DA OMERO AI “FINIANI” (di G. Gabellini)

Strano periodo quello che stiamo attraversando, segnato da un rimescolamento di carte contorto e intricato come raramente se n’erano visti in uno scenario politico pur estremamente complesso come quello italiano.
Anche un ingenuo comprenderà che un momento critico come questo richiede la presenza di un governo forte, sufficientemente solido da poter fronteggiare efficacemente la situazione e messo nella condizione di poter adottare contromisure ad ampio respiro condivise da tutta la coalizione. A cosa è dovuta allora questa grave instabilità politica, che giunge, tra l'altro, in corrispondenza di quella che è forse la più grave congiuntura di crisi da ottant'anni a questa parte? Le cause da individuare sono diverse, ma tutte convergenti, e riconducibili a un unico progetto, quello che prevede il totale smembramento dello stato italiano, a beneficio della grande finanza internazionale e dei suoi scagnozzi da ricercare nelle industrie decotte che stanno tornando a dettar legge, esattamente come avveniva un ventennio fa circa. Andiamo per ordine. Era il 17 febbraio 1992, quando Mario Chiesa, noto esponente milanese del PSI, veniva colto con le mani nel sacco in seguito ad un'indagine organizzata dal Pubblico Ministero Antonio Di Pietro. Come è noto, il suo arresto innescò un'inarrestabile reazione a catena, che coinvolse alcuni tra i più alti vertici politici e istituzionali, come Bettino Craxi e Arnaldo Forlani. Era emersa una realtà di corruzione endemica arcinota anche ai più ottusi eremiti, ma che fu abilmente strumentalizzata da una parte della stampa, legata a certi poteri forti, che montò una massiccia campagna mediatica volta a screditare l'asse DC – PSI, indicando l’impellenza di operare un drastico "cambio di rotta". Mentre il ciclone"Tangentopoli" infuriava, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga si dimise, cedendo alle pressioni esercitate su di lui da diversi membri del PDS (Violante su tutti) in seguito allo scandalo di Gladio, emerso "casualmente" agli inizi di quell'anno. La bagarre per il Quirinale era così ufficialmente aperta. Le discussioni interminabili che avevano procrastinato di parecchio la nomina di un successore di Cossiga s’infransero però sullo scoglio di Capaci, in occasione dell’attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone e agli uomini della scorta. L'asse DC – PSI, già enormemente indebolita da "Tangentopoli", subiva così il colpo definitivo, e i suoi uomini di punta, sommersi dagli attacchi di stampa e opinione pubblica che, oltre alla corruzione, li accusavano di non aver voluto proteggere Falcone, crollarono tra la malcelata soddisfazione dei “sinistri”, che già si fregavano le mani. Su "Repubblica", Scalfari premeva affinché un "garante della costituzione" all'altezza della situazione fosse individuato in fretta. Il giorno dopo l’”invito” di Scalfari, il parlamento designava, guarda caso, un democristiano "atipico" come Oscar Luigi Scalfaro a ricoprire il ruolo che fino a quel momento era stato occupato da una scheggia impazzita come Cossiga. Pochi giorni dopo, l'organizzazione inglese denominata "British invisibles", che raggruppava un cospicuo numero di aziende privatizzate all'epoca della "deregulation" promossa da Margaret Thatcher, invitò banchieri pubblici, dirigenti dell'IRI, membri di Confindustria, il sottosegretario al tesoro del governo guidato da Giuliano Amato Mario Draghi ed altri personaggi dell'ambiente finanziario italiano a trascorrere una breve crociera sul panfilo "Britannia", uno yacht di proprietà della regina Elisabetta. L'organizzazione inglese, in seguito alle privatizzazioni avvenute in patria, aveva accumulato un invidiabile patrimonio di competenze in ambito finanziario e aveva individuato il tessuto industriale e finanziario in mano allo stato italiano quale bersaglio prediletto su cui concentrare le proprie attenzioni. Ora, gli argomenti specifici di discussione toccati dall'"equipaggio" del "Britannia" non sono pervenuti, ma ciò che ha avuto luogo in seguito a quel "meeting" (termine che fa molto "finanza anglosassone") è una colossale campagna di svendita di gran parte del patrimonio industriale e finanziario pubblico, in cui la grande finanza anglosassone ha giocato un ruolo fondamentale fin dall'inizio. Ad Amato succedeva così Carlo Azeglio Ciampi, che si distinse ulteriormente quanto a fedeltà al verbo “privatizzare” (o meglio, svendere). Si arrivava alle elezioni del marzo 1994 con il terreno spianato: le privatizzazioni andavano a gonfie vele, una classe politica assistenziale stava morendo dissanguata sotto i colpi dei facinorosi magistrati del pool milanese, la parassitaria Confindustria agnelliana tornava a piegare totalmente la politica ai propri interessi, la grande finanza anglosassone vedeva lievitare progressivamente il proprio portafogli e il PDS era prontissimo a prendere in mano le redini della nazione. Tuttavia, in questi collaudati meccanismi di “do ut des” tra burattini e burattinai, si inserì il ricchissimo imprenditore milanese Silvio Berlusconi, che vinse a sorpresa le elezioni, con il supporto di Lega e MSI (guidata dall’antifascista dell’ultima ora Gianfranco Fini). Le motivazioni che spinsero Berlusconi ad entrare in politica sono di natura esclusivamente opportunista, tenuto conto del contesto in cui maturò questa decisione (già allora su di lui aleggiavano sospetti di collusioni con la mafia, ed è probabile che, qualora non fosse “sceso in campo”, la caduta dello “sponsor” socialista avrebbe presto portato al suo arresto). Il primo governo Berlusconi, in seguito al voltafaccia della Lega, cadde però nel dicembre dello stesso anno, e tutto tornò alla normalità. Scalfaro incaricò Lamberto Dini di formare il famigerato “governo tecnico”, che ripristinò i processi di dismissione del patrimonio statale al fine di, si ebbe il coraggio di sostenere, “Ridurre il debito pubblico”. Solo pochissimi fecero presente il fatto inoppugnabile che la maggior parte delle aziende inserite nei “saldi” era in attivo (Eni, Finmeccanica, Enel, Nuovo Pignone, Efim eccetera) e che i prezzi di vendita stabiliti erano oscenamente bassi. Dopo Dini salirono al governo i “sinistri” Prodi e D’Alema, che accelerarono ulteriormente le svendite, nel generale tripudio dei grandi agenti del capitale d’oltreoceano e dietro le lodi di quei maestrini del “pensiero unico” che sono le agenzie di rating. Berlusconi, dato per spacciato troppo in fretta (come si fa ancora oggi), ha dimostrato di avere parecchio pelo sullo stomaco, ed è tornato al governo, non una ma due volte, opponendosi al definitivo “svuota tutto” reclamato dalla grande finanza internazionale e dai suoi fedeli sicari “sinistri”, andando a civettare con un individuo pericolosissimo come Vladimir Putin e facendosi promotore di progetti di chiara vocazione eurasiatica come la messa a punto del gasdotto “South Stream” in cui agisce una joint – venture tra Gazprom ed Eni. La grande finanza internazionale ha dapprima dato mandato ai propri organi di comunicazione (“Economist”, “Wall Street Journal”, “Time”, ma anche “Repubblica”, “Le Monde” eccetera) di screditare l’inquilino di Arcore caricaturizzando la sua immagine con volgari e ridicoli “scandali”
sessuali, per poi, preso atto del fallimento di questa tattica, destabilizzare la coalizione di governo dal di dentro, da un lato percorrendo la solita via giudiziaria, che agisce sempre a corrente alternata e geometria variabile, dall’altro chiamando a raccolta un pugno di rinnegati del fascismo, i quali, dopo varie stagioni vissute all’insegna dell’apologia del Cile di Pinochet e della dittatura dei colonnelli in Grecia, si sono improvvisamente riscoperti sensibili ai diritti umani e, inorriditi dalla cattiveria di Putin e Gheddafi, non si sentono più di appoggiare un leader tanto “cinico” da trattare con mostri simili. Ora la stampa li descrive come ribelli, come gli Alekos Panagoulis del ventunesimo secolo; spende pagine e pagine per descrive le gesta “coraggiose” dei vari Fini, Bocchino e Granata. Fatte le debitissime proporzioni, viene in mente un passaggio della “Poetica”, in cui Aristotele scrive che “Omero ha soprattutto insegnato agli altri come si deve dire il falso”. Omero ha in effetti inventato di sana pianta, pur con la sublime poesia che era dotato di sprigionare, un’epopea, facendo passare misere operazioni di conquista per gloriose battaglie idealistiche, e una congrega di strateghi vili, avidi e opportunisti, per un esercito di eroi incontrollabili ma valorosi come Achille o altezzosi ma temerari come Agamennone. Per questa masnada di voltagabbana viene più in mente l’Ulisse ideatore del raggiro del Cavallo di Troia, non fosse per la dabbenaggine e per la totale mancanza di astuzia che li separa inesorabilmente dal grande re di Itaca.