LA DEMOCRAZIA OLIGARCHICA (di G. La Grassa)

In attesa di finire un pezzo su “il gatto e la volpe” (D’Alema e Montezemolo), alcuni piccoli assaggi dei tempi che viviamo. Intanto un estratto dal pezzo che sto facendo.

 

E’ del tutto evidente il disegno oligarchico, pur se ancora basato sull’appello alle elezioni “democratiche” (finché il popolo sarà così rincoglionito da accettare l’ignobile gioco che in tale teatro si rappresenta), dell’alleanza in oggetto [tra poteri forti e sinistra]. Ieri (martedì) sull’organo del patto di sindacato della RCS, il Corrierone, un politologo ….censura…come Della Loggia criticava in modo smaccato, senza un minimo di pudore e di mascheramento, la manifestazione di Roma poiché “era assente qualunque rappresentanza significativa di questo o quel pezzo di società. [Udite, udite, quali pezzi mancavano! Ndr] Non solo non c’erano gli attori e i cantanti o gli intellettuali, ma neppure esponenti della finanza e dell’industria, dell’alta burocrazia, del mondo del lavoro [sia chiaro, non i lavoratori ma i loro esponenti mascalzoni e venduti! Ndr], dell’universo delle professioni; nulla, nessun nome [corsivo mio, perché a Della Loggia interessano i personaggi, non quelli che sono popolo]. Per governare è necessario anche ascoltare i salotti, in un certo senso perfino rappresentarli” [corsivo mio, per ovvii motivi; ndr].

Avete capito? Sono le oligarchie – perfino quelle che sono solo “nani e ballerine” dei salotti (ad es. quelli veltroniani romani) – a dare senso al governo di un paese. A piazza S. Giovanni, sabato scorso, c’era semplice popolazione senza grandi nomi alla sua testa; e questa popolazione non significa quindi nulla, non ha senso ascoltarla. Chi scrive simili infamie è un intellettuale che rappresenta i (sub)dominanti italiani parassiti e sudditi dei più potenti stranieri, un pennivendolo che scrive sull’organo che più si batte per l’alleanza della GFeID (grande finanza e industria decotta) con le sinistre alla D’Alema! Più chiaro e spiattellato papale, papale, di così non è possibile dirlo. Se gli elettori di questa ignobile sinistra non si offendono, vuol dire che il loro degrado morale, ma ancor più culturale, è ormai all’ultimo stadio. Allora, veramente, meglio il popolo convenuto a Roma che questi marci intellettuali e politici che si fanno passare per progressisti. E’ logico che oggi ha avuto buon gioco Il Giornale a scagliarsi contro il Corriere, a mostrare schifo per l’oligarchia dei “poteri forti” (in pieno e manifesto accordo con la sinistra e la CGIL), ad additarla come aristocratica e con la puzza sotto il naso nei confronti del popolo che tratta da plebe; e si è permesso di affermare il suo essere per questa plebe, per il “popolo bue”. In questo modo, lo squallido populismo di un Berlusconi rifulge di fronte ai disgustosi aristocratici e “radical-chic” di una sinistra che si accorda (e, in certe sue frange minoritarie, si accoda) alla GFeID. E’ necessario dichiarare guerra al ceto politico e intellettuale di sinistra, anche a quello che si finge radicale, ma continua in realtà a seguire le oligarchie fingendo che un D’Alema (o un Prodi o altri del genere) siano il “meno peggio” rispetto a Berlusconi. O non capiscono – e allora non fingano di essere “colti” intellettuali, essendo solo degli stupidi bestioni – o sono l’emblema stesso della corruzione e del tradimento degli interessi popolari.

 

Perché metto la Fiat tra le industrie decotte? Non è stata forse risanata dal mago Marchionne, definito “borghese buono” dal supergenio Bertinotti? Ne riparleremo fra qualche anno, se non prima. Intanto, faccio notare che una impresa in ottime condizioni di salute non si fa smaccatamente dare, per l’ennesima volta, regali dallo Stato del tipo della mobilità lunga (prepensionamenti), della rottamazione e dell’esenzione bollo per 2-3 anni (a seconda dei tipi di autovetture). Così facendo, non si può non indispettire chi deve pagare più imposte e cedere il tfr all’Inps, ecc. Se la Fiat (con il signor presidente confindustriale) se ne frega, è evidente che ha bisogno di soldini; e allora non credo sia poi così risanata come vuol far intendere con bilanci probabilmente “addomesticati”.

 

Il finanziere (e non solo tale) di origine polacca Roman Zalewski – notorio braccio destro di Bazoli (Intesa), a sua volta notorio “amico” di Prodi (cioè suo mandante) – aprirà il 10% del capitale della sua Metalcam ai lavoratori dipendenti, che potranno anche entrare nel Cda della stessa (un consigliere su quattro). Questo 10% vale 15 milioni di euro e potrà essere preso a prestito dalla Banca della Valcamonica (zona in cui si trova l’azienda in questione). Il tutto è però legato al fatto che per i prossimi 10 anni la Metalcam macini profitti, altrimenti il debito non verrà estinto, e gli operai resteranno….come prima. L’a.d. dell’azienda ha dichiarato: “Mi è venuta l’idea di far sentire i dipendenti più vicini all’azienda facendoli partecipare al frutto economico del loro lavoro [quando si tratta di cointeressarli, e se del caso farli partecipare alle perdite, si ammette che l’azienda è frutto del loro lavoro; che gentile l’a.d., ndr]. Questo strumento consentirà ai dipendenti di migliorare la qualità della vita, ma porterà anche a farci sentire una famiglia” [che bella famiglia!]. Il segretario della Fiom della Valcamonica ha reagito positivamente: “Abbiamo accettato di discuterne per la solidità dell’impresa, su cui non ci sono discussioni” [insomma, se i capitalisti sono solidi e danno affidamento di fare profitti, possiamo prendere in considerazione l’idea di metterci in società con loro]. Senza commenti, che mi sembrano ovvii.