CRONACHE DA PERIFERIA DA BASSO IMPERO, di Giuseppe Germinario

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Si sono insediati dieci mesi fa con la sicumera di chi conosce perfettamente la fonte e la garanzia della grazia e potestà ricevute. Hanno dato immediatamente ampio sfoggio delle loro competenze accademiche sbandierando un programma di lavoro tale da occupare almeno tre legislature; distribuito con certosina determinazione a piene mani la loro sapienza di tecnici in una miriade impressionante di provvedimenti che vanno dal bollino blu collegato alla scadenza della patente, alla scadenza della carta d’identità in coincidenza del compleanno, alla tassazione delle bibite, provvedimenti  frutto per lo più di una insolita asta in cui centinaia di migliaia di cittadini volenterosi e generosi hanno soccorso i soloni in affanno con le loro proposte le più svariate. Hanno promesso e minacciato, nel frattempo, che non avrebbero guardato in faccia a nessuno, tanto meno ai poteri forti, alle corporazioni, ai gruppi di potere e avrebbero liberato gli italiani, loro malgrado, dalle catene della burocrazia proiettandoli  nel mare aperto del mercato, condizione indispensabile e, in mancanza d’altro, unica della crescita.

Ad appena  dieci lune di distanza eccoli recriminare come vecchie zitelle indispettite sui lacciuoli della pubblica amministrazione, sulle inerzie della burocrazia, sulle spinte corporative nella società civile, sull’egoismo e la miopia dell’Europa, fattori  i quali stanno rallentando e distorcendo i loro propositi; tutti argomenti su  cui hanno chinato il capo in profonda riflessione e pontificato da cattedre e commissioni.

Bisogna comprenderli nel loro smarrimento; in pochi mesi stanno mettendo a repentaglio il prestigio accumulato in decenni di onorato servizio nelle università, nei consessi più esclusivi e prestigiosi, negli ambienti più riservati ; stanno smarrendo le loro certezze accademiche.

Siedono ancora sul carro alato, mantengono con qualche stanchezza la favella da imbonitori, ma dalle loro mani sono scivolate rapidamente le briglie dei cavalli.

Si sa, purtroppo, che continueranno a stare sul carro per almeno altri otto mesi; di questo passo, però, scivolando sempre più dal posto di guida, aggrappati alle ruote piuttosto che al comando della biga; malconci ma comunque con i destini personali in gran parte garantiti e con una landa desolata ai loro piedi come obolo delle loro certezze e conseguenza dei loro servigi.

Hanno presentato la mole immane di interventi come il segno del loro attivismo e della loro operosità, della volontà e capacità riformatrice; una manifestazione, quindi, a sentir loro di forza e autorevolezza.

In realtà quella pletora di provvedimenti è il segno più evidente della loro debolezza e insulsaggine, della loro estraneità e ostilità agli interessi strategici del paese.

Cercherò di non commettere l’errore di ridurre tutti gli atti di questa compagine ad una vacuità uniforme; vi è in essi, certamente, una gerarchia precisa di importanza  e una evidente diversa lucidità nel perpetrarli.

LO SPIRITO UNIVERSALISTICO

Sino a quando si tratta di assecondare pedissequamente le scelte e gli interessi americani, anche i meno significativi, Monti e compagni paiono cavarsela con sufficienza. Dalla Siria alla Libia, all’acquisto dei caccia F35, alle crociate sui diritti umani a senso unico siamo solamente e banalmente ai peggiori momenti di sciatto servilismo atlantico degli ultimi decenni.

I momenti di maggiore fulgore li ha raggiunti con la riesumazione dell’europeismo egualitario tra gli stati con il quale, vellicando l’amor proprio dei restanti stati europei, ha cercato di sgretolare l’asse franco-tedesco, recuperare almeno parzialmente i fasti della Commissione Europea e rimettere pienamente in gioco i paesi europei più legati agli Stati Uniti, a cominciare dalla Gran Bretagna. Il disegno non era privo di visione strategica e di qualche sagacia tattica. La lettera dei dodici del marzo scorso con la quale si auspicava l’integrazione dei mercati statunitense ed europeo, la ulteriore apertura ai paesi specie dell’est-asiatico antagonisti di Cina e Russia, la condivisione del debito dei paesi europei e di un piano di investimenti, la massiccia ulteriore liberalizzazione del mercato europeo sul solco dei protocolli di Doha è stata la mossa che ha avviato una strategia di richiamo all’ordine della Germania e che mirava, nelle intenzioni del premier, a recuperare un ruolo europeo all’Italia come fedele servitore americano. La conclusione più probabile appare, in realtà, la riaffermazione del ruolo sì dominante della Germania e un recupero parziale della compresenza della Francia, grazie agli assist forniti da Spagna e Italia, ma con una mera funzione di potenza regionale ancora più assoggettata ai condizionamenti americani. L’iniziativa di Monti aveva comunque  un certo respiro e una sua credibilità, l’obbiettivo di fondo è in procinto di essere raggiunto, ma il vantaggio tattico dell’Italia appare decisamente ridimensionato.

Una efficacia minore, ma comunque paragonabile, il Governo la sta dimostrando nei progetti di riorganizzazione della rete dei servizi, in particolare del gas, nei propositi di cessione delle partecipazioni nelle grandi aziende strategiche residue, nella cessione a privati, soprattutto stranieri, delle reti di servizio locali. Una riedizione in tono minore del processo di svendita degli anni ’90 e una accentuazione ulteriore e definitiva  della subordinazione economica e strategica dell’Italia, specie nel settore energetico, spacciata per libertà di scelta dei fornitori nel libero mercato.

Argomenti che la nostra testata ha ampiamente affrontato in diversi saggi ed articoli, sottolineandone il carattere regressivo e pregiudizievole delle possibilità di sviluppo e di autonomia decisionale del nostro paese, condizione indispensabile per la salvaguardia di condizioni accettabili di vita.

Sono ambiti per i quali gli ispiratori interessati devono aver consegnato istruzioni dettagliate e suggerito i comportamenti più idonei grazie ai quali i nostri si sono mossi con meno impaccio. Alcune di quelle istruzioni sono state del resto formalizzate nei “compiti a casa” e i professori, evidentemente, non hanno dimenticato di essere stati scolaretti anche in età matura, riassumendone volentieri la veste.

I DIFETTI ITALICI

Nell’esatto momento in cui i nostri baldi missionari hanno, però, dovuto affondare con autonomia di giudizio e “motu proprio” nella carne della società italica più che chirurghi armati di bisturi si sono rivelati degli sciabolatori impegnati ad individuare la carne da macello su cui infierire e a evitare le truppe più organizzate piazzate sul campo in posizione di difesa.

Hanno rivelato impietosamente la furia distruttrice, la pochezza teorica, l’improvvisazione tattica e operativa, la fragilità morale ed etica frammista all’impeto regolatorio del bene. Tutti attributi non necessariamente in conflitto tra loro quando si tratta di destabilizzare la condizione di un paese ma incompatibili con la necessità di definire un ruolo attivo per quanto subordinato del paese.

In pochi mesi sono riusciti a condensare la summa di tutti i peggiori difetti del nostro ceto politico degli ultimi decenni ripetendone le scelte e la normale routine.

Già la campagna mistificante sull’evasione fiscale, con toni inquisitori inediti, ha svelato la stoffa e i bersagli. Anche di questo abbiamo già ampiamente parlato.

Sono stati chiamati a tirar fuori il paese dal circolo vizioso del debito pubblico fuori controllo; hanno classicamente posto una pezza aumentando nel modo peggiore ed indiscriminato le tasse con una progressione di là da finire, giacché quello che stanno spacciando per riordino di detrazioni, deduzioni e definizioni di imponibile non si risolverà che in ulteriore imposizione fiscale con qualche redistribuzione di risorse nel migliore dei casi. La compagine, pur parlando di semplificazione fiscale, sta rivelando doti di fantasia, nell’individuazione di balzelli, cui non erano giunti nemmeno ai tempi del decretone degli anni ’70.

Di sicuro non può essere questa la novità di questo governo.

 

 

Hanno proclamato la liberazione del paese dalle corporazioni, dagli ordini lobbistici, dai gruppi di interessi in nome della libertà del singolo cittadino e consumatore; sono finiti ad intaccare in maniera risibile alcuni ordini professionali e hanno finito per colpire seriamente, con l’imposizione contributiva,  proprio quelle categorie professionali meno organizzate negli ordini e più legate alle attività industriali e produttive del paese, quindi le più dinamiche. L’ennesima prova che proprio il dogmatismo liberale e liberista, paradossalmente in nome dell’iniziativa e della creatività dell’individuo, finisce per alimentare i corporativismi regressivi e il lobbismo più conservatore. Una sorta di apoteosi dell’europeismo funzionalista, non a caso espresso da un europeista forgiato in decenni di appartenenza in quei circoli.

Colti con le dita nella marmellata  e scossi da sollecitazioni sempre più insofferenti, hanno rispolverato il tema della riorganizzazione dello stato, della spending rewiew, del taglio della spesa pubblica; hanno confessato, però, con ingenuità commovente e disarmante, che la pubblica amministrazione, un po’ per l’ordinamento, un po’ per le logiche di conservazione dei gruppi, è restia ad adottare celermente i provvedimenti e metterli efficacemente in atto.

Una lacuna sorprendente che fa strame non dico delle acquisizioni sociologiche di metà secolo scorso di Merton  sulle “funzioni latenti” dei gruppi e sulle loro dinamiche, in particolare nella pubblica amministrazione e nello stato, ma addirittura degli illuministi scozzesi i quali “compresero come le istituzioni siano il risultato dell’azione umana, ma non la (pedissequa) esecuzione di un disegno umano”.

Ma la riduzione del funzionamento dello stato al “meccanismo di un orologio innescato da una carica”, nella fattispecie rappresentata dalla legge, può rivelarsi una illusione non giustificabile, ma comprensibile in personaggi liberali e liberisti come Monti, accecati ideologicamente dalla loro visione negativa di qualsivoglia burocrazia e dal miraggio delle capacità autoregolatorie del mercato anche se nelle mie aspettative almeno guardinghi grazie a decenni di navigazione nei meandri della burocrazia comunitaria;  un tale abbaglio risulta del tutto inspiegabile, in apparenza, per accademici del calibro di Giarda, per altro impegnati da lunga data in politica, i quali da decenni studiano le dinamiche e il funzionamento dello stato e della pubblica amministrazione, ma in pochi giorni sono naufragati sugli scogli della realtà amministrativa quotidiana.

L’ovvio risultato della commistione di questi personaggi è stata la riproposizione pedissequa delle stesse politiche ultradecennali le quali, nei momenti di massimo impeto riformatore, si sono invischiate, con la parziale eccezione delle parentesi di Cassese e Bassanini, in una miriade impressionante  di singoli minuti provvedimenti i quali, paradossalmente, semplificando specifici atti di per sé spesso poco rilevanti, hanno contribuito a frammentare, disarticolare e complicare ulteriormente le procedure amministrative. Non è un caso, infatti, che la rigidità, la fragilità e lo scarso controllo intrinseci delle strutture, abbiamo disarticolato e posto in conflitto ricorrente le varie componenti e i vari gruppi della pubblica amministrazione italiana, una volta esposti alle direttive e alle intromissioni della burocrazia comunitaria, in misura molto più significativa che in Francia, Germania e Gran Bretagna.

Purtroppo siamo ancora lontani dal valutare in termini di perdita di sovranità e di spreco ed inutilizzo di risorse, ad esempio dei fondi strutturali europei, questa modalità di gestione dello stato.

Gli stessi interventi draconiani in materia di pensioni, anche questi attuati escludendo selettivamente alcuni settori significativi, sono stati un puro esercizio contabile, oneroso per i dipendenti ma disastroso dal punto di vista dell’equità sociale; decenni di attività accademica non hanno suggerito l’opportunità al Ministro dalla lacrima compassionevole di sfruttare la riforma per riorganizzare il mercato del lavoro e consentire la trasmissione delle competenze professionali alle nuove generazioni.

In questo mosaico che meriterebbe di essere arricchito di ulteriori pezzi,  l’apoteosi viene raggiunta dal nuovo improbabile Savonarola il quale, presosi cura della sanità pubblica, avrebbe deciso di curare anche coattivamente, tra le tante dipendenze, anche i malati da gioco d’azzardo e di punire con la tassazione dagli eccessi zuccherini le mescite di bibite. Al Capone, avvezzo alla fornitura trasgressiva almeno di bourbon e whisky, ne sarebbe disgustato e inorridito.

Si tratta di provvedimenti inquietanti apparentemente astrusi dal contesto di quella compagine governativa. Mette in luce, invece, una componente ben presente negli ambienti integralisti della Chiesa Cattolica e della sinistra bacchettona dediti entrambi  a sancire il bene e il benessere dei singoli cittadini e ben rappresentati nella compagine governativa come nelle amministrazioni periferiche. Il loro afflato altruistico li spinge a produrre e alimentare apparati, gruppi di pressione, foraggiati in gran parte dalla spesa pubblica i quali per riprodursi ed espandersi devono individuare ed inventarsi spesso il malato e il bisognoso sino a crearsi una struttura ideologica tale da rendere indistinguibili, spesso, le necessità reali di assistenza e servizi dalle logiche e dagli interessi di riproduzione degli apparati.

Non è un caso che lo stesso Ministro Passera spacci per misure di sviluppo la diffusione della social card, l’attenzione verso il terzo settore e via dicendo; come sia paradossale, per inciso, che si cerchi di incentivare, sino ad ora a parole, le maggiori dimensioni delle aziende nel contempo si tenti di liquidare e ridimensionare il ruolo delle residue grandi aziende strategiche italiane; come sia d’altronde grottesco incentivare, sino ad ora a parole, pur con evidenti capacità affabulatorie, il credito di imposta sugli investimenti, lo “start up” delle aziende e il convogliamento dei “capital venture”, senza la successiva realizzazione del rischio in piattaforme industriali di dimensioni adeguate. Dinamiche che paesi e grandi imprese straniere più serie sono pronte a sfruttare, una volta accollati i rischi iniziali ai paesi più fragili e ben disposti al sacrificio.

Per concludere Monti e il suo Governo non possono nemmeno dirsi espressione  diretta dei settori più subordinati, ma in qualche maniera dinamici della società italiana; non possono dirsi sostenuti, quindi, nemmeno da una parvenza di blocco sociale in grado di contrattare e ritagliarsi un ruolo di qualche dignità nelle nuove gerarchie che si stanno formando sul pianeta; né pare in grado, il Professore, di costruire in tempi ragionevoli un blocco sociale e una forza sufficiente a gestire la transizione. Il retaggio di Monti e della quasi totalità della sua compagine è del resto ben diverso dai “cotonieri americani” di metà ‘800 i quali sostennero, pur con qualche incertezza, la guerra di indipendenza americana e beneficiarono loro stessi ed il paese, comunque, di uno sviluppo economico. Non a caso, infatti, furono in grado di resistere per sei lunghi anni agli attacchi degli stati americani del nord e dell’ovest.

Finiti i fasti del miracolo economico, svanite le sicurezze del mondo bipolare, gli attuali marziani al governo sembrano (sono) posti sugli scranni da mani esterne e possono sperare di conseguire gli obbiettivi e, come ripiego probabile, di sopravvivere poggiandosi  sulle basi sempre più precarie, da loro stessi ulteriormente intaccate, delle forze politiche che hanno imperversato in questi ultimi venti anni e sul sostegno, rivelatosi anch’esso ormai di mediocre qualità, di capisaldi secolari del potere politico in Italia, come la Chiesa Cattolica.

Le ultime fibrillazioni in casa PD e nella sinistra, le inutili debolezze manifestate verso la propria area elettorale, l’investimento a senso unico verso l’europeismo classico, il progressivo plateale quanto apparente disconoscimento di Monti stanno definitivamente persuadendo alcuni centri strategici di potere che le opportunità, concesse e sprecate ormai per oltre vent’anni, di sostituzione della vecchia classe dirigente democristiana e socialista si stiano esaurendo ed il ruolo persino di ambasciatore di secondo rango di politici, con o senza baffino, sia ormai in serio pericolo (meriteranno le attenzioni di un prossimo articolo); bisognerà quindi guardare nello schieramento avverso o inventare qualcosa di nuovo, se non di terribile. L’infittirsi di rivelazioni sui retroscena degli anni ’90 e lo spauracchio delle intercettazioni sono un segnale evidente degli scossoni in corso nelle profondità.

Lo stesso Monti, o qualche suo futuro clone, non deve sentirsi tanto sicuro e dovrà la sua sopravvivenza alla capacità di crearsi un nemico capace di compattare l’armata brancaleone di cui dispone. Il Movimento5Stelle pare costruito apposta per questo; ne avremo conferma dall’eventuale enfasi con la quale la stampa nazionale tratterà le prodezze di Grillo e Casaleggio.

In mancanza il paese rischierà di diventare un campo di battaglia per conto terzi; una situazione già conosciuta in epoca moderna, ma senza i fasti della cultura di allora e con un patrimonio da dissipare in tempi più rapidi, meno dei due secoli occorsi allora.