FINANZA = CORRUZIONE + METASTASI POLITICO-CULTURALE

di Gianfranco La Grassa

 

Ancora una volta, debbo notare che una delle rarissime teste pensanti, in tutto l’arco delle forze politiche (e giornalistiche), è questo Geronimo. Dico anche, con molta franchezza, che nutro perplessità poiché non mi è molto chiaro quale scopo “ultimo” persegua; e troppo spesso noto che egli assesta “un colpo al cerchio e uno alla botte”. Tuttavia, sa cogliere aspetti nascosti e punti di debolezza che gli altri o non vedono o nascondono per disonestà e complicità pure e semplici.

Il 7 febbraio egli ha criticato abbastanza esplicitamente le dichiarazioni di Draghi a Torino, incensate invece sia da destra che da sinistra, che hanno piegato in modi opposti il discorso di questo personaggio assai sfuggente. Le osservazioni di Geronimo fanno ben capire come sia possibile questa duplice interpretazione delle parole del “banchiere centrale”; anche se non mi convince che l’ambiguità di quest’ultimo sia vista dal politico-giornalista come l’alternato contrapporsi di una dichiarazione “coraggiosa” (non so dove si possa rilevare questo coraggio) ad un silenzio che denota “complicità” (invece esistente nei confronti del Governo e dei grandi poteri finanziari che vi stanno dietro). L’ultima parola dell’articolo di Geronimo è appunto “complicità”, ma durante tutto lo scritto si fa fatica a trarre questa conclusione. Vorrei ricordare che, quando fu fatto fuori Fazio e si stava ventilando l’ipotesi di sostituirlo con Draghi (già direttore generale del Tesoro all’epoca del primo Governo di centrosinistra), proprio Geronimo scrisse che, se questa fosse stata la scelta (e fu poi questa), l’Italia sarebbe stata di fatto posta in vendita (anche quella volta si trattava comunque di un’affermazione non del tutto esatta del suddetto: in effetti, l’Italia non era in vendita, ma più semplicemente già vendutasi da tempo, destra o sinistra che fosse, agli USA, della cui principale banca d’affari, la Goldman Sachs, l’attuale “banchiere centrale” era vicepresidente fino al momento della sua nuova nomina).

In ogni caso, bisogna comprendere non tanto perché Draghi appaia così ambiguo (in realtà, essendo appunto “complice” del Governo e dei grandi poteri finanziari), quanto perché proprio lui (avendo così forti legami con il suddetto organismo finanziario americano) sia stato nominato al posto che occupa. La Banca centrale avrebbe il compito di controllare le altre banche, ma è veramente indipendente da queste (così com’è negli USA, in Inghilterra, Germania, Francia, Spagna e altri paesi, dove lo Stato è proprietario di tale Istituto)? Vogliamo vedere chi ha le quote del capitale azionario della Banca d’Italia? Il gruppo Intesa (con varie casse di risparmio annesse) ha il 27,2%, il gruppo San Paolo-Imi (idem come appena detto) il 17,2% (quindi, adesso, il gruppo Intesa-San Paolo, ormai fusosi, ha il 44,4% del capitale azionario della Banca centrale); il 6,3% spetta alle Generali (in una posizione poco chiara, ma non scordiamoci che il presidente di questa società, Bernheim, è stato nominato vicepresidente della “SanIntesa”), l’Unicredit il 10,9%, il Monte Paschi il 2,5%. E’ vero che queste ultime due banche non sono strette alleate dell’Intesa-San Paolo, anzi c’è sorda conflittualità fra loro; ma per il momento stanno alla finestra (forse per capire che cosa accadrà), e comunque si tratta sempre di banche con riferimento politico nel centrosinistra (la prima verso Margherita-DS, la seconda verso i DS). Se si fa la somma, si noterà che questi gruppi finanziari (lo ripeto: tutti comunque, in varia guisa, rappresentati politicamente dalla sinistra) hanno il 64,1%, una schiacciante maggioranza. Abbiamo quindi questa bella situazione: la Banca Centrale dovrebbe controllare i suoi controllori. Ma questa sinistra truffaldina non urlava contro il “terribile” conflitto di interessi di “qualcuno”?

Non è sempre stato così, perché al tempo dell’IRI (creato dal fascismo e conservato dal regime DC), le grandi azioniste della Banca d’Italia – in particolare la Commerciale (che fu diretta dal prestigioso Mattioli, amico di Sraffa, Gramsci e Togliatti; e anche del mio maestro Pesenti) e il Credito Italiano – erano statali. Il 30 giugno del 1993, Ciampi e Prodi (presidente del Consiglio e presidente dell’IRI; uno appartenente all’accolita laico-azionista, l’altro a quella cattolico-parrocchiale) diedero il via alla stagione delle privatizzazioni, partendo appunto dall’apparato bancario. L’arretrato capitalismo italiano delle “grandi famiglie” (riunite nel “salotto buono” della Mediobanca) acquisì, con poche centinaia di miliardi, il pieno controllo di banche con capitali di migliaia di miliardi. Gli spudorati di sinistra hanno scritto innumerevoli pagine contro Craxi che favorì l’ascesa di Berlusconi (e chi favorì negli anni 60-70 quella dei Benetton?); questo è assolutamente vero, solo che fu un bruscolino se rapportato ai favoritismi patrocinati dal duo precedentemente citato nei confronti del veterocapitalismo predatorio italiano mediante le privatizzazioni. Fra le varie prede ci furono appunto le grandi banche, azioniste di maggioranza di quella Centrale. Ricordo, per gli smemorati, che il 1993 cade all’epoca di “mani pulite”, una ormai scoperta manovra di certa sinistra – con il sostegno dei rinnegati del comunismo (falso) – a favore dei più parassitari gruppi del capitalismo italiano in pieno atteggiamento servile verso gli USA, da dove prese inizio quell’operazione di “cambio di regime”. 

    

Torniamo ai giorni nostri. Nel mentre il Governo in pochi mesi bastona a dovere il sedicente “ceto medio” (in realtà il lavoro autonomo), toccando però pure quello dipendente e perdendo fortemente in termini di consenso (perdita sopportabile solo per l’esistenza di una opposizione inetta e divisa), il duo cattolico Bazoli-Prodi (il secondo essendo semplice maggiordomo politico del primo, e quindi eventualmente intercambiabile) parte all’occupazione di ogni posizione di potere possibile e immaginabile. Viene favorita la fusione tra Intesa e San Paolo. In questo caso, l’ideologia della “liberalizzazione” per favorire la concorrenza e avvantaggiare i consumatori (le vergognose associazioni dei consumatori, tutte di sinistra, hanno avallato simile operazione ideologica!) non vale più; vale invece l’aumento delle dimensioni aziendali per portarsi in condizioni migliori ai fini della competizione con gli ancora più grandi gruppi finanziari europei, per non parlare dei giganti statunitensi e giapponesi. Allora, in questo caso, l’oligopolio e la concentrazione di potere vanno benissimo anche per l’Antitrust, per la Consob, ecc. L’ideologia liberista è del resto sempre “a geometria variabile”.

Il colosso finanziario parte all’attacco di altre posizioni di potere (l’obiettivo ultimo essendo sempre Mediobanca per poi controllare definitivamente le Generali, perché l’intreccio di poltrone a favore di Bernheim, già accennato, non è sufficiente). La “SanIntesa” ha come propria rappresentanza politica, in modo del tutto particolare, quella frazione di (sedicente) sinistra che si rifà a Prodi. Questa parte della finanza e del ceto politico piazza propri uomini un po’ dappertutto. Cito, a caso, Ciucci (ex “commilitone” di Prodi all’IRI) messo a presiedere l’Anas, Gnudi l’Enel, Cipolletta le Ferrovie, Prato la Fintecna; Guzzetti (già da tempo) è alla Cariplo (questo è un vero “amico” che collabora a tutte le varie imprese del “duo cattolico”), Giarda alla Banca Popolare italiana, Tantazzi alla Borsa spa, il generale Cucchi (che ha lavorato nella Nomisma, la società di Prodi) al Cesis (servizi segreti). E adesso si pensa anche alle Forze Armate, all’Ansa ecc. Importantissima la nomina di Iozzo – che è stato al vertice del San Paolo fino alla fusione e che, in un primo tempo, si pretendeva vi rimanesse malgrado la nuova nomina – alla presidenza della CDP (cassa depositi e prestiti), ufficialmente “pubblica” (ma vedete da chi è controllata!).

Ho già indicato in un mio precedente scritto sul blog (Emergenza!) la funzione che si intende assegnare a questa CDP nella creazione del Fondo italiano per le infrastrutture pubbliche (F2I). Rinfresco la memoria. Tale fondo sarà controllato da: CDP (15% delle azioni), Intesa-San Paolo (10%), Unicredit (10%), Montepaschi (5,7%), sei fondazioni bancarie (tra cui quella del San Paolo, la Cariparo, la Cariplo, ecc.), tutte legate alle banche precedenti, con l’11,4%. Come vedete, sempre i soliti “noti”! Alla presidenza del Fondo F2I chi troviamo? Vito Gamberale, ex ad (amministratore delegato) di Autostrade, dimessosi perché contrario (in accordo con il Governo del maggiordomo di Bazoli) alla fusione con la spagnola Abertis; in nome di quella italianità delle imprese, sbeffeggiata all’epoca in cui Fazio voleva favorire i “furbetti del quartierino” (che osavano scalare l’RCS, il santuario del capitalismo predatorio italiano, editore del fogliaccio di disinformazione, il Corriere della Sera) contro l’olandese AbnAmro e la spagnola Banco di Bilbao. Noto per inciso che, al posto di Gamberale in Autostrade, vi è comunque adesso Gros Pietro, considerato “amico” del malefico duo cattolico, così come un altro uomo loro attribuito, Clò, si trova nel cda (consiglio di amministrazione) della stessa società.

 

Quali sarebbero i compiti di questo F2I, in stato di avanzatissima progettazione? Gli stessi del piano Rovati (Prodi), si dice stilato da Costamagna-Tononi (quest’ultimo viceministro dell’economia) che fino a pochi mesi fa erano dirigenti della Goldman Sachs, punta di lancia del dominio finanziario americano nel nostro paese, e dunque importante “suggeritrice” anche del gruppo “SanIntesa”. Rispetto al piano Rovati, gli appetiti del F2I sono però maggiori. Non si vuole prendersi soltanto la rete fissa della Telecom (mettendo con le spalle al muro Tronchetti, per i ben noti motivi). A questa si vogliono unire pure la rete elettrica della Terna (di cui la CDP ha già il 29,9%) e quella della Snam attualmente dell’Eni, smembrando e indebolendo così questa nostra decisiva impresa (una delle pochissime grandi che non fa parte del capitalismo predatorio italiano). Infine, il F2I dovrebbe controllare tutta una serie di progetti relativi a porti, aeroporti, autostrade (avete capito il perché degli impedimenti posti ai Benetton rispetto alla fusione con la Abertis?).

Importante è soffermarsi sulla questione della Snam. Vi ricordate quello che ho sopra detto circa la fusione di Intesa e San Paolo? Essa è stata benedetta da Antitrust, Consob, economisti e giornalisti di destra ma soprattutto di sinistra, ecc.; tutti favorevoli al “libero mercato”. La creazione di un grande oligopolio finanziario è anzi considerata ancora poca cosa rispetto ai colossi stranieri. L’italianità (eccola nuovamente in campo!) esige ulteriori ingrandimenti oligopolistici ai fini delle “benedette” sinergie, con riduzione dei costi e i soliti (immaginari) vantaggi per i consumatori. Tutto questo ragionamento non vale invece per l’Eni. Qui no, apriti cielo! Il vantaggio per i consumatori è che una grande impresa – da sempre promotrice di una politica (capitalistico-imprenditoriale) piuttosto efficace – vada smembrata a favore del F2I controllato dai gruppi finanziari già considerati (con la ciliegina della finta “pubblica” CDP, presieduta da un uomo dei finanzieri in oggetto), tutti sostenitori (e “padroni”) del Governo di centrosinistra (il loro fogliaccio invitò ufficialmente a votarlo l’8 marzo con editoriale di Mieli). Questa è la “geometria variabile” già citata. Perfino l’Antitrust, una volta tanto ma molto timidamente, ha avanzato la proposta di ripensarci nel 2009 onde non indebolire l’Eni in un momento delicato, in cui siamo a rischio con i nostri rifornimenti di energia. Ma i mascalzoni, no, non accettano; attaccano anche l’Antitrust e chiunque osi – pur soltanto chiedendo il rinvio di due anni – opporsi al loro magna-magna, senza alcuna preoccupazione per il nostro approvvigionamento energetico. Volete rendervi conto che questi sono i veri nemici acerrimi? E non sono nemmeno per un grammo “persone per bene”. Pensano solo ad impossessarsi di tutto il possibile, in vista del non lontanissimo patatrac che essi stanno preparando con le loro malefatte.

 

Di fronte a questa situazione, nell’ultimo discorso di Draghi a Torino si sono voluti rilevare – da destra – degli accenti critici nei confronti della politica economica governativa; mentre a sinistra, come già segnalato all’inizio, si è voluto riscontrare il contrario. Non avendo alcun contatto con i “palazzi del potere” (nemmeno dal lato dell’opposizione), non sono in grado di dare una interpretazione “autentica” delle sue parole. Forse, i “padroni” americani sono meno stupidi e arroganti dei servi (i sergenti sono ben noti per la brutalità, che i generali nascondono spesso dietro una patina di ipocrisia). Ci si è resi conto che questo Governo ha pestato sui contribuenti in modo indegno, perfino sconfinando da quei ceti che vi “era l’ordine” di colpire. Incredibile poi tutta la lurida pantomima sui conti pubblici. Prima disastrati (dal centrodestra), ormai all’ultimo stadio oltre il quale si sarebbe verificato il completo e irrimediabile dissesto (ma possibile che non ci si ricordi che queste erano le menzogne diffuse da Padoa-Schioppa(to) e da Visco?), per cui era necessaria la finanziaria “lacrime e sangue” approvata dall’insieme delle cosche di sinistra. Poi, si sono trovate entrate straordinarie, conti quasi a posto (e mi sembra poco credibile che l’ufficio studi della Banca centrale non ne avesse nemmeno sentore); e si è avuta la faccia di tolla di accollarsi il merito di ciò. Tanti (per fortuna non tutti gli) sciocconi di sinistra non si sono resi conto che, anche se tale miglioramento fosse stato merito dei loro eletti (ma solo un cretino o fazioso può credere a simile bugia), resta il fatto che non vi era alcun bisogno della “stangata”; ed invece quest’ultima non è stata minimamente rimessa in discussione, né si è fatta alcuna autocritica in merito. La verità è che quei soldi sono stati prelevati per alimentare le “campagne di occupazione” di tutti i posti di potere di cui si è detto, per le varie trame di istituzione di organismi tipo F2I con i loro progetti di accaparrarsi pezzi pregiati dell’economia italiana, per allargare le aree di parassitismo (da cui gli arraffa-arraffa traggono succulenti introiti), e via dicendo.

Draghi ha inoltre criticato il modello del “duplice governo” attuato nel Gruppo Intesa-San Paolo, pur se è del tutto evidente che il potere dei vertici torinesi è subordinato al duo Bazoli-Passera (amministratore delegato unico della nuova banca). E’ ovvio che un banchiere centrale, almeno per la forma, deve criticare questa duplicazione degli apparati, visto che la fusione è stata propagandata come utile ai fini delle sinergie che dovrebbe mettere in moto, con snellimento della struttura amministrativa e del corpo lavorativo del nuovo Istituto; con conseguente abbattimento di costi comportanti, secondo l’ideologia liberista corrente, un vantaggio per i clienti (i servizi bancari italiani costano 3-4 volte quelli degli altri paesi europei, secondo recentissimi studi compiuti da organismi ufficiali).

D’altra parte, Draghi ha probabilmente sollevato obiezioni che era necessario sollevare per coprire appunto le menzogne ideologiche propagandate, sapendo però bene che la duplicazione in oggetto era politicamente necessaria. In un primo tempo, quando la fusione fu annunciata improvvisamente – e con “alcuni” uomini del vertice San Paolo in ferie (uno era a Capri) – questi ultimi restarono “senza posto” nell’organigramma inizialmente disegnato. Dato che questi “alcuni” erano vicini ai DS (Fassino e D’Alema), Bazoli rischiava di indebolire il suo “maggiordomo”. Si trovò allora un indispensabile compromesso, recuperando Pietro Modiano ai vertici della nuova banca e “spedendo” Iozzo alla CDP. Senza poi considerare che il presidente del San Paolo, Salza (anche lui con referente politico in Prodi), non poteva proprio ridursi ad essere il “due di coppe”. La prevalenza dell’Intesa è segnalata con grande evidenza dall’amministratore unico (Passera) della nuova superbanca che è quello suo; per il resto, si dovevano fare delle duplicazioni per salvare gli equilibri anche politici. Draghi, lo ripeto, lo sa sicuramente, ma deve ufficialmente criticare questo “attentato” alle “sinergie” e all’alleggerimento del personale e dei costi connessi.

 

Poiché conosco bene almeno due “impiegati” del gruppo di banche e banchette che fa capo all’Intesa (già prima di questa fusione), mi premuro di fare un piccolo inciso onde spiegare come funzionano queste “brillanti” operazioni in merito alle suddette sinergie e snellimenti comportanti riduzione di costi (ma state sicuri che non vedrete una altrettanto rilevante riduzione dei prezzi dei servizi bancari). Si tratta di sfoltire il personale. Allora, alcuni impiegati, sui trent’anni di contributi pensionistici, vengono dichiarati in esubero, “messi in libertà”, ma gli si garantisce il pagamento fino al 2012 (5 anni) di quella che sarà (a quella data, cioè con 35 anni di servizio) la pensione; naturalmente, l’azienda paga anche i contributi pensionistici per questi 5 anni. Tutti contenti; il dipendente va subito in pensione con 30 anni di servizio, riceve la pensione (di 35) per cinque anni e poi, dal 2012, sarà pagato dall’INPS. Vengono così attuate le pretese sinergie e si alleggerisce il corpo lavorativo. Non crediate però alla “bontà” dell’impresa che si accollerebbe i costi dell’operazione. Balle! Lo Stato – il maggiordomo politico della grande finanza – interviene con facilitazioni e appoggi più o meno mascherati onde garantire i suoi “amici” e i loro profitti.

Se voi pensate alla “mobilità lunga” (anche qui pensione anticipata) a favore della Fiat, alla “rottamazione” a favore della Fiat e della Merloni (per i frigo), alle operazioni per favorire le fusioni finanziarie delle cosche cui questo Governo è prono; e se voi moltiplicate tutto questo per altre grandi imprese e manovre finanziarie varie, che non possiamo conoscere e illustrare nella loro completezza; allora capirete come mai si sia fatta una finanziaria così “truce”, raccontando le panzane sui conti pubblici, ecc. I “sghei” servivano a quelle che mi permetto di chiamare con il loro nome: malversazioni, distrazioni di denaro pubblico per fini personali e privati. Si comprendono perciò perfettamente anche i motivi per cui l’8 marzo, con editoriale sul fogliaccio denominato Corriere (ormai “della notte”), Mieli – per conto dell’intero patto di sindacato della RCS (dove troviamo Montezemolo come Merloni, come Della Valle, come Bazoli e Salza, come Profumo, ecc.) – abbia ufficialmente appoggiato il centrosinistra nella campagna elettorale. Gli “amici” (non proprio tali) di Alì Babà – vi ricordate chi erano? – si aspettavano un congruo ricambio (di utili) che in effetti si è verificato; e siamo tutt’altro che alla fine. Solo che i “40 ecc.” erano convinti di un successone elettorale; i meschini e corrotti politici di sinistra – con il loro corteggio di intellettuali manutengoli, stupidi, faziosi, odiosi nella loro arroganza e presunzione – hanno dilapidato tutto il possibile credito loro assegnato dalla GFeID (grande finanza e industria decotta) e tutto è divenuto più complicato; ma solo un poco, perché una opposizione più divisa, scombiccherata e deficiente di così sarebbe impossibile trovarla in qualsiasi altro paese.

 

In questi ultimi giorni, si intravedono manovre che si oppongono a quelle di Bazoli e della “SanIntesa”. Sia chiaro che non c’è da entusiasmarsi; nessun settore indipendentista si muove, tutto è pur sempre sotto l’ala della grande finanza americana, che non si mette troppo in mostra (a parte la Goldman). Comunque, meglio se si assiste ad uno scontro (tra “giganti”-nani) piuttosto che passi nella calma più piatta l’insieme delle manovre di potere “assoluto” della finanza e politica “cattoliche” (non sono nulla del genere, ma è solo per indicare di quali personaggi si tratta). Certamente, Bazoli sta portando avanti il progetto di fusione tra la sua Mittel e la Hopa (ben nota, spero, dagli anni della “vecchia” operazione dei dalemiani “capitani coraggiosi” alla conquista della Telecom); una fusione che è in realtà un’incorporazione della seconda da parte della prima, e che rafforza l’Intesa (oggi con il San Paolo) nelle sue manovre verso Mediobanca e Generali.

Tuttavia, la spagnola Santander – allontanatasi, e non troppo amichevolmente, dal San Paolo di cui era azionista, perché insoddisfatta del trattamento riservatole durante la fusione con l’Intesa – sembra appoggiare adesso la Capitalia (di cui ha acquistato almeno il 2% azionario) in funzione anti-“SanIntesa”. Nella stessa direzione scende in campo il potente finanziere francese Vincent Bolloré, sembra in alleanza con Tarek ben Ammar, considerato vicino alla Fininvest che, anch’essa, ha acquistato l’1% di azioni di Capitalia (con intenti però non del tutto chiari; forse per aiutare l’opposizione alla Intesa, forse solo per segnalare che non “le piace” il progetto Gentiloni sulla TV, chiaramente anti-Mediaset malgrado le ipocrisie governative). In Mediobanca, i suddetti “similcattolici” non riescono ancora a spostare adeguatamente gli equilibri a loro favore, malgrado l’attivismo del finanziere Zaleski (della Tassara) che agisce sempre in combutta con Bazoli. Le Generali, circuite con l’attribuzione della vicepresidenza dell’Intesa-San Paolo al loro presidente (altro francese, Bernheim), sono insoddisfatte perché contavano di avere il monopolio della bancassurance del nuovo gruppo (l’Intesa Vita), mentre invece dovranno dividerla con una facente parte del San Paolo (l’Eurizon); ora è anzi prevista l’entrata in campo di un terzo concorrente secondo quanto ha deciso l’Antitrust. Nel contempo, si parla di dissapori interni alla Capitalia tra presidente (Geronzi) e ad (Arpe), di cui però non ho ancora capito bene i “lineamenti”. Infine, si pensa sussista una sorta di temporaneo “armistizio” (di quelli che normalmente coprono altre manovre sotterranee) tra il presidente della banca romana e quello dell’Intesa-San Paolo, che sembrano d’accordo nel “congelare” l’attuale situazione in Mediobanca (con immediati riflessi sulle Generali) per qualche mese; può essere che un certo attrito tra Geronzi e Arpe esista in merito a tali mosse tattiche. Si tratta in ogni caso di “sommovimenti in corso”, e lasciamoli quindi “depositare” i loro esiti malefici.      

 

Ho cercato di sintetizzare, e rendere più chiare possibili, tutte le azioni e reazioni che si stanno sviluppando tra i vari gruppi della GFeID, con i loro riflessi entro i vari raggruppamenti del centrosinistra, schieramento che oggi è il rappresentante politico delle varie frazioni del capitale predatorio italiano (e dei loro “suggeritori” americani). Per illustrare più dettagliatamente ciò che si sta muovendo, avrei dovuto scrivere una trama più complicata di quella del film Syriana (la realtà supera spesso la sua “rappresentazione” filmica o letteraria). Mi interessava si capisse, pur a grandi linee, quale cancro sta diffondendosi nel paese; un cancro “di sinistra” con buona pace degli antiberlusconiani. Sia chiaro che la sinistra (al gran completo) è un cancro non “in sé e per sé”, bensì come “piovra” politica della suddetta GFeID, il vero “male oscuro” della nostra società. In ogni caso, la situazione si sta aggravando e il cancro volta ormai in metastasi. Non credo ci siano più di 5 anni per salvare la nostra società. Spero di aver dato, indirettamente, anche l’idea che nessuna salvezza può provenire da “destra”. Abbiamo i soliti opposti antitetico-polari, che si sorreggono vicendevolmente pur nell’acre confronto-scontro cui danno vita. Venga Jack lo squartatore, Landru, la Cianciulli o anche il Diavolo in persona. Comunque è necessario quanto prima operare e asportare il cancro; di conseguenza, “qualcuno” – né di destra né di sinistra – dovrà cominciare ad apprestare i necessari “strumenti chirurgici”. Altrimenti ci si rassegni alla devastazione dell’organismo.

 

10 febbraio 

 

P.S. Lunedì (quando uscirà questo pezzo sul blog) si riuniranno i vertici di Mittel (Bazoli) e Hopa (Gnutti & C.) per decidere la loro fusione. Gli schemi per le compartecipazioni incrociate sono già pronti, ma non mi sembra utile anticipare alcunché, anche perché la questione centrale è la fusione (che è di fatto un’incorporazione della Hopa, valutata 1200 milioni, da parte della Mittel, valutata 450 milioni; apparentemente, il pesce piccolo che mangia il grosso, se non si sapesse che dietro la Mittel sta la “SanIntesa”). Importante è invece concentrare l’attenzione su due fatti significativi: a) gli advisors, riuniti già da sabato (oggi) per mettere a punto gli schemi della fusione, sono la Goldman Sachs (ma guarda un po’!) e la Merrill Lynch; entrambe pezzi da 90 della finanza americana; b) fra le banche e organismi finanziari interessati all’operazione – che sono azionisti di Hopa – troviamo il Montepaschi e l’Unipol, i principali istituti della cosiddetta finanza rossa (che di rosso, ovviamente, non ha nulla). Ci sono poi l’Antonveneta e la Banca popolare italiana (presieduta, come già riportato, da un “amico” attribuito al duo Bazoli-Prodi), anch’esse azioniste di Hopa, ben note – assieme all’Unipol e alla BNL – all’epoca dei “furbetti del quartierino”, dell’attacco a Fazio e sua sostituzione, ecc. Insomma, una bella combriccola, tutta da ricordare.