SINISTROPOLI di G.P.

 

Un’alleanza di forze politiche che ha vinto le elezioni per una manciata di voti (e per giunta con le ben note ambiguità seguite agli spogli nella circoscrizione esteri) dovrebbe avere almeno il pudore di agire in punta di piedi. Ed invece, questi grandi democratici di centro-sinistra, si espandono come una piovra nelle istituzioni dello Stato, negli enti parastatali, negli istituti di ricerca, nelle Università ecc. ecc. occupando tutto l’occupabile con la solita spocchia che contraddistingue chi sente di aver salvato il paese da una dittatura nequiziosa a base televisiva. E’ da qui che deriva il titolo “nobiliare” per il quale, lorsignori, arrogano a sè il diritto di imbrigliare il paese nelle strette maglie del loro arbitrio ed è con questo spauracchio che vengono terrorizzate schiere sempre più esigue di militanti creduloni che scambiano le sinecure di questa accolta “sotto padrone” con le fatiche erculee richieste da un lavoro serio al servizio del paese.

Lo spoil system messo in atto dalla combriccola di centro-sinistra è un mero affare spartitorio che risponde a logiche interne di arraffamento del bottino, col quale, a turno, ogni singolo partito pretende di salire sulla bilancia del potere per ottenere la giusta equivalenza tra "peso specifico" e portafoglio dicasteriale.

Il risultato è una duplicazione senza fine di cariche ministeriali, di enti inutili, e di scorporamenti che hanno avuto come finalità urgente e improcrastinabile quella di trovare uno scranno libero alla pletora di nullafacenti che vivono di politica e che affollano corpi incancreniti di clientelismo quali sono i partiti. La sinistra, del resto, ha avuto la meglio sugli scherani del centro-destra perché si è fatta portatrice di precisi interressi economico-finanziari, ottenendo in cambio la possibilità di gestire il potere per loro conto. Quella “manina” d’oltreoceano, della quale parlava Geronimo sul Giornale di ieri, nel terremoto politico-giudiziario che ha svelto un’intera classe dirigente, è venuto in seguito ad un accordo tra ex-piccisti (oggi in odore di santificazione dopo essersi rifatti una verginità da liberaldemocratici, più realisti del re), poteri forti italiani e gruppi dominanti americani. Questa “trilateral” ha rivoltato l’Italia come un calzino per renderla più confacente all’anglobalizzione post Guerra Fredda, dapprima con stratagemmi monetari poi con la smobilitazione delle imprese pubbliche strategiche (vendute al peggior offerente) fino ad arrivare alla completa disintegrazione del Welfare State.

La masnada dei “sofisticatori contabili” alla Padoa-Schioppa, non eletti a furor di popolo, agisce sventolando il debito pubblico ogni qual volta vengono avanzate istanze di recupero, nella redistribuzione del reddito complessivo, a favore dei settori sociali più deboli. Dall’orgia predatoria organizzata da “Sua Committenza La GF-ID (Grande Finanza-Industria Decotta)” i politici della “Casta” sperano di raccogliere bassi ed alti privilegi, almeno fintantoché la barca riesce a galleggiare. Non a caso, compito precipuo dell’attuale compagine governativa era quello di stordire e depauperare i ceti medi, dopo aver colpito quelli salariati negli anni addietro, camuffandosi dietro la neutralità dei governi tecnici.

Con questa operazione si sono appagati anche gli “animal spirits” promananti dalla sinistra radicale accecati dalla stolta vendetta verso i "bottegai", convinti come sono che le guerre tra “poveri”, in ogni caso, sia sempre meglio vincerle. E mentre gli indomiti comunisti alla Giordano invocano la falcidiazione “tassativa” di tassisti e parrucchieri, condita con ulteriori sciocchezze sulla tassazione dei risparmi investi in Bot, soli al comando continuano a pascersi i Mentezomolo, i Merloni (che attingono alla cornucopia dei benefici pubblici) e i principali gruppi bancari che tra un’ “evaporazione” borsistica e l’altra, tra bond e subprime, trovano sempre il tempo di scaricare le perdite sui piccoli risparmiatori.

Non c’era luogo politico migliore del centro-sinistra per attuare tale piano data la propaganda del centro-destra a favore dei ceti medi (tuttavia più a parole che nei fatti), quelli dai quali Berlusconi e soci raccolgono buona parte del loro consenso elettorale.

Ne è seguita un’ulteriore intesa tra la Confindustria montezemoliana ed apparati sindacali confederali, i cui organi dirigenti sono legati a doppio filo a quelli politici attualmente al governo – anche in termini di cooptabilità, basti guardare infatti a tutti quei sindacalisti che si sono lanciati direttamente nella carriera politica trovando alloggio nel centro-sinistra – che ha suggellato la formazione di un blocco di potere politico-economico-sindacale avente come finalità la rapina ai danni del paese. I rapporti di forza in questa alleanza non sono affatto paritari ed è probabile che le attuali manovre intorno al Pd e al Giano-Veltronelli servano proprio a calmare gli appetiti dei sindacati e della sinistra detta radicale che dopo tanto scalciare vorrebbe mordere di più. 

Difatti gli attacchi “di comodo” rivolti dalla stampa “amica” nei confronti della “Casta”, nonché il prurito degli ultimi tempi manifestato anche nei confronti del Sindacato (Reportage dell’Espresso), mettono a fuoco il mutamento di strategia ricercato da parte di alcuni settori dominanti. L’obiettivo, nemmeno tanto velato, è quello di dar vita ad una forza centrista che recuperi alla "causa" parte dell’UDC e della Lega, oggi corteggiate più che mai, per sbarazzarsi delle cosiddette ali estreme, quelle il cui elettorato non è totalmente riconducibile entro la forma dei rapporti “moderati” che servono alla GF e ID.

 

UN ANNO DI SPOIL SYSTEM. IL GOVERNO HA OCCUPATO OGNI POLTRONA PUBBLICA

di Emanuela Fontana (Fonte il Giornale)

Nonostante la risicata vittoria elettorale, il premier ha effettuato solo scelte a senso unico. Primo obiettivo: l’informazione. Poi le grandi imprese. E già si prepara un nuovo blitz per Eni, Enel e Poste

Roma – Aveva appena vinto per 24mila voti, meno di un quartiere, una goccia nell’oceano di oltre 39 milioni di italiani andati alle urne, ma Romano Prodi fin dal primo giorno dopo le elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 aveva chiarito: «Governeremo per cinque anni, la legge ce lo permette». Nelle prime settimane del governo Prodi da più parti si suggeriva una gestione, se non proprio sul modello tedesco della Grosse Koalition, quantomeno di larghe intese sulle nomine che contano. Ma la fame di potere è stata più forte dei numeri: saltato l’accordo sulla presidenza del Senato, dove pure il vantaggio del centrosinistra era risibile, svanita anche l’ipotesi di collaborazione sulla nomina del capo dello Stato, quel languore di poltrone è diventato presto un ingordo modus operandi senza spazio per l’avversario. In un mese l’Unione aveva dunque piazzato le prime due pedine: Franco Marini (Margherita) a Palazzo Madama, dopo il rifiuto alla possibile candidatura bipartisan di Giulio Andreotti (che aveva dato la disponibilità) e Giorgio Napolitano, già ministro di centrosinistra e dal passato comunista, al Colle. Ogni nomina successiva è stata gestita sempre con lo stesso spirito: l’occupazione dei posti di comando, senza badare a quell’altra metà d’Italia che aveva votato per il centrodestra. Lo spoil system tornato al suo significato originario di spartizione del «bottino».

Dopo l’uno-due di Senato e Quirinale, nel mezzo della bufera sul campionato di calcio malato, c’è stata la nomina di Francesco Saverio Borrelli, ex pm di Mani Pulite, magistrato simbolo della sinistra, a capo dell’ufficio indagini della Federazione italiana gioco calcio. Poi l’operazione Rai: l’Unione ha costruito e ottenuto la nomina per la direzione generale di Claudio Cappon, benché un uomo del centrosinistra, il ds Claudio Petruccioli, fosse già stato nominato (durante il governo Berlusconi), presidente a viale Mazzini.

Al Tg1, un anno fa Clemente Mimun è stato sostituito con il vicedirettore del Corriere della Sera, vicino all’Unione, Gianni Riotta. Alla fine dello scorso anno circolarono voci su una presunta ingerenza del governo nella nomina del nuovo direttore dell’Ansa in sostituzione di Pierluigi Magnaschi. Si disse che Prodi avrebbe gradito un suo uomo. Ma poi gli azionisti scelsero la soluzione interna con Giampiero Gramaglia.

Dall’informazione alla cultura: a Cinecittà Holding il vicepremier e ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli ha inserito come presidente Alessandro Battisti, ex senatore della Margherita e come amministratore delegato Francesco Carducci Artenisio, fedelissimo dell’ex sindaco di Roma già dai tempi del Campidoglio.

La distribuzione del potere non ha dimenticato, anzi ha esaltato, secondo alcuni alleati scontenti dell’Unione, il gruppo dei prodiani ex Iri, come Pierpaolo Dominedò, nominato amministratore delegato di Patrimonio dello Stato spa. È una vecchia conoscenza di Prodi ed è stato direttore generale dell’Iri il presidente dell’Anas Pietro Ciucci (era già amministratore delegato di Stretto di Messina spa).

Alle Ferrovie i Ds sono riusciti a portare come amministratore delegato l’ex sindacalista Cgil Mauro Moretti, passato da una parte all’altra del tavolo delle trattative, da difensore dei lavoratori a «padrone». A Federservizi, una società delle Ferrovie dello Stato, nuovo presidente è l’ex deputato Pietro Tidei, primo dei non eletti per i Ds nel Lazio nelle politiche 2006.

Infine l’Alitalia: qui è arrivata l’ultima nomina del governo, con il marchio di Romano Prodi. Presidente da poco più di un mese è Maurizio Prato, ex Fintecna, ex Iri. Mancano ancora Eni, Enel e Poste, a maggio potrebbe scattare un nuovo valzer di nomine, ma in un anno il governo si è dato un bel da fare. Senza contare la rimozione del comandante Roberto Speciale dalla Guardia di finanza in relazione al controverso caso-Visco. Non era gradito, non è un mistero.