CHI GIOCA CON L’INSTABILITA’ ASIATICA? A cura di G.P.

 

Segnalo queste riflessioni sulla situazione nel continente asiatico, tratte da un articolo di Christian Bouchet, Après les Tibétains, les Ouïgours (per altro discutibile in tutta la sua prima parte che quindi evito di riprodurre). Tuttavia, la ricostruzione della strategia statunitense, detta dell’anaconda, su quei teatri centroasiatici dove permangono sacche d’instabilità etnico-religiosa, sfruttate dagli statunitensi per creare problemi a paesi come Cina e Russia, mi pare molto ben fatta e interessante. Occorrerà tenerne conto, in quanto, con l’approfondirsi della lotta multipolare tra le potenze, questi scenari saranno periodicamente testimoni di proteste poco spontanee e di repressioni quasi inevitabili.

 

“…Geopoliticamente tuttavia, esattamente come in Tibet, questa volontà di resistenza (degli Uiguri) e di sopravvivenza viene strumentalizzata per servire gli obiettivi dell’impero del male. È la strategia famosa dell’anaconda concepita dal dipartimento di Stato americano per contrastare l’opera paziente e continua di tessitura di relazioni speciali tra la Russia, l’India, la Cina, l’Iran ed i paesi dell’Asia centrale, attuata da Putin, e diligentemente proseguita ora da Medvedev. Gli analisti del dipartimento di Stato hanno identificato nelle regioni della massa continentale eurasiatica le zone di crisi potenziali a causa di tensioni endogene storiche ancora irrisolte, ed hanno definito scenari geopolitici che sono in sintonia con i desiderata e gli interessi globali di Washington e del Pentagono. È in questa prospettiva di operazioni di destabilizzazione e di pressione sulla Cina, la Russia e l’India che si deve interpretare la questione della minoranza del popolo Karen e “della sommossa„ color zafferano del Myanmar, la destabilizzazione del Pakistan, il conflitto del Cashemire il mantenimento di una crisi endemica nella regione afgana e… l’agitazione ricorrente del Tibet e dello Xinjiang, nella Repubblica Popolare Cinese. L’importanza di destabilizzare lo Xinjiang si capisce meglio quando si prende coscienza che esso ha una frontiera comune con la Mongolia, la Russia, il Kazachstan, il Kirghizstan, il Tagikistan, l’Afganistan, il Pakistan e l’ India. Urumqi è oggi una città dove Kazaki, Kirghizi ed altri vicini dello Xinjiang vengono a fare shopping, curarsi e divertirsi. Urumqi è anche diventata il centro commerciale e finanziario di una zona economica in corso di creazione, destinata a riunire gradualmente tutti i popoli dell’Asia centrale, anche quelli dell’ovest della Cina ed a svolgere un ruolo di perno nella costruzione eurasiatica. Destabilizzare questa regione equivale a destabilizzare tutta questa costruzione… Inoltre, nello Xinjiang, ci sono anche prospettive sul gas e il petrolio, senza contare uranio e carbone… Destabilizzare la regione vuol dire rendere queste risorse difficilmente sfruttabili, o meno sfruttabili. Infine, last but not least, i disordini nello Xinjiang hanno un altro interesse geopolitico: rendono difficili le relazioni tra la Cina, la Turchia e la totalità dell’Umma, l’una rendendosi solidale con una popolazione eticamente turca, l’altra con una popolazione religiosamente musulmana… "