Risposta di L. Dorato a Gianfranco La Grassa

Ulteriori considerazioni sulla proprietà privata”

 Dopo aver letto la risposta datami, riguardo al mio breve scritto introduttivo di un lavoro più vasto che sto compiendo, sono andato a rileggere le righe che avevo deciso di far divenire spunto di riflessione condiviso: non si sa mai, tante volte mi fossi confuso io sul senso delle parole, tante volte avessi creato i presupposti semantici per un equivoco così marchiano… Tuttavia, rileggendo attentamente le mie parole, non ho trovato nulla che potesse sembrare altro da ciò che è. Mi risulta assai paradossale leggere nella risposta di La Grassa e nel suo punto di vista emergente proprio una parte delle cose che io stesso volevo dire e avevo creduto di dire in quelle poche parole; che sono poi una buona parte di ciò che penso intorno al concetto di proprietà privata. In ogni modo, sono un fautore del libero dibattito costruttivo, e credo che di equivoci alle volte ne possano saltar fuori a bizzeffe. Per cui ben venga il confronto e il chiarimento.

Comunione di beni? Negazione della proprietà privata sui beni di consumo? Socialismo di Stato? Tutto appartiene a tutti? Delegazione di ciò che appartiene all’uomo a una presunta collettività indefinita? Mancanza del controllo diretto dei produttori associati sulla produzione? No e poi no. Non ho mai pensato e sostenuto nulla di simile. Lasciamo queste interpretazioni o a letture psuedo-hippy del comunismo o, dalla parte opposta, a fantomatici comunismi nazionali di matrice nazistoide. Anzi, una lettura così interpretata  è esattamente una di quelle letture di Marx che mi fanno venire il prurito.

Mi spiego. Parlando di proprietà propria o, se volete, personale, in sostituzione di proprietà privata, sto usando un linguaggio che renda comprensibile il succo della questione. Ritengo che la proprietà dei beni di consumo e di tutto ciò che è utile e formativo per la vita di un uomo non solo debba essere garantita e difesa, ma che sia il fondamento del vivere comune, che sia l’essenza del rapporto tra spirito e materialità inerente a ogni singolo uomo. Nella mia elaborazione teorica, che certamente non è la copia di quella di Karl Marx (il quale è uno dei riferimenti, importantissimo, cui mi ispiro, ma che non è né un divo né un mito fondativo), la proprietà su ciò che si usa e si determina inerente alla vita umana, quindi su tutto ciò che non è alienato dalla forma naturale umana (dell’uomo animale sociale), è un caposaldo fondamentale.

Tuttavia, mi piace, per comodità espositiva, definire questo tipo di proprietà privata, proprietà personale o propria,  esattamente per distinguerla da quel rapporto perverso, alienabile e mercificabile, fonte di valore di scambio, che è la proprietà privata sui mezzi di produzione nel capitalismo. Sono proprio i più ingenui o i più in malafede a presentare il comunismo come un bordello in cui tutto è di tutti. In proposito voglio citare il meraviglioso passo di Marx tratto dai Manoscritti Economico-Filosofici del 1844 in cui, dalla descrizione del comunismo rozzo, in cui la proprietà privata si trasforma in una violenta e astratta appropriazione di tutti del tutto esistente, giunge alla descrizione del comunismo realizzato, in cui il rapporto tra uomo e natura e tra personalità e comunità si compie, si perfeziona nell’armonia e nell’equilibrio. Cito Marx, sul comunismo rozzo: "Questo comunismo, in quanto nega ovunque la personalità dell’uomo, non è proprio altro che l’espressione conseguente della proprietà privata, la quale è questa negazione. L’invidia universale, che si trasforma in una forza, non è altro che la forma mascherata sotto cui si presenta l’avidità". E continua: "Il comunismo rozzo non è che il compimento di questa invidia e di questo livellamento".

…e ancora Marx, questa volta, sul comunismo realizzato: "il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell’uomo e quindi come reale appropriazione dell’essenza dell’uomo mediante l’uomo e per l’uomo; perciò come ritorno dell’uomo per sé, dell’uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s’identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l’umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie".

Penso che la mia piena adesione a questa splendida riflessione e all’idea di comunismo realizzato qui espressa, già basterebbe per fugare ogni dubbio sul senso delle mie parole. Il comunismo non è una comune degli anni 70 dove il sesso è patrimonio comune. Il comunismo non è la perdita di sé. Il comunismo è esattamente il contrario di questo. E nel merito vorrei ancora aggiungere una cosa: credo che il comunismo, sopprimendo la proprietà privata come rapporto sociale di produzione, e quindi come rapporto culturale sovrastruttrato sia una necessità esistenziale dell’uomo (e non certo metafisica, e meccanicistica), in quanto unica forma universale che favorisce la difficile unione dell’aspetto fisico-materiale della vita, con l’aspetto di comunione spirituale.

Solo nel comunismo, attraverso la netta distinzione tra proprietà personale (come ciò che ci appartiene e ha valore affettivo, non mercificabile e non quantificabile) e comunanza dei mezzi di produzione, ovvero di tutto ciò che non è dato all’uomo possedere per sé,  è possibile riprendersi ciò che il modo di produzione vigente e il conflitto permanente intersoggettivo ad esso associato ci toglie dalle mani:  la nostra intimità e la nostra personalità; il nostro lavoro e la nostra vita individuale.

Curiosamente, la società capitalistica, seduta sul trono dell’ideologia liberale, privatizza ciò che è comune, e sputtana senza vergogna ciò che è intimo. Il comunismo rovescia l’ordine. La comunanza può esistere solo dove l’intimità e la personalità sono riconosciute e rispettate, solo dove una casa, una terra, un’automobile, un elettrodomestico, ti appartengono veramente come fonte di valore d’uso personale e non valorizzabile quantitativamente attraverso lo scambio. All’uomo non è dato possedere ciò che non riguarda la sua vita in quanto personalità, ma, al contrario, gli è dovuto tutto ciò che gli serve per vivere senza stenti, senza miseria, cosciente e fiero della sua umanità e della sua appartenenza particolare e universale.

Questo era il senso del mio breve scritto. E le parole di ora ne sono il consequenziale sviluppo.

 Con stima e amicizia,

Lorenzo Dorato

02 giugno 2007