ABBANDONATE LA NAVE! di Giellegi

Negli anni ’50, quando divenni comunista (non nel semplice senso di avvicinarmi al Pci, verso cui fui subito diffidente), il Partito viaggiava intorno al quarto dell’elettorato (in genere sempre un po’ meno). Solo negli anni ’70 giunse al terzo, ma a quel punto aveva abbandonato la presunta (dagli avversari) doppiezza per diventare un pezzo decisivo della riproduzione della società capitalistica “occidentale” (quella che poi definii dei funzionari del capitale in contrapposizione al capitalismo borghese), accettando di fatto perfino la Nato, ecc.

Negli anni ’50 e parte dei ’60 non eravamo a questo punto, si era escogitato l’escamotage della “via italiana al socialismo” (su cui tornerò in altro scritto sulla “questione nazionale”) e s’insisteva sulla possibile “conquista del potere” seguendo la “via parlamentare”. La vera doppiezza della direzione togliattiana non era nei confronti della sbandierata società “democratica” in un “mondo libero” (cioè “liberato” da ogni altro predominio e servitù che non fossero quelli imposti dagli Stati Uniti con importanti “presidi militari” in Europa; perché questo era, ed è, la Nato). La doppiezza era nei confronti della “Classe”, poi più sobriamente definita “lavoratori”, “masse lavoratrici”, ecc.; o anche “i produttori” (operai e piccola imprenditoria) sulla cui alleanza si fantasticava. Togliatti era ben conscio che i Patti di Yalta non avrebbero mai consentito all’Italia di passare dal “campo capitalistico” a quello preteso “socialista”.

L’importante era però tenere le posizioni, giacché lo sviluppo (pianificato) delle forze produttive ad est avrebbe infine messo in mora il capitale in quanto “barriera al suo stesso sviluppo” (secondo l’errata formulazione dello stesso Marx). Tutti gli anni ’50 furono pieni di statistiche (false) a dimostrazione che l’Urss avrebbe superato gli Usa, la Cina avrebbe superato l’Inghilterra, il campo socialista sarebbe arrivato a superare il 50% della produzione mondiale, dimostrando così che la regolazione pianificata consentiva quello sviluppo delle forze produttive ormai impedito dal capitalismo (in pieno avanzamento produttivo dappertutto in quegli anni! Ma si riteneva fosse una fase transitoria e breve, dovuta alla “ricostruzione” di quanto distrutto in guerra). Il lancio del primo sputnik sovietico fu salutato come la dimostrazione “fattuale” di quanto i “vati” del marxismo predicavano. La prima automazione (non elettronica) fu considerata l’annuncio della “morte” del capitalismo perché questo, avendo bisogno del plusvalore (pluslavoro operaio), non poteva veramente automatizzare i processi lavorativi, mentre il socialismo l’avrebbe fatto, non essendo ricerca del profitto. Non voglio nascondere che a queste idiozie immani credevo anch’io all’epoca; e mi bevevo tutte le assurde statistiche che L’Unità ci ammanniva.

Tuttavia, in attesa del 50% + 1 della produzione mondiale, mi sembrava assurdo che si riponessero tante speranze nelle elezioni “democratiche”. Invece, ad ogni elezione seguivano settimane di discussioni sui dati, che vedevano spostamenti minimi (ripeto: fin quando il Partito non divenne pezzo forte della riproduzione capitalistica e delle sue classi dominanti negli anni ’70). Si studiavano tutti i possibili flussi, regione per regione, comune per comune, strato sociale per strato sociale, ecc. Dato per scontato – mentre non lo era affatto – che la Classe (o masse lavoratrici) era, almeno in potenza, dalla parte “nostra”, si cercava di capire come avessero votato gli altri “produttori” con cui ci si doveva “alleare”. In ogni caso, quando si cresceva di una frazione di punto (al massimo un punto e qualcosa) si vedevano nelle sezioni occhi roteanti (come nei fumetti); quando invece si arretrava, lo scoramento era grande nell’immediato, subito però controbattuto (dai vari dirigenti nazionali e locali) con mille arzigogoli, che facevano “(stra)vedere” come si fosse brillantemente resistito ad una selvaggia e violenta aggressione anticomunista (che, chissà perché, aveva avuto successo; questo non era gran che spiegato).

Ricordo, come la più comica di queste situazioni, l’entusiasmo per aver vinto le elezioni (mi sembra fosse la primavera del 1957) a Campi Salentina e in un altro comune pugliese di cui nemmeno ricordo il nome. A parte queste punte di umorismo, non riuscivo veramente a capire come si potesse pensare a prese del potere – non credevo allora al supino adattamento del Pci alla società capitalistica occidentale, nel cui ambito divenire soltanto uno degli schieramenti influenti (allo scopo di ottenere posti importanti per i propri adepti, cioè per i dirigenti della “baracca”) – mediante questi avanzamenti (seguiti da arretramenti) di così minime percentuali di voti. Poi presi coscienza del tutto; ma su questo processo, non certo istantaneo, non mi soffermo.    

 

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Non mi soffermo sul periodo della mia presa di coscienza dell’immondezzaio, perché la mia attenzione odierna, non politica ma per semplice senso dell’umorismo, è attratta da sedicenti comunisti (si, continuano ad autodefinirsi proprio così!) che si arrabattano, ritenendolo tuttora di vitale importanza, per il guadagno di frazioni di punto alle elezioni; ma non più sulla base di partenza di un quarto di elettorato, del 3-4% invece (ormai non arrivano nemmeno al 5). Per di più, dando vita ad indegne ammucchiate tra “rigoristi” (quelli che volevano in Italia la salma di Lenin) e “buoni samaritani” (che vogliono distribuire pane agli italiani, quasi fossero il Servire il popolo di infausta memoria). Invece di interessarsi alle questioni riguardanti il paese e le sue alleanze internazionali, ai grandi interessi di fondo in quest’epoca di trapasso e di incipienti nuovi gravi confronti, sono lì che dibattono su come conquistare l’egemonia tra le “masse” (quel 3-4% di “sfigati”), su come dimostrare di avere la più aggiornata patente di guida della “falce e martello”.

Sollecitano tuttavia la mia ilarità (sdegnata in verità) pure quelli che ancora pretendono di rappresentare politicamente “i lavoratori” a partire dalla loro adesione ai sindacati “ufficiali”, ormai nulla più che patronati assistenziali (e molto inefficienti nel disbrigare le pratiche degli iscritti; veri pezzi di apparato statale da paese del “socialismo reale”). Inchieste che credo serie (non come le statistiche che davano Urss e Cina in non lontano sorpasso di Usa e Inghilterra) hanno dimostrato come buona parte (maggioranza) degli operai abbia abbandonato il centrosinistra; quindi la “sinistra comunista” (vero ossimoro, sia detto per inciso) non conta più nulla per la Classe, per le “masse lavoratrici”. Eppure, non se ne dà per intesa; continua con la pantomima dell’iconografia d’antan. E si dovrebbe ciononostante seguirla? Ci sono ancora all’interno di questo pezzo d’antiquariato, ormai roso dai tarli e in fase di continuo sbriciolamento, persone in buona fede? Accetto di crederci; ma se non vogliono morire alla guisa dei comandanti delle navi in affondamento, avvolti nelle loro bandiere e in posizione di attenti, rigidi come baccalà, mettano in mare le scialuppe di salvataggio e si dirigano intanto lontano dal bastimento che cola a picco, per non essere travolti dai gorghi che esso provoca.  

Si è melanconici, si prova nostalgia? Intanto, lo posso capire in quelli della mia generazione (non crediate che non abbia anch’io momenti di sconforto “generazionale”; e non solo per il presunto fallimento del presunto comunismo), assai meno in quei (pochi) giovani irretiti da quattro coglionazzi che discutono ancora di Lenin, Trotzky, Luxemburg, ecc., come fossimo alla vigilia, se non del 1917, almeno del 1905. Inoltre, non sempre questi gruppetti di “fuori del mondo” sono nostalgici; discutono di prospettive strategiche e tattiche come se muovessero realmente frazioni cospicue delle masse. Questa finzione è francamente disgustosa, anche perché, pur ammettendo che qualche “irrealista” in buona fede esista, è necessario affermare a brutto muso che molti sono veri nullafacenti, incapaci di un lavoro qualsiasi che non sia il politicantismo. Non saprebbero vivere d’altro.

Comunque, in ogni caso, abbiamo a che fare spesso con opportunisti che sfruttano la melanconia e la testa rivolta al passato dei nostalgici per ottenere i loro voti e conquistarsi possibilmente un cadreghino: europeo, nazionale, locale, in organismi clientelari dello Stato (in cui si dà ancora peso ai sindacati), in giornaletti, in qualche buchetto in TV, in qualche banchetta o altro istituto finanziario in specie nelle regioni dette ridicolmente “rosse”. E via dicendo. Un branco di piccoli, meschini, criminaloidi, dediti a infime speculazioni a spese della minima quota elettorale che resta ancora in dotazione. Avere ad esempio un parlamentare di riferimento è pur sempre una pezza d’appoggio per intrallazzare.

Cosa credete, che non farebbe comodo anche a questo blog un simile riferimento istituzionale per maggiori aiuti e potenziamento della sua azione? Ma perfino se avessimo questa fortuna, posso garantire senza tema di essere mai smentito che non racconteremmo mai panzane sulla nostra possibilità di combattere meglio il capitalismo, tanto meno di avventurarci sulla via di un comun(itar)ismo inesistente e inventato da cervelli malsani e mentitori. Garantiremmo semplicemente una migliore analisi il più possibile “oggettiva”, disincantata, senza imbrogli né ingannevoli speranze diffuse da certi furfanti odierni.

Sono per fortuna una minoranza sempre più esigua (ma non per questo meno colpevole). Questi truffatori, giocatori delle tre carte, sono sempre più divisi (salvo l’ammucchiata per le elezioni, e solo perché ci sono i provvidenziali sbarramenti, troppo bassi purtroppo), giacché quattro cani spelacchiati e rognosi hanno a disposizione solo un piccolo ossicino; figuratevi dunque come si accapigliano. Ci sono alcuni loro seguaci in buona fede? Voglio crederci. Però agiscano come tali: lascino perdere i banditi che ancora li sfruttano, lascino perdere sia le reliquie del passato che le utopie sparse da intellettualoidi smaniosi di farsi riconoscere dai dominanti più reazionari che abbiamo; non si interessino più della frazione di punto elettorale da dover conquistare per mantenere aperte le “prospettive di potere”. Di che cosa stanno parlando? Si dicono comunisti (o comunitaristi) e ragionano come il più becero dei gruppetti di interesse che vogliono godere della loro piccola fetta di “utili da capitale” (naturalmente un utile non guadagnato intraprendendo, bensì solo vendendosi a basso prezzo agli “imprenditori”, ai capitalisti, italiani e stranieri, contro cui ufficialmente tuonano).

Nessun dialogo con chi non si stacca da queste miserabili prospettive, propagandate da gruppetti di farabutti. La buona fede non si presume più: SI DIMOSTRA! ABBANDONATE LA NAVE!!