BREVE COMMENTO A UNA RECENSIONE SU SCHUMPETER di M. Tozzato

Sul Corriere del 07.03.2011 Giuseppe Bedeschi ha scritto un articolo-recensione in occasione della recente uscita, in lingua italiana, di un saggio di Joseph Schumpeter. Scrive Bedeschi in riferimento alla domanda su quale possa essere il motore degli avanzamenti teorici nel campo delle scienze sociali:

<<Si sviluppano attraverso un processo «cumulativo» di dati che ci vengono offerti dai ricercatori con un lavoro incessante di osservazione, o si sviluppano anche e soprattutto grazie alle grandi svolte economico-sociali?Nel suo saggio Passato e futuro nelle scienze sociali, pubblicato nel 1915 e appena uscito in traduzione italiana […] Joseph Schumpeter risponde che quello sviluppo deve essere inteso sia alla luce della continuità (cioè come processo cumulativo di nuovi dati), sia alla luce della discontinuità.>>

Certamente gli eventi storici e sociali mettono in moto la necessità di trovare delle spiegazioni, avanzando ipotesi nuove e inedite, nel momento in cui veniamo sorpresi da accadimenti che per un verso ci sorprendono e per un altro cambiano il panorama di ciò che può essere considerato scientificamente valido; il crollo del comunismo storico novecentesco richiedeva per la teoria sociale e quindi per il marxismo una riconsiderazione complessiva del suo impianto teorico. Dispiace notare che elaborazioni razionali e argomentate che vanno in questa direzione – come ad esempio risultano essere  quelle di La Grassa – siano difficilmente reperibili in circolazione. Le costruzioni teoriche struttural-funzionalistiche di derivazione parsoniana e il lavoro comunque stimolante di Pierre Bordieu sono tuttora gli unici altri filoni (senza dimenticare comunque le importanti eresie di Polaniy, Battaille e Mauss ) che si oppongono all’accademismo sociologico imperante. Bedeschi continua il suo intervento parafrasando Schumpeter:

<<Del resto, egli dice, le scienze sociali ebbero propriamente origine solo nel XVIII secolo, nel momento in cui l' intero edificio della nostra cultura fu scosso e incrinato. Iniziava allora infatti quell' enorme processo chiamato Rivoluzione industriale, in cui la forma di produzione su larga scala infranse i confini della comunità di villaggio e della gilda, e in cui il moderno esercito dei lavoratori, sotto la guida degli imprenditori, spezzò i confini dell' ordine feudale. Ma la Rivoluzione industriale determinò una rivoluzione intellettuale e politica: le visioni delle cose e i comportamenti dei circoli dominanti divennero obsoleti, le istituzioni sociali e giuridiche entrarono in contraddizione con i nuovi rapporti economici. Di qui anche una rivoluzione culturale: il processo vitale della società, quasi febbrilmente intensificato, infuse nuova linfa in tutti gli ambiti della scienza, e in particolare dischiuse l' ampia area delle scienze sociali. >>

Nel suo saggio Schumpeter asserisce anche, in maniera convinta, che il capitalismo è una “macchina per la produzione di massa”; per l’economista austriaco il processo dell’economia capitalistica, in virtù del suo stesso meccanismo, determina un progressivo e continuo aumento del livello di vita della gran massa della popolazione:

«Lo determina attraverso una serie di vicissitudini la cui gravità è proporzionale alla velocità del moto ascendente; ma lo determina comunque».

Lo sviluppo globale degli ultimi decenni che ha visto emergere come grandi potenze economiche, e non solo economiche, numerosi paesi dell’ex-Terzo Mondo si è manifestato in maniera abbastanza rapido e perciò necessariamente, come osserva giustamente Schumpeter, traumatico; così è avvenuto, d’altra parte, in ogni fase di rapida industrializzazione a partire dalla prima Rivoluzione Industriale iniziata in Inghilterra.  Bedeschi poi passa ad introdurre la concezione schumpeteriana dell’imprenditore che

<< ha la funzione di rivoluzionare il quadro produttivo sfruttando un' invenzione, o, più generalmente, una possibilità tecnica finora trascurata di produrre una nuova merce o di produrre in modo nuovo una merce vecchia, aprendo una nuova sorgente di rifornimento di materie prime o un nuovo sbocco ai prodotti, riorganizzando un' industria ecc.>>

Ma, come è stato ribadito più volte da La Grassa e da altri in questo blog, l’innovazione più importante risulta essere quella che immette nella produzione e nel mercato un nuovoprodotto  come bene di consumo e/o  bene strumentale. Per esempio potrebbe trattarsi di  un nuovo modo di ottenere energia che diventi una nuova “fonte” per la sua produzione. L’innovazione di prodotto è, inoltre, sempre un risultato  della  ricerca scientifica e della sua relativa applicazione tecnologica in grado di causare uno squilibrio e uno sviluppo ineguale all’interno di una data configurazione dei rapporti sociali di produzione e di scambio. L’articolo di Bedeschi si conclude con alcune considerazioni sulla critica di Schumpeter al modello capitalistico che si era andato affermando, soprattutto negli Usa, negli anni trenta e quaranta del Novecento. Effettivamente l’avanzare del capitalismo manageriale e quindi di un nuovo modello organizzativo d’impresa poneva dei problemi che anche per il grande economista risultarono difficili da analizzare e comprendere in quella fase storica. L’affermarsi del capitalismo dei funzionari del capitale può essere osservato alla luce delle trasformazioni e degli avvenimenti storici successivi fino alla fase odierna, ma l’analisi di questa trasformazione, che pure è stata tentata, non ha prodotto ancora una sintesi sufficientemente convincente.  E se la nottola di Minerva si leva al crepuscolo forse dovremo aspettare il sorgere di una vera e propria fase policentrica – probabilmente ancora piuttosto lontana nel tempo – per potere proporre una compiuta teoria delle ultime transizioni capitalistiche.

Mauro Tozzato           13.03.2011