Bush: sulla strada di Sion

(Titolo originale: George Bush, croisé mystique de Sion, fonte geostretegie.com. Traduzione di G.P.)

 

Vi proponiamo il discorso tenuto da Bush, il 15 maggio 2008, al Knesset, il parlamento israeliano, in occasione delle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dello Stato di Israele.

Il delirio religioso di Bush, col quale viene consacrata l’alleanza tra le due più grandi democrazie del mondo (e non metto la parola democrazia tra virgolette per quanto ho in spregio tale forma e tutto ciò che essa richiama), è solo una delle facce ideologiche di cui si permea la strategia unipolare americana.

Probabilmente G.W. Bush crederà pure in quello che dice, non essendo precisamente in possesso di un’intelligenza vivida ma, fortunatamente per lui (e per il paese che rappresenta), è assistito da cerchie di strateghi che sanno utilizzare ogni elemento disponibile al fine di assicurare il predominio della superpotenza statunitense su tutto il globo. L’emotività patriottica e il fervore religioso sono solo una parte di questa strategia e vengono, di volta in volta, sospinti in avanti o invece, attenuati, a seconda dei momenti storici e della convenienza politica. Personalmente non credo affatto che i dominanti americani agiscano sulla base dei meri “istinti” etnici o di quelli mistici (in quanto veramente convinti di essere il popolo eletto e i portatori di un disegno divino) perché non è in questa maniera che si costruisce, nel XXI secolo, una grande potenza. Forse, per una piccola minoranza di questi dominanti sarà anche così, ma non dimentichiamo che non siamo più nel medioevo quando la religione era davvero il “meccanismo” che azionava la complessiva riproduzione sistemica. La religione è ormai derubricata a mansioni del tutto secondarie, in quanto, con il passaggio al capitalismo, non è più in tale sfera che si determinano i rapporti sociali fondamentali; ciò non toglie che essa faccia legittimamente parte della complessiva ideologia sociale senza la quale tutta la formazione capitalistica si frantumerebbe. Non è un caso, allora, che si tenda a sovrapporre il conflitto religioso (che ha una dimensione più ridotta) allo scontro tra civiltà che è, invece, qualcosa di molto più ampio (in quanto coinvolgente non soltanto gli aspetti spirituali ma anche quelli materiali, culturali sociali, ecc. ecc.)

Mi preme, infine, sottolineare che con questo discorso prosopopeico Bush vuole rassicurare i suoi alleati e nascondere, al contempo, i gravi problemi che la politica statunitense sta incontrando in Medio Oriente. Il ricorso così pronunciato al messianismo è il sintomo più evidente di una crescente faiblesse della potenza centrale e del timore che essa ha di perdere le redini di quest’area del mondo. E quanto più si ostenta sicurezza e si dichiara di essere disposti a tutto, tanto più il seme della resa o della ricerca di una scappatoia (da una situazione sfuggita abbondantemente di mano) si fa largo tra questi arditi del sangue altrui.

Spero di riuscire a tradurre per voi, nei prossimi giorni, l’intervista rilasciata da Ramadan Shallah, segretario generale della Jihad islamica. Da questa intervista emerge un quadro a tinte fosche per lo Stato d’Israele. Quest’ultimo viene definito da Shallah come: “une armée ayant un Etat et non un Etat ayant une armée”, cioè un esercito che ha uno Stato e non uno Stato che ha un esercito. Esso ha armi potentissime ma è anche esausto dopo 60 anni di conflitti a bassa ed alta intensità, per cui molto dipenderà dalle scelte statunitensi (i primi sostenitori dello Stato d’Israele) che finora sono state collimanti con quelle sioniste. Ma fino a quando sarà così? Fino a quando gli israeliani (circa 7 milioni di persone) potranno contare, come dice Bush, su 300 milioni di americani?

 

“La lotta contro il terrorismo e l’estremismo è la più grande sfida del nostro tempo. Da un lato, ci sono quelli che difendono gli ideali di giustizia e di dignità con le armi della ragione e della verità. Dall’altro lato, ci sono quelli che perseguono un progetto crudele di dominio, commettendo l’omicidio, spargendo la paura, propagandando menzogne.”

Per George Bush, i conflitti del Medio Oriente sono quelli del bene contro il male. In questa guerra biblica, Israele e gli USA sono due alleati indefettibili, uniti da una stessa convinzione mistica: “Che sia fatta in Sion la parola di Dio”.

 

Discorso di George Bush allo Knesset, 15 maggio 2008

 

Signor Presidente Peres, Signor Primo Ministro, Signora presidentessa, grazie molto di aver accolto questa sessione straordinaria. Il Presidente Beinish, il sig. Netanyahou, le signore ministre, i signori membri dello Knesset, signore e signori invitati: Shalom. Laura ed io siamo molti felici di tornare in Israele. Siamo stati profondamente commossi dalle celebrazioni di quest’ultimi due giorni. E questo pomeriggio, sono onorato di presentarmi dinanzi ad una delle più grandi assemblee democratiche del mondo ed esprimere la volontà del popolo americano in questi termini: Yom Ha’atzmaut Sameach. (Applausi) È un privilegio raro per il presidente americano prendere la parola dinanzi alla Knesset. (Risate) benché il primo ministro abbia detto che c’e’ qualcosa di ancor più di raro – il fatto che si riesca a parlare, uno per volta, in questa sala. (Risate) Il mio solo rammarico è che uno dei più grandi dirigenti d’Israele non sia qui per condividere questo momento. Quest’uomo è un combattente nei confronti della storia, un uomo di pace, un amico. Le preghiere del popolo americano vanno ad Ariel Sharon. (Applausi.) Siamo riuniti per rimarcare un evento. Sessanta anni fa a Tel-Aviv, David Ben Gourion proclamava l’indipendenza di Israele, fondata “sul diritto naturale del popolo ebreo di essere padrone del suo destino”. E quello che ne è seguito, è più della creazione di una nuova nazione. È stato il compimento di una vecchia promessa fatta ad Abraham, Mosè e David – una patria per il popolo eletto Eretz Yisrael. Undici minuti più tardi, su ordine del Presidente Harry Truman, gli Stati Uniti erano fieri di essere il primo paese a riconoscere l’indipendenza di Israele. Ed in occasione di quest’anniversario eccezionale, l’America è fiera di essere l’alleato più vicino ad Israele ed il suo migliore amico nel mondo. L’alleanza tra i nostri governi è inalterabile, ma la base della nostra amicizia è più profonda di qualsiasi trattato. È costruita sullo spirito che anima il nostro popolo, gli obblighi del libro, i legami del cuore. Quando William Bradford è sceso dal Mayflower nel 1620, ha citato le parole di Geremia: “Che sia fatta in Sion la parola di Dio.” I fondatori della mia nazione vi hanno visto una nuova terra promessa e hanno dato alle loro città dei nomi tali: Betlemme e Nuova Canaan. E da allora, numerosi americani sono diventati gli avvocati appassionati della causa dello Stato ebreo. Secoli di sofferenze e di sacrifici dovevano passare prima che questo sogno si fosse compiuto. Il popolo ebreo ha sopportato l’agonia dei pogrom, la tragedia della grande guerra, e l’orrore dell’olocausto – ciò che Elie Wiesel chiama “il regno della notte.” Uomini senza coscienza hanno preso le vite ed hanno distrutto le famiglie. Tuttavia, non hanno potuto distruggere lo spirito del popolo ebreo, e non hanno potuto rompere la promessa di Dio. (Applausi) Quando fu diffusa, la notizia che Israele era libero Golda Meir, una donna non che conosceva la paura e che era cresciuta nel Wisconsin, non ha potuto trattenere le su lacrime. Più tardi, ha dichiarato: “Per duemila anni, abbiamo atteso la nostra liberazione. Ora che è accaduto è così grande e meraviglioso che ciò supera le parole umane.” La gioia dell’indipendenza si è ridotta con l’inizio della battaglia, delle lotte che sono continuate durante sei decenni. Tuttavia, nonostante la violenza, a dispetto delle minacce, Israele ha costruito una democrazia prosperosa nel cuore della terra santa. Avete accolto gli immigranti di provenienza dai quattro angoli della terra. Avete forgiato una società libera e moderna fondata sull’amore della libertà, la passione per la giustizia ed il rispetto della dignità umana. Avete lavorato senza sosta per la pace. Avete combattuto coraggiosamente per la libertà. L’ammirazione del mio paese per Israele non si ferma qui. Quando noi americani guardiamo ad Israele, vediamo lo spirito pionieristico che ha permesso un miracolo nell’agricoltura e condotto una rivoluzione nel settore delle alte tecnologie. Vediamo università di qualità internazionale ed un paese leader nel mondo per gli affari e per l’innovazione e le arti. Vediamo una risorsa più preziosa del petrolio o dell’oro: il talento e la determinazione di un popolo libero che non si lascia fermare da alcun ostacolo sulla via del suo destino. Ho avuto la possibilità di osservare il carattere di Israele da vicino. Ho toccato il muro del pianto, ho visto il sole riflettersi sul lago di Tiberiade, ho pregato a Yad Vashem. Ed oggi, mi sono recato a Massada, un monumento che evoca il coraggio ed il sacrificio. In questo sito storico, i soldati israeliani prestano giuramento: “Massada non cadrà di nuovo.” Cittadini di Israele: Massada non cadrà mai, e l’America sarà al vostro fianco. Quest’anniversario è l’occasione per riflettere sul passato. È anche un’occasione per guardare al futuro. Avanzando, la nostra alleanza sarà guidata da principi chiari, convinzioni condivise basate sulla morale e che non sono influenzate dai sondaggi di popolarità o dall’evoluzione dell’opinione delle elite. Crediamo nel valore incomparabile di ogni uomo, donna e bambino. È per questo che insistiamo sul fatto che il popolo di Israele ha diritto ad una vita pacifica normale, come i cittadini di tutte le altre nazioni. (Applausi) Pensiamo che la democrazia sia il solo mezzo per garantire i diritti dell’uomo. Riteniamo dunque che sia una vergogna quando l’ONU vota regolarmente risoluzioni sui diritti dell’uomo contro la democrazia più libera del Medio Oriente che non contro qualsiasi altra nazione nel mondo. (Applausi) Pensiamo che la libertà religiosa sia fondamentale per una società civilizzata. Dunque, condanniamo l’antisemitismo di ogni specie – che si tratti di quelli che mettono apertamente in discussione il diritto di Israele ad esistere, o di quelli che, placidamente, li giustificano. Riteniamo che i popoli liberi dovrebbero lottare e dedicarsi alla pace. È per questo che salutiamo le scelte coraggiose che i dirigenti israeliani hanno fatto. Pensiamo anche che le nazioni abbiano il diritto di difendersi e che nessuna nazione dovrebbe mai essere costretta a negoziare con gli assassini che hanno giurato la sua distruzione. (Applausi) Riteniamo che prendersi delle vite innocenti per raggiungere obiettivi politici sia inaccettabile sempre ed ovunque. Ci teniamo dunque uniti contro il terrorismo e l’estremismo, e non abbasseremo mai la guardia, né abbandoneremo la nostra determinazione. (Applausi) La lotta contro il terrorismo e l’estremismo è la più grande sfida del nostro tempo. È più di uno scontro tra eserciti. Si tratta di uno scontro delle visioni, di una grande lotta ideologica. Da un lato, ci sono quelli che difendono gli ideali della giustizia e della dignità con le armi della ragione e della verità. Dell’altro lato, ci sono quelli che perseguono una visione crudele del dominio, commettendo l’omicidio, spargendo la paura, propagandando menzogne. Questa lotta è condotta con la tecnologia del XXI secolo, ma alla radice, si tratta della vecchia battaglia tra il bene ed il male. Gli assassini si coprono col mantello dell’islam, ma non sono uomini di religione. Nessun uomo che prega il dio di Abraham potrebbe mettersi una giubbino esplosivo per commettere un attentato suicida contro un bambino innocente, o massacrare gli innocenti convitati della festa pasquale del Seder, o scagliarsi con gli aerei contro
torri dove ci sono lavoratori ignari di tutto.

In verità, gli uomini che commettono questi atti barbarici non hanno alcun altro obiettivo oltre al loro desiderio di potere. Non accettano alcun Dio superiore ad essi stessi. E nutrono un odio particolare per i difensori più ardenti della libertà, compresi gli americani e gli Israeliani. Ed è il motivo per cui lo statuto di Hamas chiama “all’eliminazione” di Israele. Ed è il motivo per cui i seguaci di Hezbollah sottolineano “Morte ad Israele, Morte all’America!” È per questo che Osama bin Laden insegna che “l’omicidio di ebrei ed americani è uno dei più grandi doveri.”

Ed è il motivo per cui il Presidente dell’Iran sogna un ritorno del Medio Oriente al medioevo e chiede soltanto che Israele venga cancellato dalla carta geografica. C’è gente onesta e buona che non riesce a comprendere la malvagità che c’è in quest’uomini e tentano di giustificare le loro parole. È un atteggiamento naturale, ma sbagliato. Come testimoni del male in passato, portiamo la responsabilità pesante di prendere queste parole seriamente. Gli ebrei e gli americani hanno visto le conseguenze di quando si sceglie di ignorare le dichiarazioni dei dirigenti che spargono odio. Ed è un errore che il mondo non deve rifare nel XXI secolo. Alcuni pensano che dovremmo negoziare con i terroristi ed i radicali, come se qualche argomentazione astuta potesse persuaderli dal fatto che stanno sbagliando da tempo. Abbiamo già sentito proferire questa credenza stupida in passato. Quando i blindati nazisti percorrevano la Polonia nel 1939, un senatore americano dichiarava: “Signore, se soltanto avessi potuto parlare a Hitler, tutto sarebbe stato evitato”. Abbiamo l’obbligo di ricordare ciò che comporta questo atteggiamento: la falsa pacificazione, che la storia ha già sovente screditato. (Applausi) Alcune persone suggeriscono che qualora gli Stati Uniti rompessero i legami con Israele, tutti i nostri problemi in Medio Oriente scomparirebbero. È un’argomentazione consunta che riprende la propaganda dei nemici della pace, e che l’America respinge completamente. La popolazione israeliana conta forse un po’ più di 7 milioni di abitanti. Ma quando fate fronte al terrore ed al male, siete 307 milioni, perché gli Stati Uniti d’America sono con voi. (Applausi.) L’America è con voi per distruggere le reti terroristiche e impedire agli estremisti di disporre i loro santuari. L’America insieme a voi si oppone alle ambizioni dell’Iran per il conseguimento di armi nucleari. Autorizzare il principale finanziatore del terrore nel mondo al possesso della più mortale delle armi sarebbe un tradimento imperdonabile per le generazioni future. Con un intento di pace, il mondo non deve permettere all’Iran di avere un’arma nucleare. (Applausi) Alla fine dei conti, per venire a capo di questa battaglia, dobbiamo offrire un’alternativa all’ideologia degli estremisti allargando la nostra visione di giustizia, di tolleranza, di libertà e di speranza. Questi valori sono diritti ovvi che appartengono a tutti i popoli, a tutte le religioni, in tutto il mondo perché sono un dono di Dio. Garantire questi diritti è anche il mezzo più sicuro di affermare la pace. I dirigenti che sono responsabili dinanzi al loro popolo non ricercano il confronto senza fine e gli spargimenti di sangue. I giovani che hanno un posto nella loro società e possono esprimersi sul loro futuro sono meno suscettibili di ricercare un senso nel radicalismo. Le società dove i cittadini possono esprimere i loro sentimenti e pregare il loro Dio, non ricorreranno alla violenza, ma saranno partner per la pace. La lezione fondamentale appresa nel XX secolo, è che la libertà dà la pace. Ormai, il nostro compito è di applicarla al XXI secolo. In nessun altro luogo questa impresa è più urgente che qui in Medio Oriente. Dobbiamo essere dalla parte dei riformatori che operano per rompere i vecchi schemi della tirannia e della disperazione. Dobbiamo dare voce a milioni di persone comuni che sognano una vita migliore in una società libera. Dobbiamo affrontare il relativismo morale che considera tutte le forme di governo altrettanto accettabili, condannando così società intere alla schiavitù. Su tutto, dobbiamo avere fede nei nostri valori ed in noi stessi, e lavorare per diffondere la libertà che apre la via ad un futuro pacifico. Questo futuro comporterà una trasformazione grandiosa del Medio Oriente rispetto ad oggi. Mentre celebriamo i 60 anni della fondazione di Israele, tentiamo di immaginare ciò che sarà la regione tra 60 anni. Questo progetto non si realizzerà facilmente né in una notte, incontrerà una resistenza violenta. Ma se noi ed i presidenti futuri ed i futuri eletti dello Knesset manterranno la nostra determinazione e la fede nei nostri ideali, ecco il Medio Oriente che potremo osservare: Israele celebrerà il suo 120° anniversario come una delle più grandi democrazie del mondo, e sarà una patria prosperosa e sicura per il popolo ebreo. Il popolo palestinese avrà la patria che merita e che sogna da tempo: uno Stato democratico disciplinato dalla legge, che rispetta i diritti dell’uomo, e che respinge il terrore. Dal Cairo a Riad, a Bagdad ed a Beirut, i popoli vivranno nella libertà e nelle società aperte, in cui il desiderio di pace sarà rafforzato dai legami della diplomazia, del turismo e del commercio. L’Iran e la Siria saranno nazioni pacifiche, dove l’oppressione che regna oggi sarà soltanto un ricordo lontano e dove la gente sarà libera di esprimere i propri punti di vista e di sviluppare i talenti che dio ha dato loro. Al-Qaïda, Hezbollah ed Hamas saranno vinti, poiché i musulmani della regione avranno riconosciuto come inutili i progetti dei terroristi ed avranno capito che la loro causa è ingiusta. Globalmente, il Medio Oriente sarà caratterizzato da un nuovo periodo di tolleranza e d’integrazione. Ciò non significa comunque che Israele ed i suoi vicini saranno i migliori amici del mondo. Ma quando i dirigenti della regione risponderanno ai desideri dei loro popoli, concentreranno le loro energie sullo sviluppo delle scuole e dell’occupazione, e non sugli attacchi con i razzi o gli attentati suicidi. Con questi cambiamenti, Israele aprirà un nuovo capitolo della sua storia con la speranza che il suo popolo possa vivere una vita normale, e che il sogno di Herzl e dei fondatori del 1948 possa essere interamente e finalmente realizzato. È una visione audace, e alcuni diranno, non potrà mai essere realizzata. Ma pensate a ciò di cui siamo stati testimoni nel nostro tempo. Quando l’Europa si distruggeva con la guerra totale e il genocidio, era difficile prevedere che questo continente, sei decenni più tardi, avrebbe vissuto libero ed in pace. Quando i piloti giapponesi guidavano missioni suicide contro le navi da guerra americane, sembrava impossibile che sei decenni più tardi il Giappone sarebbe stato una democrazia, un elemento essenziale della sicurezza in Asia, ed uno dei più vicini amici dell’America. E quando le ondate di profughi sono arrivate qui nel deserto, private di tutto, circondate da eserciti ostili, era quasi impossibile immaginare che Israele si sarebbe trasformata in una delle nazioni più libere e più prosperose della terra. Tuttavia, ciascuna di queste evoluzioni ha avuto luogo. Ed un avvenire fatto di cambiamenti è possibile in Medio Oriente, quando una nuova generazione di dirigenti avrà il coraggio di superare i nemici della libertà, fare le scelte difficili necessarie alla pace, ed avrà adottato una posizione ferma basata sulla roccia solida di valori universali. Sessanta anni fa, alla vigilia dell’indipendenza di Israele, gli ultimi soldati britannici che lasciavano Gerusalemme si fermarono dinanzi ad un edificio nella zona ebrea della vecchia città. Un ufficiale bussò alla porta per incontrare il grande rabbino. L’ufficiale gli mostrò una piccola barra metallica – la chiave della porta di Sion – e gli disse che era la prima volta in 18 secoli che una delle chiavi che aprivan
o le porte di Gerusalemme apparteneva ad un ebreo. Con le mani tremanti, il rabbino offrì una preghiera di grazie a Dio, “che ha accordato la vita e ci ha permesso di raggiungere questo giorno.” Quindi girò verso l’ufficiale, e pronunciò le parole che gli ebrei attendevano da tanto tempo: “Accetto questa chiave in nome del mio popolo.” Nel corso degli ultimi sei decenni, il popolo ebreo ha creato uno Stato di cui questo umile rabbino può andare fiero. Avete costruito una società moderna sulla terra promessa, una luce irradiante le nazioni che mantiene l’eredità di Abraham, Isaac e Jacob. Ed avete costruito una democrazia potente che durerà per sempre e che avrà al suo fianco gli Stati Uniti d’America. Dio vi benedica.

 

Pubblicazione originale della Casa Bianca