CONGIUNTURA ECONOMICA E PROBLEMI NEL MONDO ARABO di M. Tozzato

Sul Sole 24ore del 31.01.2011 Luca Paolazzi e Fabrizio Galimberti continuano la loro consueta rubrica sulla congiuntura economica internazionale. Galimberti sembra essersi posto l’obiettivo di far dimenticare ai lettori la cattiva nomea dell’Economica, definita da sempre la “scienza triste”, elargendo a piene mani ottimistiche previsioni. Ed infatti inizia in maniera confortante:

<<…l’anno in corso segnerà un incremento del Pil mondiale prossimo a quello degli anni migliori pre-crisi. Progressi robusti sono stati registrati ovunque, o quasi. A guidare la carovana ci sono, è naturale, gli emergenti. Il cui passo stellare (in media il 6,5%, con 8-10% in Cina e India e la metà in Brasile e Russia) mostra fisiologici rallentamenti. Ma ora anche gli avanzati fanno la loro parte.>>

S’intende che i fisiologici rallentamenti riguardano periodi non superiori al trimestre, mentre il trend annuale risulta praticamente stabile; negli Stati Uniti, intanto, i consumi anche di beni durevoli e persino la vendita di case appaiono in buona ripresa grazie, secondo Galimberti e Paolazzi, a una politica economica espansiva con bassi tassi di interesse e pressione fiscale moderata e in attenuazione. Ma se le previsioni dei nostri professori danno il Pil negli Usa in crescita del 4% ben diversa appare la situazione in Europa dove comunque in Germania e Francia il PMI (1) appare in crescita sia nel settore manifatturiero che in quello dei servizi. Galimberti osserva ancora che continua a sussistere una

<<doppia velocità della crescita all’interno dell’area euro, con i Paesi mediterranei (inclusa l’Italia) in affanno e quelli nordici dinamici: la scommessa è che la forbice si chiuda verso l’alto, ma senza mutamenti nella competitività ciò sarà più difficile.>>

Secondo i due economisti, intanto, il pericolo di una ripresa dell’inflazione <<è più temuta che reale>> perché se è vero che le materie prime – e precisamente i prodotti energetici e quelli alimentari – continuano a crescere, d’altro canto assistiamo ad una fase di moderazione/stagnazione salariale dovuta all’alto tasso di disoccupazione. Per quanto riguarda i tassi di interesse essi tendono al rialzo

<<nei paesi emergenti, dalla Cina all’India alla Thailandia, che agiscono anche su altri strumenti (coefficienti di riserva obbligatoria, massimali, moral suasion) che sono messi al servizio della restrizione).>>

Contemporaneamente il calo della domanda di titoli pubblici tende ad aumentarne e quindi a normalizzarne i rendimenti. Questo costituisce senza dubbio un problema per i paesi con elevato debito pubblico, costretti a “razionalizzare” ancor più la spesa delle pubbliche amministrazioni ma, rilevano Galimberti e Paolazzi, questi aumenti dei tassi dei titoli pubblici non si sono ripercossi, sino ad ora, sull’indice del costo del denaro per le imprese. I due professori non ci dicono perché le cose siano andate così per cui non ci resta che fare magari una ipotesi pertinente per un profano come il sottoscritto: il livello della spesa per investimenti risulta forse ancora troppo basso considerando, prima di tutto, quanto le banche sono ancora restie a “rischiare” – come accade in Italia per le piccole-medie imprese – e in secondo luogo il fatto che l’ammontare della domanda relativa ad attività “sicure” non è ancora sufficientemente elevata. Galimberti continua poi affermando che

<<in campo valutario continua la resistenza all’apprezzamento delle valute emergenti.>>

E il Brasile, ad esempio, pur mantenendo tassi relativamente alti per paura dell’inflazione esita, come del resto anche altri paesi in condizioni simili,

<<a ricorrere alla restrizione monetaria per timore che incoraggi afflussi di capitale e causi monete più forti.>>

D’altra parte la dinamica interna di un paese come la Cina sta portando ad un apprezzamento reale dello yuan: la persistente elevata domanda interna e l’aumento continuo delle importazioni – legato all’entrata di questo grande paese in una nuova fase di industrializzazione con allargamento del ventaglio di prodotti offerti – oltre a ripercuotersi sul livello dei prezzi interni porta ad una maggiore richiesta della valuta cinese nel resto del mondo. Dal nostro punto di vista di fronte a questa panoramica ci sembra di dover evidenziare principalmente:

  1. che il tasso di disoccupazione continuerà a rimanere molto elevato, anche in occasione di qualche “ripresina”, per un periodo molto lungo e forse per tutta la durata di questa nuova grande depressione;

  2. che i debiti sovrani (debito pubblico interno) continueranno a crescere, anche se non in maniera costante, seguendo gli “alti e bassi” della congiuntura e costringendo gli stati a notevoli tagli della spesa pubblica, con ripercussioni particolarmente importanti nell’ Europa nord-occidentale dato il probabile stravolgimento del welfare state e delle condizioni “reali” e normative relative sia al lavoro dipendente che a quello autonomo parasubordinato.

  3. che in questo periodo di lunga depressione sarà determinante sviluppare una dinamica innovativa sia per quanto riguarda i rapporti di lavoro sia, soprattutto, in tema di innovazioni di prodotto per le quali risulterà indispensabile, per ogni formazione sociale particolare, allargare la propria area di influenza tramite alleanze interstatali e interregionali.

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Sul Sole 24ore di oggi, 06.02.2011, si legge:

<<Inviato dalla Casa Bianca, Wisner (2) è arrivato al Cairo il 29 gennaio, secondo il New York Times per recapitare a Mubarak il messaggio di Obama. Il cambiamento deve iniziare “ora”, cioè devi passare le consegne.>>

Ora Wisner e dietro di lui l’amministrazione Usa e i loro servi europei hanno cambiato opinione. Il diplomatico ha infatti dichiarato:

<<Mubarak deve rimanere al suo posto per pilotare una transizione pacifica verso la democrazia […]è necessario un consenso nazionale su quali siano le precondizioni per il prossimo passo, e il presidente deve rimanere in carica per guidare il cambiamento.>>
A questo punto viene da pensare che il minaccioso iniziale atteggiamento di Obama nei confronti di Mubarak sia servito a convincere quest’ultimo ad accettare di diventare passivo esecutore del progetto Usa in cambio di alcune garanzie riguardo al modo in cui avverrà la sua uscita di scena. Mubarak non subirà sanzioni e persecuzioni e si potrà tenere tutto (o quasi) il malloppo che ha accumulato. Ora sembra che anche l’esercito abbia avuto l’ordine di calmare i bollori dei “paladini della democrazia”: di fronte al pericolo di trovarsi in contrasto sia con il mondo arabo moderato che con il 51° stato dell’Unione (s.a.) cioè Israele (oltre al rischio d fomentare la ribellione dell’islamismo radicale) sono state modificate alcune linee della tattica e della strategia di intervento nei paesi arabi non propriamente alleati né dell’Occidente né delle potenze emergenti. Adesso non ci resta che aspettare i prossimi sviluppi anche per vedere se gli Usa e la Ue troveranno altri avversari oltre alle masse islamiche tradizionaliste e nazionaliste nel portare avanti questo loro progetto.

(1)L’indice PMI – dove PMI significa Purchasing Managers Index – in italiano sarebbe indice dei direttori agli acquisti. Secondo la definizione degli esperti de il Sole24Ore “La figura del direttore agli acquisti è una figura chiave in un’azienda, perché deve procurare gli input in vista dell’output, e quindi ha il polso della situazione aziendale. Nei diversi Paesi i direttori agli acquisti hanno una loro associazione professionale, e attraverso queste associazioni svolgono un sondaggio presso i propri associati. Questi sondaggi sono molto seguiti perché il campione è molto esteso e i risultati di queste inchieste si sono rivelati affidabili nel tracciare e anticipare la congiuntura.” [Da un glossario trovato in internet] .

(2) Frank Wisner, 72 anni, è l’ex ambasciatore in Egitto fino al 1991, grande amico di Mubarak; egli è inoltre l’ex manager della famigerata Enron e ora della Eog (petrolio). [dal Sole 24 ore]

Mauro Tozzato 06.02.2011