CHI AMA I "LAMA"?

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Ovvero da Karl Marx a Richard Gere

Per i comunisti il cervello è divenuto un bagaglio ingombrante, un pesante fardello da portarsi appresso con grande fatica, un organo atrofizzato senza plasticità sinaptica che non è più aduso al pensiero, figuriamoci a quello indipendente.

La vicenda dei monaci tibetani e della loro rivolta contro il regime di Beijing ha rinfocolato gli spiriti pii grandi predicatori del verbo liberale, l’esercito delle anime candide che spande ai quattro venti (sotto lauta remunerazione) idiozie inoppugnabili da esportazione, sotto specie di diritti civili e umani o di libertà democratiche. I grandi vettori mediatici, le organizzazioni pacifiste, le ong di ogni risma, sono solo la punta più avanzata di questa guerra “non violenta” messa in atto dai governi occidentali e che risponde ad una strategia di colonizzazione culturale con la quale si cerca di destabilizzare i paesi non allineati, agendo sulle loro contraddizioni sociali (soprattutto laddove risulta impensabile attivare una minaccia armata diretta, come già accaduto con paesi militarmente deboli).

Così, mentre molte tra le nazioni europee più succubi di Washington propongono di boicottare le Olimpiadi Cinesi, con l’obiettivo di dare un segnale alla “dittatura comunista”, sono sempre di meno le voci (cosiddette) alternative che evitano di sovrapporre i loro starnazzi a quelli del Circo Mediatico Imperante.

Tra queste non ve n’è alcuna che abbia fatto notare, anche en passant, come la protesta in Tibet sia stata fomentata dalle solite organizzazioni che ricevono supporto economico e logistico da parte degli Usa (i quali in passato hanno anche addestrato molti tibetani nei loro famosissimi “allevamenti di polli e di canaglie” sparsi un po’ in tutto il mondo) e come lo stesso Dalai Lama abbia cattive frequentazioni in odor di CIA che non gli fanno mancare i denari per i suoi santi pellegrinaggi nel nostro meraviglioso “mondo libero”. Si vuole screditare la Cina, paese che si è messo in testa di competere con gli Usa sul piano geopolitico, agli occhi di una opinione pubblica internazionale sempre più affogata nei racconti immaginifici di questo “Oceano di Saggezza” servile.

Oltre a ciò, il circuito ufficiale dei media si è anche ben guardato dal mettere in evidenza quanto la maggior parte dei tibetani consideri sì legittima la protesta contro Beijing ma, al contempo, come non voglia assolutamente il ritorno del Dalai Lama, ultimo testimone in esilio dei retaggi di una società fortemente gerarchizzata e autoritaria che manteneva nell’ignoranza (ed al livello di servitù della gleba) il grosso della popolazione.

Il governo cinese ha strappato ai monaci ed ai signori feudali il tetto “immobile” del mondo dove la religione costituiva ancora il principale meccanismo di riproduzione sociale. Era davvero quella tibetana una società armonica dedita alla contemplazione spirituale? Fandonie che i monaci vendevano e vendono ai turisti, mentre tra loro operano con quella metis indispensabile a scalzare gli altri monasteri per ingrandire i propri appannaggi e le proprie prerogative castali. Sempre a spese del popolo, s’intende.

Tra i molti spudorati lacchè che condannano con sdegno la reazione violenta delle autorità cinesi contro le manifestazioni “pacifiche” dei monaci ci sono i rifondaroli i quali, per bocca di Bertinotti e del suo portavoce, tale Fabio Rosati, fanno sapere che sono solidali con il popolo tibetano e che reagiscono con sdegno all’oppressione  intollerabile di cui si è resa responsabile la classe dirigente cinese. Diciamo che “portavoce non porta pena” né, tanto meno, esprime idee proprie, soprattutto se deve mostrare gratitudine nei confronti di colui che lo starebbe piazzando nell’ufficio stampa della Camera vita natural durante (secondo quanto riportato da Il Giornale in un articolo della scorsa settimana).

Ma sentiamo cosa dice Rosati in una lettera inviata a Il Giornale di ieri: “Gentile direttore, una lettera de Il Giornale chiamava in causa il presidente della Camera Fausto Bertinotti in merito alla tragedia tibetana [notare lo stile empatico del portavoce]. Un suo lettore si chiedeva polemicamente che cosa stesse facendo Bertinotti e perché fosse assente una sua posizione su questi terribili avvenimenti [il trasporto di Rosati per questo “immane evento doloroso” è degno del clima elettorale di questi giorni].

Per dovere di cronaca, e come lei e i suoi redattori dovrebbero sapere, il presidente ha avuto modo di esprimere tutta la sua solidarietà al popolo tibetano e una ferma condanna nei confronti della repressione cinese, fin da quando sono giunte dal Tibet tragiche notizie [ecco cosa vuol dire gettare il cuore sul tetto del mondo!]. Condanna che si è sempre accompagnata a chiare prese di posizione in favore del riconoscimento dei diritti umani, in Cina come altrove. In particolare, adoperandosi per ogni forma di dialogo e di pacifica e civile convivenza e sostenendo le richieste di autonomia esposte dal Dalai Lama, nonché esprimendo pieno incoraggiamento e condivisione rispetto alla scelta nonviolenta dello stesso Dalai Lama, Bertinotti ha sempre giudicato inaccettabile il ricorso a misure repressive, da qualsiasi parte esse provengano”.

Si sa che i comunisti istituzionali hanno sempre amato i “Lama”, metamorfosati in santoni o sindacalisti ragionevoli, il che, più o meno, è la stessa cosa. Del resto, il Dalai Lama ha dichiarato di sentirsi un po’ marxista per le idee di uguaglianza che questa visione del mondo porta con sé. Evidentemente, Bertinotti e compagni si sono emozionati per la citazione ed hanno ricambiato dimostrando irritazione per il “genocidio culturale” messo in atto dai cinesi. La miopia politica insita in tali affermazioni è evidente e dimostra, al tempo stesso, quanto i comunisti siano stati completamente fagocitati dalle regole del Politically Correct (che hanno anche metabolizzato) imposte dal "saggio" consesso dominante a chi vuol essere parte del mondo moderno. Però non si capisce come mai mentre da noi fanno di tutto per tenere alta la loro fama di mangiapreti e con questa ardiscono scagliarsi contro il passatismo e l’oltranzismo del Vaticano, quando invece si tratta di monaci “esotici” in abiti arancioni (nefasto colore controrivoluzionario!) il loro ostentato “laicismo” finisce, immancabilmente, per condurre alla crisi mistica. Provi Bertinotti ad abbeverarsi al sacro orinale del Lama così si sentirà realmente partecipe di quella cultura tanto armonica e democratica.

Appare anche piuttosto strano che nei confronti delle autorità cinesi si rispolveri tutto l’antico frasario veterocomunista sulle persecuzioni poliziesche (le immagini arrivate dal Tibet hanno attestato che quella protesta non aveva nulla di pacifico) mentre, in Italia, Rifondazione non ha avuto nulla da ridire ed anzi ha avvalorato la promozione di De Gennaro dopo i fatti del G8 di Genova.

 

Eppure, c’era un tempo in cui una parte dei comunisti non si faceva incantare dalla “metempsicosi dei Lama”. Oggi non è più così e persino uno come Ferrando, fuoriuscito da Rifondazione per non diventare un’ennesima pedina al servizio “degli interessi della borghesia imperialista”, ripete, in televisione, le stesse sciocchezze sul Tibet dei suoi compagni di un tempo. Da Marx a Richard Gere il passo è stato breve. C’è sempre una ragione alla base degli incontri durevoli, anche quando i sodalizi finiscono e le strade sembrano divergere. Sembrano divergere…