BREVI RIFLESSIONI SU SOCIETA’ CIVILE E FORME DI POTERE

Nel suo saggio del 1976 Quale socialismo ? Norberto Bobbio, nel capitolo intitolato  “Esiste una dottrina marxistica dello stato ?”, scrive:

<<è in uso presso i marxisti limitare la considerazione della società civile in Hegel a quel momento del “sistema dei bisogni”, dove effettivamente Hegel tratta di alcuni problemi fondamentali dell’economia politica. Ora tutti i non-marxisti sanno che il sistema dei bisogni è soltanto il primo momento della società civile comprendente anche i due momenti dell’amministrazione della giustizia e dello stato di polizia, sanno cioè che “società civile” nella Filosofia del diritto di Hegel non significa affatto società economica contrapposta a stato, ma una prima manifestazione dello stato, che lo stesso Hegel chiama “stato dell’intelletto o della necessità”>>.

Bobbio poi sottolinea che la teoria dello stato moderno nato dalla rivoluzione francese parte dalla rivendicazione dell’eguaglianza giuridica, l’eguaglianza “di fronte alla legge”. Si tratta quindi di quella forma di eguaglianza formale che Marx nel suo scritto sulla questione ebraica chiama emancipazione politica. In Hegel sopravvive ancora in buona parte quello “stato di ceti”che caratterizzava l’Antico Regime – approssimativamente inquadrabile cronologicamente tra il 1350 e il 1650 – che è il periodo storico coincidente, all’incirca, con la cosiddetta transizione dal feudalesimo al capitalismo . Nello “stato di ceti” l’individuo poteva venire rappresentato politicamente solo in quanto membro di un corpo intermedio di natura corporativa mentre all’opposto nella teoria liberalborghese dello stato – facendo riferimento principalmente a Locke, ad Adam Smith e all’utilitarismo di Bentham – la società civile risulta essere veramente il regno dell’individualismo atomistico e del contrattualismo utilitaristico e quindi appare contrapposta allo stato politico e quasi in conflitto con esso. In Bobbio troviamo, ancora, la rivendicazione dell’importanza della separazione tra potere privato e potere pubblico e tra potere economico e potere politico  nell’ambito della cosiddetta società civile; non riusciamo, però, a condividere la sua opinione che inquadra queste presunte scissioni come conseguenze del passaggio da un regime potestativo di tipo tradizionale fondato sui rapporti personali a uno di tipo legale-razionale che permette “l’istituzione di rapporti impersonali tra cittadino e funzionario”. Il potere politico costituito e costituente, incarnato dallo stato come res publica capace di imporre la sua supremazia a tutto il corpo sociale, non è paragonabile al dominio della ricchezza nella società civile dove viene garantita l’eguaglianza formale dei contraenti. La parola latina dominium nel diritto romano, in quanto attribuzione del dominus (proprietario) faceva riferimento alla signoria individuale su un bene patrimoniale con esclusione di qualunque altro soggetto; il termine potestas, pur essendo in qualche caso utilizzato anche nella sfera privata, veniva prevalentemente riferito ai magistrati, i quali a loro volta venivano suddivisi tra magistrati maggiori, cum imperio, e minori, cum potestate.  Con imperium si intendeva, quindi, il potere sovrano che spettava nell’età repubblicana ai magistrati maggiori (consoli, pretori, dittatore) e nell’età imperiale al principe denominato pertanto imperator. L’essenza del potere d’imperio consisteva nel supremo potere di comando militare. Nelle formazioni sociali (capitalistiche) particolari, attuali, il potere appartiene a gruppi dominanti– in quanto essi sono in possesso dei decisivi mezzi economici e finanziari – che nel campo conflittuale rappresentato dalle istituzioni e dalle funzioni dell’organo sovrano con potere di coercizione, ovverosia dello Stato,  sviluppano strategie politiche per prevalere sui gruppi rivali e impadronirsi del potere esecutivo, allo scopo di stabilire la propria supremazia in modo tale da permettere loro di esercitare il comando imperativo di ultima istanza (politico-militare). Quando una formazione sociale regionale (interstatale) viene a strutturarsi con un centro fortemente pre-dominante, il potere imperativo di ultima istanza viene ad essere detenuto solo dal centro – con eventuale delega ai satelliti più importanti di alcune funzioni e della stessa autorità politico-militare di coercizione esterna verso altri stati-nazione. Attraverso questi interventi finalizzati ad allargare la propria egemonia e il proprio diretto controllo in una più vasta area, imponendo cambi di regime e subordinazione politica mediante l’uso della forza, la potenza pre-dominante riesce anche a ristrutturare  i rapporti con i satelliti nel proprio sistema regionale interstatuale ottenendo in certi casi la trasformazione di alcuni di essi in semicolonie eterodirette prive di autonomia e sovranità effettiva. Ritornando, per concludere il discorso, al valore che possono ancora avere modelli di lettura e interpretazione della società civile come quello hegeliano o quello liberale classico (Smith, Locke) ci viene spontaneo affermare che nessuno dei due paradigmi ci pare soddisfacente ed infatti a noi pare più decisamente realistico quello che a partire da Marx legge la società come una articolazione di strutture ed istituzioni, a partire da una dimensione di eguaglianza contrattuale di principio, che permette l’approfondirsi del dominio grazie alla conflittualità strategica tra centri di forza politico-economico-ideologici.

Mauro Tozzato           20.12.2011