A TUTTO CAMPO (MATERIALI PREPARATORI) di G. La Grassa

 

Vi proponiamo sul nostro sito (www.ripensaremarx.it) un nuovo saggio di Gianfranco La Grassa: “A tutto campo (Due) – Materiali preparatori”.

Questo lavoro rappresenta un affinamento, con relativa sistematizzazione e riaffermazione, dell’apparato categoriale con il quale l’autore – e il gruppo di persone riunito intorno alle sue ricerche – ha sin qui interpretato le profonde trasformazioni in atto nelle odierne società capitalistiche (con l’avanzamento di ipotesi e intuizioni che si sono rivelate anticipatrici e via via sempre più aderenti al succedersi degli avvenimenti, a conferma dell’efficacia del sistema teorico adottato).

La maniera in cui va accelerando il processo di riconfigurazione dei rapporti di forza sullo scacchiere geopolitico, campo di battaglia dove si sviluppano le relazioni conflittuali tra paesi e aree, mette in primo piano la necessità di avere una visione sempre più precisa di concetti quali quello di formazione sociale (con le sue varie sfere e la razionalità strategica che la pervade) e di formazione mondiale (contemplante l’articolazione spaziale delle diverse formazioni particolari in un reticolo permanente di conflitti) in contrapposizione al concetto di modo di produzione della tradizione marxista, il quale rispetto a tali "fatti" appare sempre più muto.

 La teoria degli agenti strategici ha dato nuovo slancio all’indagine sul capitalismo -ma meglio sarebbe parlare di capitalismi, nel senso di formazioni sociali capitalistiche, ciascuna con le proprie caratteristiche specifiche, che compongono l’architettura della formazione capitalistica globale – portando alla luce le dinamiche conflittuali forgianti il campo di energie sul quale si sviluppa la trama sistemica dei rapporti sociali a dominanza.

Nell’intraprendere questa strada di innovazione, lo scontro con le vecchie concezioni del marxismo è stato inevitabile, fino a giungere ad una vera e propria rottura teorica, conseguenza del cambio di paradigma proposto nei nostri studi.

Questo strappo è ormai definitivo e non ricomponibile, per quanto non implichi, da parte nostra, nessun rinnegamento o cambio di casacca. I puristi della “Classe” e della centralità del conflitto capitale/lavoro, veri zombies putrefatti di un passato che stenta a scomparire, si affannano a stigmatizzarci (definendoci rosso-bruni, filo-capitalisti ecc. ecc.) perché hanno paura che il corpo morto intorno al quale continuano a vegliare possa essere seppellito dai nuovi modelli interpretativi, a tutto svantaggio della loro credibilità (e profitto personale). Ma questi signori sappiano che abbiamo le loro stesse radici e proprio per tale ragione le nostre critiche e analisi peseranno sulle loro teste (e su quelle del loro comunismo cadaverico) come pietre tombali.    

Il marxismo non è più in grado di svolgere il suo compito conoscitivo nello “spazio” e nel “tempo” della società contemporanea, le sue acquisizioni, valide per un’altra epoca storica, sono legate ad una formazione economico-sociale ormai estinta, quella del capitalismo borghese di matrice inglese. Rispetto a quest’ultima, Marx formulò le sue ipotesi, dopo averne individuato le intime leggi di funzionamento e sviluppo. Il Moro riuscì a dimostrare, grazie al concetto di modo di produzione, la natura dello sfruttamento nel capitalismo, le mistificazioni nella sfera degli scambi che “coprivano” quanto avveniva nella sfera produttiva, i metodi attraverso i quali i capitalisti si appropriavano del pluslavoro nella forma del plusvalore (tanto assoluto che relativo). Oggi l’idea di modo di produzione, può ancora essere parzialmente utilizzata ma solo “…all’interno di una singola formazione particolare, e per impieghi di tipo economicistico (la cui limitatezza va sempre tenuta in conto, pur nell’uso che comunque se ne può fare per scopi specifici e ristretti). Ogni problema di questo tipo non deve però mai perdere di vista il complesso più ampio, quello della formazione mondiale in cui quella formazione particolare è inserita”. Nulla più di questo.

 

Se indubitabili sono dunque i meriti scientifici del pensatore tedesco egli, tuttavia, aveva anche individuato delle precise tendenze autodistruttive intrinseche allo stesso sistema che avrebbero fatto crescere i germogli, già nel grembo della vecchia società, di un nuovo modo di produzione basato su rapporti sociali egualitari e sulla fine dello sfruttamento del lavoro da parte di una classe sulle altre. Questo non è accaduto, il capitalismo è sopravvissuto alle sue contraddizioni, sebbene passando attraverso profonde metamorfosi che lo hanno reso, almeno ai nostri occhi, (non di certo a quelli dei marxisti dogmatici che attendono sempre profeticamente "l’ultima ora fatale" che annunzierà il sorgere del sol dell’avvenire), affatto diverso da ciò che Marx aveva studiato. Per tale ragione il concetto di modo di produzione non è più adatto a spiegare quanto accade ai nostri giorni. Come sostiene La Grassa in questo saggio: “[Il Capitalismo] non va trattato in termini di semplice modo di produzione, che – con analogia solo “evocativa” – può essere assimilato ad una sorta di “geometria euclidea” dello “spazio piatto”, che è lo spazio di una parte minima dell’insieme della formazione sociale; un po’ come l’area su cui giace Roma rispetto all’intera superficie terrestre.”

Su queste riduzioni, che hanno ormai fatto il loro tempo, deve inserirsi ora la nuova prospettiva teorica: quella che individua la lotta tra agenti dominanti per la preminenza nello spazio sociale complessivo – sorretta dalla razionalità strategica innervante le scelte conflittuali dei soggetti (collettivi e individuali) portatori di tali processi oggettivi – quale fattore principale per pensare criticamente il nostro mondo e poter avviare una possibile trasformazione.