GLI ESTERI…..CHE PASSIONE! di G. La Grassa

 

Mi rendo conto che, di fronte alla rozzezza e ottusità irritanti della destra, gli atteggiamenti alla D’Alema in politica estera fanno tirare sospiri di sollievo a molti antimericanisti e antimperialisti (e antisionisti). Tuttavia mi porrei il quesito: è credibile che l’aggressore della Jugoslavia, al servizio di Clinton (democratico), sia divenuto autonomo e indipendente rispetto alla politica imperiale statunitense? E come si spiegano le decisioni contrarie sull’Afghanistan (condite di dichiarazioni svianti e bassamente furbesche, del tipo “nemmeno Cina  e Russia ci chiedono il ritiro”, già da me considerate qualche tempo fa) e sull’invio delle nostre truppe in Libano? Si tratta forse, in questi casi, di missioni di pace, di interventi atti a riportare la democrazia in quei paesi?

Credo si rimanga ingannati da questi ipocriti e mentitori della sinistra italiana, se si continua ad essere antiamericani per partito preso, in generale. Dobbiamo assumere una stella polare: essere coerentemente antiegemonici. Nemmeno direi antimperialisti, un termine che oggi rischia di confondere le differenti fasi storiche, mono o policentriche, del sistema capitalistico mondiale. Noi siamo contro la politica imperiale (egemonica globale) degli USA in quest’epoca che è ancora, per l’essenziale, monocentrica, anche se mi sembra che la direzione di marcia si sia invertita e siamo all’inizio (solo inizio) di una fase di transizione al policentrismo, però ancora abbastanza lontano. In questa congiuntura, gli USA – negli ultimi 12 anni, e in particolare dall’11 settembre 2001 – hanno attuato una strategia fortemente aggressiva. Non mi sembra che i risultati complessivi siano stati particolarmente buoni.

In diversi paesi – anche in Italia con “mani pulite”, ma poi in Russia (con Eltsin), in Georgia e Ucraina, nelle Repubbliche centro asiatiche, ecc. – gli USA hanno cercato di utilizzare i rinnegati del “comunismo”, una volta sprofondato quest’ultimo nel 1989-91, per instaurare una loro preminente influenza. Si sono inoltre scatenati contro il mondo arabo in una serie di aggressioni; hanno trascurato la zona ai propri confini (il Sud America) per lanciarsi in operazioni di conquista in tutta la zona dal Medioriente fino all’Afghanistan, sia per il controllo delle fonti di energia che per ragioni geopolitiche tese ad impedire l’ascesa e il considerevole rafforzamento di Russia (una volta liberatasi del suddetto Eltsin), Cina, ecc. Mi sembra che, a questo punto, il fallimento di tale politica sia, se non proprio ancora assicurato, certo molto probabile. Sono quindi convinto che, negli stessi USA, è iniziata la discussione intorno alla necessità di una revisione di strategia che, ove riuscisse, non indebolirà affatto i progetti di egemonia complessiva, ma comporterà un nuovo modus operandi imperiale.

Quando Hillary Clinton dice che, se vincesse le prossime presidenziali, si ritirerebbe dall’Irak, può essere che mentisca, ma più probabilmente afferma una verità parziale. Gli Stati Uniti non se ne andrebbero di punto in bianco, lascerebbero magari dei presidi; certamente non vorranno però, perché non potranno, perpetuare lo stesso atteggiamento aggressivo (da estendere pure all’Iran) dell’attuale amministrazione Bush. Analoghe considerazioni valgono per l’Afghanistan (e dunque Pakistan). Non credo che gli “occidentali” (al seguito del paese egemonico centrale) riusciranno a tenere a lungo le attuali posizioni in quella zona, e quindi sono destinati ad andarsene (più o meno completamente). Gli USA saranno allora necessariamente costretti a scegliere una differente politica egemonica: la più probabile, fra le possibili alternative, sembra quella di rinsaldare decisamente i legami con l’India e rendere ancora più stretti quelli con il Giappone.

E’ in questo contesto che va giudicata la politica estera del nostro “inquieto” e ondivago Governo di centrosinistra. La destra, quasi al completo, gioca praticamente tutto sul filoamericanismo (e filosionismo) comunque; pronta a tutte le evenienze, anche di un cambiamento di colore della presidenza USA e di strategia egemonica. La sinistra – almeno una buona parte (perché le divisioni appaiono qui nette) – punta le sue carte sul prossimo mutamento di quest’ultima. Una eventuale non marginale modificazione della politica in Irak e verso l’Iran (con riflessi sulla concomitante aggressività israeliana in Palestina e in Libano) enfatizzerà nuovamente – almeno alcuni “sinistri” lo sperano – il ruolo dell’Italia in quanto “naturale portaerei” nel Mediterraneo, quindi di rilievo per la politica imperiale nei confronti del mondo arabo e dintorni. C’è però il problema decisivo per gli USA che è quello del contenimento di Russia e Cina, tentando magari di sfruttare i possibili contenziosi tra le due, i loro non convergenti interessi “futurimperialistici”. Sapere in anticipo chi, fra destra e sinistra, sarà più utile alle nuove scelte egemoniche statunitensi non è al presente per nulla facile. Anche perché due pilastri (pur deboli) dell’antiamericanismo in Europa – Germania e Francia – sembrano in fase di sbaraccamento. La Merkel è ormai apertamente schierata (ma la coalizione che ha dato vita al Governo tedesco non durerà in eterno); in Francia – o Sarkozy o (forse persino peggio) Royal – il risultato delle prossime elezioni presidenziali dovrebbe comunque condurre ad un netto riavvicinamento agli USA. Se tali processi giungessero a quella che appare in questo momento la loro logica conclusione, ne verrebbe diminuita la rilevanza geopolitica dell’Italia.

In ogni caso, sarebbe ridicolo appoggiare, sia pure per deteriore tatticismo, i timidi tentativi “similautonomisti” della nostra politica estera. Bisogna costruire tutta un’altra impostazione politica, pur se si è in “quattro gatti”. Soprattutto negativo è il “pacifismo senza ma e senza se”. Sarà sconfitto quanto prima (in gran parte lo è già). Occorre compiere una analisi della struttura capitalistica mondiale senza gli abborracciamenti e l’approssimazione dei “gruppastri” odierni sedicenti comunisti o movimentisti (la “sinistra radicale”, la peggiore forza politica esistente in campo, fatta apposta per impedire che cresca qualcosa di nuovo e di efficace). E’ veramente improrogabile appoggiare nuove forze. Non sono molto visibili, comunque estremamente deboli. Le speranze di rinascita di un qualche anelito indipendentista (serio, non parolaio e imbelle) in Europa e, in particolare, nel nostro paese sono pochine. Tuttavia, se c’è qualche possibilità, non va minimamente riposta in questa sinistra, nemmeno in quella che si crede radicale o coerentemente antimperialista; magari qualche piccolo gruppo è in buona fede, ma se non esce da analisi molto parziali e deformate da un cattivo “marxismo” (di un’altra “era” geopolitica, o addirittura “geologica”), non muoverà il più piccolo passo nella “giusta” direzione. La situazione è sconsolante, ma si deve insistere.

 

7 febbraio