CRESCANO GLI "APOLIDI" DI SINISTRA E DI DESTRA a cura di Giellegi

Mi permetto di inserire l’articolo odierno di Caldarola su Il Giornale, perché quello che scrive è pur sempre una piccola svolta. Caldarola è dell’ala riformista e moderata della sinistra; credo che non molto tempo fa (forse ancora all’epoca delle elezioni) fosse con Veltroni. Indubbiamente, l’orientamento sia teorico che politico di questo personaggio è pressoché agli antipodi del mio. Ciononostante, almeno da quello che sta scrivendo ultimamente, non ho alcuna difficoltà ad ammettere che è una testa ragionante e che indica una strada da percorrere, almeno per il prossimo breve periodo, al fine di attutire il più possibile l’imminente sfascio di un paese allo sbando (evitarlo del tutto mi sembra abbastanza difficile). L’unico rilievo – nemmeno veramente tale – è che non parlerei semplicemente di “apolidi di sinistra”; occorrono apolidi di entrambi gli schieramenti, di un vero soprassalto che si opponga a quello che in altra occasione ho chiamato “gioco degli specchi” (titolo di un mio recente libro, rimasto certo ignoto perché non ho visibilità mediatica) tra due schieramenti ormai incapaci di vera progettazione politica; pur se in questo momento è soprattutto la sinistra – e ancor più quella che pretende di essere “radicale” ed è solo patetica e s-fascista – a dimostrarsi un bubbone pestilenziale da incidere e da spurgare.

Da anni e anni non si fa più politica, ma solo battibecco per cui se da destra si dice bianco, a sinistra si risponde nero; e viceversa. Soprattutto, però, la sinistra ha sostituito la politica con il ricorso agli “amici” magistrati, in un’orgia di giustizialismo che ha annientato una corretta e lucida battaglia di idee e di progetti. Perfino nelle lotte interne al Pd, in questi giorni, la politica è assente e si ricorre sempre agli stessi metodi, che ormai stanno portando al totale sbriciolamento del paese proprio quando è in procinto di affrontare una grave crisi. Non più quella finanziaria, assai meno pericolosa e drammatica (oggi le borse “ridono” mentre Venerdì scorso erano “in lutto”; ed andremo avanti così per un pezzo), ma la vera crisi, quella dell’economia detta reale; che non è mai affatto una semplice crisi dell’economia, ma una trasformazione – tumultuosa o strisciante – della struttura sociale e dei rapporti di forza tra gruppi dominanti che, se non controllata minimamente, può condurre a cambiamenti drammatici e dolorosi.

Altro limite di questa sinistra – e dell’agente provocatore, nient’affatto di sinistra e al servizio di non si sa chi, che la sta condizionando e portando alla catastrofe (ma con l’intero paese) – è quello di aver sostituito ogni polemica di tipo politico, fatta di progetti e valori alternativi, con la demonizzazione di una persona, di Berlusconi; tanto da vellicare i suoi possibili oppositori interni – da Bossi all’opportunista Fini – solo per scalzarlo dalla poltrona, senza proporre alcuna politica estera (molto migliore quella di Berlusconi, che subisce pure le opposizioni intestine appena nominate) o interna degne di questo nome. Sulla politica economica, si potrebbe effettivamente ridere della ricetta berlusconiana con prediche rivolte, in modo indifferenziato, alla “gente” perché non abbandoni le sue abitudini di sempre e continui a consumare onde evitare il crollo della domanda, ritenuto responsabile della crisi. Consiglio evidentemente sciocco e futile poiché non si capisce in qual modo una ormai netta maggioranza della popolazione, in difficoltà per mancanza di reddito sufficiente a mantenere i vecchi standard di vita, possa supplire a questa carenza. Come invia lettere a tutti gli elettori in prossimità delle elezioni, il cavaliere invii da Arcore ad almeno il 70% degli italiani un assegno di 10.000 euro; e forse allora, per un paio di mesi, si comprerà qualcosa in più. E poi?

Tuttavia, la sinistra non può nemmeno invitare a ridere perché non ha nulla di alternativo da proporre: solo manifestazioni scomposte per opporsi alla riduzione della spesa pubblica corrente (solo però al fine di dirottare maggiori risorse verso i nostri settori più produttivi e innovativi, la ricerca scientifica e tecnica, il finanziamento di una politica diplomatica e di “altro genere” adatta a conquistare maggiori “spazi” nel mondo), e scioperi distruttivi per aumenti salariali che partono sempre dal solito principio secondo cui la crisi si sana aumentando il consumo. Quindi, asino Berlusconi e asina la sinistra. Debbono appunto aumentare gli “apolidi” di entrambi gli schieramenti. L’articolo di Caldarola è almeno un piccolo passo in avanti, mentre quello che si legge, tanto per fare un esempio, dalle parti della sinistra “alternativa” fa ormai vomitare. Un taglio netto con il passato di una sinistra infame, meschina, senza idee! E senza lasciarsi abbindolare dalla mera questione morale, da possibili nuove tangentopoli. Basta sostituire la politica con devianti moralismi! Vogliamo idee, non ipocrisie di gentaglia che predica. Semmai, sarebbe bello avere forche e plotoni di esecuzione proprio per i moralisti e i giustizialisti, la parte più marcia e corrotta di una popolazione. Eliminiamola al più presto, crescano gli “apolidi” di sinistra (soprattutto) e di destra!

 

Il caso Democratici disillusi: via alla diaspora

di Peppino Caldarola

Io li chiamo gli «apolidi di sinistra». Sono quei militanti che generalmente hanno trascorso una vita nella sinistra ma che rinunciano alla politica e, in molti casi, non si riconoscono più in alcun partito di sinistra, tanto meno nel Pd. È un fenomeno dilagante che riguarda personaggi famosi e gente comune, elettori ed ex elettori. La cronaca recente ci consegna tre nomi con tre biografie e motivazioni diverse. La prima è Irene Tinagli, ricercatrice di 34 anni a Pittsburgh, Usa, che Veltroni ha messo nella Direzione del Pd per utilizzare, così rivela la stessa Tinagli, le sue competenze e la sua freschezza politica. La Tinagli ha scritto due settimane fa una lettera al Riformista rivolta al suo segretario in cui annuncia le dimissioni. Resta di sinistra ma va via, riprende la sua marcia di ricercatrice solitaria, apolide, senza più patria politica. Nessuno le risponde. Lo stato maggiore del Pd la lascia andare senza chiederle una spiegazione, senza rincorrerla, senza proporle una prova d’appello.
Ieri le cronache erano piene della notizia sull’incatenamento del sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, che, colpito da una disinvolta inchiesta giornalistica di Repubblica e dell’Espresso, decide di protestare contro i giornali delle gruppo De Benedetti, la portaerei mediatica della sinistra. L’incatenamento di Domenici sancisce un divorzio clamoroso, quello fra la sinistra e il suo giornale-partito, un vero trauma per il popolo di sinistra e la rottura di un rapporto antico fra il mondo anti-berlusconiano e il quotidiano di via Cristoforo Colombo. Ma il gesto clamoroso di Domenici non sono le catene che per due ore lo tengono avvinto a un palo accanto alla sede del quotidiano che fu di Eugenio Scalfari. Domenici ha contemporaneamente annunciato che rinuncia alla politica, come ha confermato ieri nella trasmissione della Annunziata. Finito il mandato di sindaco rinuncia al seggio europeo e torna a casa. Nessuno gli chiede di restare. Gli apolidi di sinistra acquisiscono una nuova adesione eccellente. Forse sarà temporanea, ma rivela che la fuga, o il ritiro, è l’opzione sul campo.
Infine Claudio Velardi, ex-Lothar dalemiano, uomo intelligentissimo, di molte relazioni che nel momento più difficile per Bassolino scende da Roma a Napoli per fargli da assessore. Anche lui si chiama fuori dalla sinistra organizzata e lavora per una lista bipartisan alle prossime elezioni comunali di Napoli. Ci sarebbero poi i cantautori, da Francesco De Gregori a Jovanotti a Dalla, e altri ancora, che fanno outing e, pur non rinunciando alle proprie idee, sciolgono gli antichi legami. Ci sono, infine, le tante lettere di militanti angosciati e senza speranza che arrivano ai giornali di sinistra.
Lo stato maggiore del Pd assiste attonito a queste fughe individuali che stanno diventando una fiumana. Nessuno parla, tutti sperano che l’esodo finisca ma la diaspora continuerà.
Gli apolidi di sinistra stanno diventando il fenomeno più rilevante di questa stagione della sinistra. Dall’impegno al disimpegno, dalla militanza all’auto-isolamento. Vanno via in silenzio o sbattendo la porta, non chiedono ospitalità all’altra parte anche se non accettano più la demonizzazione di Berlusconi e le manette di Di Pietro. È gente comune e gente eccellente, sono stati rivoluzionari o riformisti. Ora sono più niente, ovvero sono di sinistra ma di una sinistra fatta in casa, celebrata entro le quattro mura. Hanno ritirato la delega, non si fidano, non sopportano più le vecchie facce e la loro fuoriuscita viene accolta dal silenzio sgomento di chi è incapace di reagire di fronte a ragioni che non possono essere contrastate.

L’apolide di sinistra rivela il fallimento della sinistra attuale. La caduta degli dei. In fondo è la dichiarazione di fallimento di chi cantava che «la storia siamo noi» e scopre che la storia è diventata cronaca di duelli personali, di tragedie giudiziarie, di contrappasso rispetto alle prediche moralistiche di Enrico Berlinguer. Per anni l’apolide ha vissuto accanto a noi, dentro di noi, ma veniva esorcizzato dal pericolo del regime del «demonio» berlusconiano. Erano dalla parte della ragione, ovvero, come recitava orgogliosamente il Manifesto, dalla parte del torto snobistico. Ora scoprono di essere soli e di essere un esercito di persone sole. È gente che sceglie di appartarsi per poter continuare a credere alla politica che diventa un rito pagano da consumarsi davanti ad altari familiari privi di vita comunitaria. Li ho chiamati apolidi di sinistra, ma sono un nuovo popolo di «camminanti» che sa dov’era, ma non so dove andrà.