorsi la Bce per far fronte alla forte richiesta di liquidità da parte delle banche europee esposte ai mutui americani interviene a più riprese assicurando più di 150 miliardi di euro al sistema, mentre la Federal Reserve fa altrettanto ma con una, per così dire, piccola differenza, vale a dire l’iniezione di denaro da parte della banca centrale americana ammonta appena a 40 miliardi di dollari cioè, considerando il rapporto di cambio, di meno grosso modo un quarto dell’esborso fatto dalla sua consorella europea. La ragione è semplice e va individuata nelle cosiddette cartolarizzazioni: le istituzioni finanziarie americane dopo aver concesso mutui in maniera molto facile, cioè anche a chi era ad alto rischio di insolvenza (cosa che in Europa non è affatto possibile, sappiamo anche in Italia che affinché una qualsiasi banca possa concedere un mutuo deve avere delle garanzie molto stringenti da parte di chi ne fa richiesta) li hanno venduti a loro volta, dopo averli divisi in tanti pezzi, a terzi investitori. A conti fatti dunque, alla fine della partita, i più esposti a questa crisi sono risultate paradossalmente proprio le banche europee e non quelle americane, quindi gli europei oltre a non poter accedere ai prestiti a condizioni facilitate come gli americani, subiscono la beffa di doversi accollare le conseguenze negative derivanti dall’insolvenza di chi ha ottenuto facilmente prestiti negli USA. Come è possibile che le banche europee si espongano così tanto rispetto ad investimenti rischiosi, molto di più di quelle americane? Può essere considerato questo un’ulteriore dimostrazione della dittatura finanziaria americana sull’Europa? Io penso proprio di sì, si pensi solo ai cosiddetti parametri di Maastricht. Mentre gli USA si possono permettere di essere bellamente il paese più indebitato del mondo sia per quanto riguarda la bilancia dei pagamenti che il bilancio federale, per i paesi dell’Unione Europea è prioritario l’abbattimento del debito pubblico. Allora non sono stati questi parametri congeniati per cercare di tenere in equilibrio un sistema del genere grazie al dirottamento di grandi risorse finanziarie (ottenuto fra l’altro, aspetto questo non di second’ordine, con le finanziarie così come vengono varate in Italia) dall’Europa agli Usa? Come può un paese o un sistema di paesi (se tale può essere considerato l’Unione Europea) rilanciare un proprio sviluppo economico-produttivo se la classe dirigente politica, in presenza di una classe imprenditorial-finanziaria completamente parassitaria come è quella italiana, è impossibilitata a ricorrere all’indebitamento per reperire le risorse necessarie da investire nei settori più strategici ed avanzati dell’economia? Il punto è che i risparmi che vengono conseguiti nell’area dell’euro, dovendosi rispettare i famigerati parametri, diventati oramai un dogma indiscutibile ma che tali in realtà non possono essere, vengono dirottati negli USA per finanziarie l’indebitamento di questo paese grazie proprio all’azione egemonica congiunta, politica e finanziaria, del potere americano di cui le nostre classi sub-dirigenti preferiscono essere felicemente succubi. Ma a questo punto voglio cogliere l’occasione per ricordare quanto avvenuto nel lontano (si fa per dire) 1992: un episodio, a mio avviso, cruciale per le sorti economiche e sociali del nostro povero paese. Con svendite a rotta di collo e a vastissimo raggio della nostra valuta nazionale viene lanciato, da parte di apparati finanziari vicini agli anglo-americani, un attacco speculativo che porta a una svalutazione della lira del 30% ed al prosciugamento delle riserve della Banca d’Italia con Ciampi che, per arginare la catastrofe, arriva a bruciare 48 miliardi di dollari. I due massimi responsabili della lira erano in quel momento Carlo Azeglio Ciampi, governatore, e Lamberto Dini, direttore generale della banca centrale, poi diventati presidenti del consiglio dei due governi tecnici responsabili delle privatizzazioni su tutto il fronte e di tagli micidiali alla spesa pubblica, come suggerito da Maastricht. Tutto ciò avviene in concomitanza di una, a quanto pare importantissima riunione, tenutasi al largo di Civitavecchia sul panfilo più lussuoso e prestigioso del mondo: il "Britannia" della regina Elisabetta. Oltre alla sovrana, tra i passeggeri figurano i rappresentanti delle banche più importanti e manovriere della finanza anglo-americana, e per l’Italia, Mario Draghi, Beniamino Andreatta, collaboratore di Romano Prodi e, privo però di conferma, il ministro del Tesoro Barucci. Le procure di Roma e Napoli tentarono addirittura di aprire dei procedimenti penali a carico di detti personaggi per aver provocato la svalutazione con mezzi illeciti della moneta nazionale e dei titoli di Stato (aprendo poi le porte alla cannibalizzazione dell’economia italiana da parte delle forze finanziarie straniere in primis statunitensi), ma il tutto come sempre succede in tali situazioni svaporò nel nulla. Una crisi che portò anche allo scioglimento del Sistema Monetario Europeo (SME). Nell’incontro segreto sulla barca della regina si era, tra le altre cose, complottata la completa privatizzazione delle partecipazioni statali – asse portante dell’economia italiana – a prezzi stracciati grazie alla svalutazione. Presidente del Consiglio allora era Giuliano Amato. Prodi successivamente ed in perfetta contiguità con questo piano criminale governò in prima persona lo smantellamento dell’IRI. Passarono in mani straniere, oltre a buona parte del sistema bancario, i colossi dell’energia e delle comunicazioni, l’IRI, Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Galbani, Neuroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Perugina e molte altre aziende dei settori strategici. L’Italia diventa così quella colonia buona per tutte le rapine, esterne ed interne, con la partecipazione attiva dei massimi rappresentanti del mondo politico ma soprattutto dell’area detta di centro-“sinistra”. Importante fu chiaramente anche il ruolo delle agenzie di rating, la maggior parte delle quali americane, che si accanirono contro l’Italia declassando i Bot e contribuendo così allo tsunami sulla nostra moneta. Effetto collaterale della cospirazione fu lo smantellamento dello SME e, quindi, una botta micidiale all’Europa che Bettino Craxi attribuì a "potenti interessi, avversari dell’Unione Europea, che pare si siano mossi allo scopo di spezzare le maglie dello SME". Cinque anni dopo Mario Draghi, uno dei massimi protagonisti dello sfascio italiano, diventa vicepresidente di una delle più potenti realtà finanziarie del mondo, la Goldman Sachs (statunitense), come premio per i servigi resi; successivamente ancora, come sappiamo, viene messo a capo della Banca d’Italia, instaurando così un conflitto d’interessi da ridurre quello di Berlusconi a truffa da Monopoli, conflitto tra la sua passata affiliazione nella banca d’affari americana (ma con legami oggigiorno ancora ben vivi e stretti con i più potenti apparati finanziari d’oltre atlantico) e quello che dovrebbe essere il suo ruolo di salvaguardia della nostra moneta e, dunque, della nostra economia. Alla manovra sull’Italia, ne comunque seguirono altre, su Tailandia, Malaisia, Indonesia, Singapore e fu la fine, o almeno il ridimensionamento di quelle "tigri asiatiche" che tanto avevano disturbato le strategie egemoniche imperialiste degli USA. 

 

13 Agosto