A MARGINE DEL CARTEGGIO TRA PRESTIPINO E LA GRASSA

La sinistra è un cancro mortale di gianni p.

 

Vorrei chiarire subito alcuni punti rispetto a quanto emerso nella discussione tra il prof. Prestipino e il prof. La Grassa, approfittando degli spunti fornitimi per mettere in chiaro ciò che più lapalissiano di così non potrebbe essere.

Le nostre posizioni sono piuttosto distanti da quelle del prof. Prestipino che, già nel principio del suo discorso afferma la condanna, seppur lieve, del socialismo scientifico a fronte di un’assoluzione piena per il comunismo libertario. Si comprende che questa di-visione tra il “bene” e il “male” del Comunismo, derivante dall’inevitabile scarto producentesi tra la realtà di quel che è stato fatto e quella che, invece, avrebbe potuto essere, ci appare alquanto artificiosa.

Per Marx l’importanza della teoria scientifica è tutta nel rigore della ricerca che tenta di dis-spiegare la logica interna del MPC contro il “dileguamento” trasognante dei pensatori socialisti cosiddetti utopisti, i quali credevano di poter cambiare il mondo semplicemente ignorando quello effettivamente esistente (per, magari, ritirarsi nei falansteri di fourieriana memoria). La possibilità “necessitata” del comunismo come mondo di liberi produttori associati è un’ agognata aspirazione per i dominati ma senza la destrutturazione del modo di produzione dominante, attraverso l’analisi dei suoi gangli vitali, finiamo costantemente per raccontar(ci) delle storie restando, ancora una volta, vittime delle cattive illusioni. Senza il rigore scientifico della teoria marxiana, quella che ha costruito le proprie ipotesi teoriche tentando di svelare i metodi dell’estorsione del pluslavoro, nella forma del plusvalore (soprattutto relativo), il fallimento sarebbe stato ancor più devastante (e su tutta la linea) tanto che oggi non sapremmo nemmeno da dove cominciare per ricostruire la nostra critica alla formazione mondiale capitalistica. E’ ovvio che le acquisizioni marxiane si sono rivelate insufficienti, ma proprio per questo dobbiamo spingerci ad aggredire, con l’analisi, quei temi che Marx non potè o non volle affrontare (discorso sullo Stato, solo per fare qualche esempio, o l’articolazione spaziale della formazione sociale capitalistica).

Se poi per socialismo scientifico s’intende il mero foraggio ideologico con il quale si sono sostenuti i paesi del “socialismo realizzato”, il discorso non può che farsi più complicato. Ma possiamo rinunciare alla scienza perché in qualche punto della storia e dello spazio questa è stata letteralmente divorata dalla legittimazione ideologica del potere nomenclaturale statal-sovietico (partito-sindacati-specialisti della produzione), alleatosi poi con la classe media cresciuta all’ombra di quegli stessi privilegi burocratici? Ed in secondo luogo, in quale epoca storica è mai accaduto che chi deteneva il potere ha abbandonato pacificamente le sue postazioni di comando perché qualcun altro “premeva” alle sue porte con una visione più giusta del mondo? Tutto questo solo per esprimere la nostra preferenza “locuzionale”.

Per quanto attiene, invece, al solito pericolo delle destre, in generale, e di Berlusconi, in particolare, direi che è sotto gli occhi di tutti l’intreccio economico-finanziario che agisce dietro la sinistra. Berlusconi conta per sé stesso e per pochi altri, per cui la sua pericolosità ci sembra infinitamente minore.

Gli intrighi finanziari di Prodi vengono da lontano, da quando era presidente dell’IRI, tanto che il professore bolognese è oggi il punto di riferimento di una delle più potenti banche italiane (la SanIntesa) e di tutta la finanza che gravita intorno a questa, almeno a livello nazionale,  mentre a livello internazionale l’influenza americana si è già fatta sentire in più occasioni (Goldman Sachs, in primis).

Le varie faccende nelle quali Prodi risulta implicato (l’affare Italtel-Siemens, quello del Comitato d’affari sanmarinese che operava in Calabria, la linea dell’alta velocità Roma-Napoli, oltre ai ben noti favori distribuiti ai vari Montezemolo e Merloni, rispetto ai quali la responsabilità è soprattutto politica) ci dicono che la magistratura ha voluto indagare in passato solo in una direzione, contribuendo a fare di Berlusconi l’unico degenerato d’Italia.

Questa sinistra è peggio della destra, non una ma almeno due volte: primo perché spaccia sè stessa per paladina dei deboli ma non fa altro che creare divisioni (lavoro salariato versus lavoro autonomo, lavoro garantito versus precariato) svendendo così le istanze di questi settori sociali ai poteri forti, in secondo luogo perché sta affossando l’Italia con l’obiettivo di drenare le ultime risorse a disposizione del paese e tenere in vita, per altri quindici anni o forse più, la Grande Finanza e l’Industria Decotta (i veri sponsor del marciume politico attuale). Ciò che questo comporta nella vita politica lo stiamo imparando sulla nostra pelle, con un regime corrotto e inefficiente che per putridume e impantanamento supera di molto quello della prima repubblica.

E se questo non dovesse bastare si guardi con attenzione ai vari provvedimenti di politica economica varati in questo primo anno di governo di centro-sinistra e ci si indichi dov’è la diversità (le differenze, invece, ci sono tutte ma solo in termini di “disvalori”) rispetto al precedente esecutivo. Dall’accordo con gli statali, prima raggiunto e poi rimesso in discussione per pochi spiccioli (che, peraltro, solo in minima parte segnano il recupero di quanto i redditi più bassi hanno perso a causa dell’inflazione), all’accordo sulle pensioni che alla lunga si rivelerà peggiore della riforma Maroni, fino alla lotta al precariato, con la perorata e oggi negata abolizione della legge 30, quella che nel programma ulivista della prima ora doveva decadere insieme al governo che l’aveva voluta.

Evidentemente tutto questo scempio non basta a scalfire la coltre identitaria che ci annebbia la vista. E poi, c’è ancora l’aspetto culturale. Che fine farebbero i musei, il cinema, le biblioteche ed i viaggi all’estero di Colombo se dovesse tornare Belusconi? Non lo so che fine farebbero ma quella che oggi si chiama cultura di sinistra è solo uno straccio consunto dall’ipocrisia di gente che parla bene, legge i best sellers di sociologi/psicologi da strapazzo, usa i congiuntivi al posto giusto e poi va a scuola di sofistica per edulcorare i propri inganni e farci il “servizio” con o senza vaselina.

Fassino e D’Alema saranno pure più acculturati di Berlusconi ma si sono scagliati contro i giudici che indagano sul loro “botteghino privato” con la stessa foia dell’uomo nero di Arcore. Le parole di Fassino, fuor di metafora e fuor di pudicizia (Abbiamo una banca?) mi risuonano nella testa ogni giorno, non per la presunta rilevanza penale ma perché questa gente finge di voler cambiare l’Italia ponendosi, a parole, dalla parte di chi chiede i prestiti in banca e non li ottiene (perché non ha le garanzie “adeguate”), e poi le banche le fonda per finanziarsi il proprio partito e i propri affaracci.

Adesso ditemi voi con quali altri aggettivi dobbiamo definire questa teppaglia, oltre a quelli che usiamo spesso (lestofanti, guitti, sicofanti ecc. ecc.). Vogliamo andare fino in fondo alla melma? Andiamoci pure e parliamo di quei cortigiani dei neo comunisti, rifondaroli della più fradicia tradizione piccìista, che tengono bordone a questo governo antipopolare. Che fa Bertinotti mentre la rifondazione del comunismo assomiglia ogni giorno di più alla solita deriva socialdemocratica da Repubblica weimariana? Niente, fa solo il suo mestiere di uomo delle istituzioni con tanto di autista e di furor presenzialistico-mediatico per televisioni, giornali e feste nelle ville dell’alta aristocrazia romana. Vogliamo anche parlare di Giordano e di Migliore? Per loro parlano i fatti e la situazione del partito in questo momento. Sono ai minimi storici e appena cadrà il governo Prodi prenderanno “mazzate” (come si dice qui da noi a Bari) da destra, da sinistra e anche da quei movimenti che tanto amavano e tanto volevano “gramscianamente” egemonizzare. A questo condurrà tutta la loro simulazione radical-alternativa con la quale hanno pensato di raggirare i propri elettori. Questa qui è la sinistra, un mare di melma che soffoca l’Italia! Non possiamo continuare a coprirci gli occhi con il “Mortadella”, siamo un paese allo sfascio per cui o si agisce per tempo o si perisce, lentamente ma inesorabilmente. Ma non è forse questo quello che vogliono questi strateghi del pantano che si fanno chiamare democratici?

 

 

GRAMSCI, LA VIOLENZA E GLI ARDITI DEL POPOLO di A. Berlendis

 

I testi di Gramsci qui presentati sono stati raccolti da Andrea Berlendis; e sono interessanti. Lo è il testo sulla violenza, ma soprattutto quelli che riguardano l’errore commesso circa l’atteggiamento da tenere nei confronti degli Arditi del popolo (movimento nazionalista ma "antiborghese" e, nella sostanza, anche anticapitalistico). Certamente, la situazione italiana di allora aveva ben poco a che vedere con quella odierna; non credo di dovermi dilungare sulle differenze che balzano agli occhi. Per certi versi, quella nostra attuale è semmai più vicina allo (diciamo meno lontana dallo) "scatafascio" della Germania di Weimar nei primi anni trenta. In ogni caso, in questi pezzi di Gramsci vi è, come sempre accade, un nocciolo duro (e duraturo), qualcosa che dà sempre insegnamenti; se si vogliono capire le lezioni storiche. Per questo motivo essenziale, le presentiamo ai lettori del blog.

Gianfranco La Grassa

 

In un articolo sull’Ordine Nuovo del 17 giugno 1921 intitolato ‘Fuori dalla realtà’ Gramsci scriveva :

 

Questo spettro di Stato incarognito in mille delitti, questi ministri adusati nell’arte della menzogna e del cinismo, questo canagliume che vuol pontificare dalla cattedra del diritto e della morale crede di bendarci gli occhi e di sollazzarsi per non vedere in faccia la realtà ? […]

 

Siamo giunti al punto culminante dei contrasti di classe, e la realtà ci domistra come il potere statale vada sempre più assumendo carattere di oppressione e di dominio di classe. Noi non ci lasciamo fuorviare dalle esteriorità, legga o non legga il re un discorso, abbia o non abbia fiducia un ministero, si battano o non si battano i partiti per un progetto di legge, a noi la realtà dà la sensazione che tutto ciò serva per far indugiare le masse operaie, per farle desistere dagli assalti violenti al regime.

 

Perché la realtà ha gettato per le vie la violenza, poichè questa è partorita dai contrasti di classe, poiché questa classe è la borghesia in orgasmo per ricacciare indietro il proletariato, poiché ovunque trionfa il forte in barba alle leggi ed alle tradizioni, poiché la vendetta sta in agguato ovunque porti la sua attività la classe operaia, poiché tutto questo è e non è fantasia che valga a diminuire la portata e l’importanza di questi fatti, noi preferiamo la sincerità di violenti, mercenari o non della borghesia, perché, rotte le menzogne, essi stanno insegnando a tutti come può esercitarsi il dominio di classe all’ombradella legalità.

Chi ha fede, chi solo alla realtà attinge l’energia necessaria per combattere le lotte sociali deve rimanere sul terreno della violenza contro la violenza e non subirà umiliazioni.

Se vi è forza nel produrre, si può, si deve usare la stessa forza perché non sia conculcato il proprio diritto.”

Posizione dei sinistri dell’epoca

La linea di condotta ufficiale seguita dai socialisti contro lo squadrismo è riassumibile nella formula della resistenza passiva.

Al di là di qualche adesione a titolo individuale i socialisti sono i grandi assenti nei vari Comitati di difesa proletaria e negli Arditi del popolo. Turati (e con lui quasi tutto il gruppo parlamentare del partito) giunge ad affermare che se la consegna del non resistere fosse una viltà “bisognerebbe avere il coraggio di essere vili”.

 

Posizione della sinistra ‘radicale’ dell’epoca

La maggioranza massimalista (guidata da Giacinto Menotti Serrati), invece, di fronte all’avanzare dello squadrismo è sconcertata. Pur avversa all’ipotesi riformista di collaborazione con i settori della “borghesia progressiva”, assiste passivamente agli eventi senza indicare alcuna alternativa credibile. Il suo atteggiamento nei confronti degli Arditi del popolo è ambiguo e contraddittorio. Il 4 marzo 1921 la direzione serratiana del PSI lanciava l’indicazione per l’opzione non-violenta , attraverso un appello Ai compagni e alle Sezioni! lanciato dall’“Avanti!” :

Violenza chiama violenza. Sangue chiama sangue. […] Sono stati compiuti atti che fanno inorridire. Bisogna cessare da ambo le parti; bisogna rientrare tutti nel grembo della civiltà. La lotta di classe, insopprimibile lotta, continuerà a svolgersi come per il passato. La Direzione esige la disciplina di tutte le Organizzazioni e di tutti gli organizzati a questo appello”.

 

 

Posizione di Lenin e dell’Internazionale di fronte al fenomeno

 

L’eco del fenomeno di resistenza degli Arditi del Popolo arriva fino a Mosca e la "Pravda" del 10 luglio ne fa infatti un dettagliato resoconto e lo stesso Lenin, favorevolmente colpito dall’iniziativa e, in polemica con la direzione bordighiana del PCd’I, non ha dubbi a indicarla come esempio da seguire.

 

Lenin, in una riunione (del III Congresso dell’Internazionale Comunista) con la delegazione tedesca, polacca, cecoslovacca, ungherese ed italiana dice, riferendosi alla manifestazione romana del 6 luglio: "Imitare meglio e più rapidamente i buoni esempi. E’ buono l’esempio degli operai di Roma". Sempre Lenin in una lettera ai comunisti tedeschi del 14 agosto 1921 giunge a citare la costituzione degli Arditi del Popolo come esempio di "conquista della maggioranza della classe operaia".

 

Verso la fine del gennaio 1922, l’Internazionale comunista risponde, per mano di Bucharin, ad una serie di missive inviate da Grieco per conto dell’Esecutivo del PCd’I sulla questione della tattica rivoluzionaria e gli Arditi del popolo:

“…agli inizi avevamo a che fare – scrisse Bucharin – con una organizzazione di massa proletaria e in parte piccolo-borghese che si ribellava spontaneamente contro il terrorismo fascista di Giolitti. A questo punto arriva Nitti con il suo seguito e – in assenza di un genuino capo popolo – si impadronisce del movimento. Dove erano dunque i capi effettivi della massa operaia? Dove erano in quel momento i comunisti? Erano occupati a esaminare con una lente d’ingrandimento il movimento per decidere se era sufficientemente marxista e conforme al programma? […] Il PCI doveva penetrare subito, energicamente, nel movimento degli Arditi, fare schierare attorno a sé gli operai e in tal modo convertire in simpatizzanti gli elementi piccolo-borghesi, denunciare gli avventurieri ed eliminarli dai posti di direzione, porre elementi di fiducia in testa al movimento. Il Partito comunista è il cervello e il cuore della classe operaia e per il partito non c’è movimento a cui partecipano masse di operai troppo basso e troppo impuro”.

 

 

La posizione di Gramsci

 

L’ Ordine Nuovo colse subito gli elementi di novità rivoluzionaria presenti negli Arditi del Popolo. Nel numero dell’8 luglio gli Arditi del Popolo vengono definiti "il primo tentativo di riscossa operaia contro le orde della reazione"

La comparsa degli Arditi del popolo[1] viene vista positivamente da Gramsci.[2] Ecco cosa scrive su “L’Ordine Nuovo” del 15 luglio 1921 in un articolo intitolato ‘Gli ‘Arditi del popolo’ :

Iniziare un movimento di riscossa popolare, aderire a un movimento di riscossa popolare ponendo preventivamente un limite alla sua espansione, è il più grave errore di tattica che si possa commettere in questo momento. […] Bisogna far comprendere, bisogna insistere per far comprendere che oggi il proletariato non si trova contro solo un’associazione privata, ma si trova contro tutto l’apparecchio statale, con la sua polizia, con i suoi tribunali, con i suoi giornali che manipolano l’opinione pubblica secondo il buon piacere del governo e dei capitalisti. […] Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del popolo ? Tutt’altro: essi aspirano all’armamento del proletariato, alla creazione di una forza armata proletaria che sia in grado di sconfiggere la borghesia. […] I comunisti sono anche del parere che per impegnare una lotta non bisogna neppure aspettare che la vittoria sia garantita per atto notarile. Spesse volte nella storia i popoli si sono ritrovati al bivio: o languire giorno per giorno; oppure arrischiare l’alea di morire combattendo. E si sono salvati quei popoli che hanno avuto fede in se stessi e nei propri destini e hanno affrontato la lotta audacemente”.

 

Dal verbale di una riunione nella Commissione politica del PcdI  pubblicato sull "L’Unità" del 24 febbraio 1926 Gramsci ritorna (autocriticamente) sulla linea tenuta dal partito circa la questione degli Arditi del Popolo

“E’ vero che bisogna guardare alle conseguenze che la tattica del partito ha sulle masse operaie ed è pure vero che è da condannarsi una tattica la quale induca le masse nella passività.

Ma proprio questo avvenne nel 1921-22 in conseguenza dell’atteggiamento tenuto dalla Centrale sulla questione degli Arditi del popolo. (…) Quella tattica se da una parte corrispondeva alla esigenza di evitare che i compagni iscritti al partito fossero controllati da una centrale che non era la centrale del partito, servì d’altra parte a squalificare un movimento di massa che partiva dal basso e che avrebbe potuto invece essere politicamente sfruttato da noi.” 

 

Si  mette in discussione l’identificazione ribellismo post-bellico dei ceti medi la reazione di tipo fascista.

Il segno dell’agitazione dei ceti medi,di una parte di essi, avrebbe potuto essere diverso adottando una linea politica non di chiusura che, o li smorzò o li spinse nel fronte avversario.

 

Posizione della direzione bordighiana

 

La linea ufficiale della direzione bordighiana del PCdI si preoccupa di smorzare gli entusiasmi, informando che "la questione degli Arditi del popolo riveste carattere nazionale e come tale sarà risolta dagli organi centrali. L’Esecutivo non mancherà di far conoscere il suo pensiero al riguardo".

Il 10 luglio 1921, cioè quattro giorni dopo la manifestazione dell’Orto botanico “Il Comunista” (organo centrale del PCd’I) pubblica il primo comunicato del Comitato esecutivo del PCd’I sulla questione. Il tono è perentorio, il messaggio altrettanto:

Poiché intanto sorgono in diversi centri italiani iniziative di tal genere da parte di elementi non dipendenti dal Partito comunista, si avvertono tutti i compagni di restare in attesa di disposizioni… I comunisti non possono né devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti o comunque sorte al di fuori del loro partito… La parola d’ordine del Partito comunista ai suoi aderenti e ai suoi seguaci è questa: formazione delle squadre comuniste, dirette dal Partito comunista…”.

 

Successivamente ne "Il Comunista" del 14 luglio, verrà pertanto pubblicata una comunicazione "Per l’inquadramento del Partito" in cui il C.E. comunista esprime la sua opinione sui nuovi avvenimenti di fronte ai tentennamenti che si sono manifestati: "… il lavoro per la costituzione e l’esercitazione delle squadre comuniste deve dunque continuare ad iniziarsi dove ancora non lo si è affrontato, ma attenendosi al rigoroso criterio che l’inquadramento militare rivoluzionario del proletariato deve essere a base di partito, strettamente collegato alla rete degli organi politici del Partito; e quindi i comunisti non possono nè devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti e comunque sorte al di fuori del loro partito. La preparazione e l’azione militare esigono una disciplina almeno pari a quella politica del Partito comunista. Non si può ubbidire a due distinte discipline"

 

Ma la base del partito fu più reticente nell’abbandonare la partecipazione alle iniziative degli Arditi del Popolo  e le prime direttive vengono ignorate un po’ ovunque.

Ma ai primi di agosto un nuovo comunicato degli esecutivi di PCd’I avverte tutte le organizzazioni comuniste sul fatto che debba “essere rigorosamente diffidato chiunque di persona o per corrispondenza proponga la costituzione di reparti di Arditi del Popolo… È deplorevole che in alcune provicie i comunisti si confondano ancora con i cosiddetti Arditi del Popolo. Ciò non deve continuare. È un errore politico e tecnico da cui deriveranno conseguenze morali e materiali deleterie…”. A questo punto la gran parte delle sezioni si adegua all’indirizzo dell’esecutivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Indicativo in merito l’invio di emissari per intervistare Argo Secondari (Roma, 1895 – Rieti, 17 marzo 1942) fondatore (6 luglio 1921, presso l’Orto Botanico di Roma) del movimento degli Arditi del Popolo, organizzazione paramilitare creata in opposizione allo squadrismo del regime fascista. Secondari, ex tenente pluridecorato degli "Arditi Assaltatori", era di tendenze anarchiche.Il 22 ottobre 1922 fu aggredito da alcuni fascisti che lo bastonarono in modo tale da renderlo fuori di senno. Il fratello Epaminonda, medico cardiologo, provò a portarlo negli Stati Uniti, dove egli viveva, per poterlo curare, ma non riuscì nell’intento. Il regime fascista decise che doveva essere rinchiuso in un manicomio. E Secondari vi rimase per diciotto anni, fino al 17 marzo 1942, quando morì all’età di quarantasei anni.

 

[2] Gramsci con l’attenzione e l’acutezza politica che lo distingue nel nucleo dirigente aveva cercato di incontrare Gabriele D’Annunzio tramite il tenente filocomunista della Legione di Fiume Marco Giordano, quando si era reso del senso in cui stava evolvendo l’Impresa di Fiume  nel 1920 .