DA TRAVAGLIO A CACCIARI di G.P.

Qualcuno sostiene che Travaglio sia un giornalista coi controfiocchi. Può darsi ma è lecito nutrire forti dubbi in merito, soprattutto per chi considera il mestiere in questione non un puro fatto di stile e di forma ma un'esplicitazione di contenuti e di sostanza. E Travaglio, nonostante il cognome che porta, non fa grandi sforzi per riempire di significato i pezzi che scrive. Se poi uno così, “rubrichino” delle Procure dà del rubrichista servile a Giuliano Ferrara i conti non tornano proprio. E non perché Ferrara sia il meglio che la professione riesce ad esprimere, non perché costui sia effettivamente libero da padroni e condizionamenti, anzi tutt'altro. Però, quanto a mammasantissima che ungono le ruote degli ingranaggi della stampa, se ne trovano un po' dappertutto, anche se non compaiono direttamente nella proprietà editoriale dei giornali, come appunto nel caso del Fatto.

Piuttosto, c’è da sottolineare che meno si vedono questi proprietari e più controllano e sferzano i loro scribacchini. Il panzone di Roma avrà pure il metabolismo lento e forse per questo si rende indigesto anche agli altri, tuttavia il cervello gli funziona benissimo e non risulta programmato su un unico software ripetitivo contrariamente alla penna di punta de Il Fatto. Giulianone si fa rabbonire dai bonifici di B. mentre Marchetto marchetta gratis per il partito delle toghe. Moralmente non so cosa sia peggio, per lo meno economicamente il primo è più furbo del secondo. Ma, detto fuori dai denti, si può considerare giornalismo la premiata copisteria Travaglio che riempie vagonate di libri e di articoli con sentenze della magistratura e resoconti sulla fedina penale altrui? Ci avesse azzeccato fino in fondo almeno a Travaglio avremmo appuntato sul petto i galloni del grande manierista ma pure nell’attività di amanuense tribunalizio non fa una bella figura stando alle condanne che ha subito e che riportiamo in nota riprendendole da una articolessa di Sallusti, Direttore de Il Giornale [1]. Infine, diciamo che l’invettiva travagliesca contro l’ex pantagruelico Ministro berlusconiano, definito picchiatore comunista (ne tengano conto tutti gli ex piccìsti che seguono acriticamente questo profeta della via giudiziaria alla democrazia, il quale per troppa integrità morale si rende odioso proprio come quelli che non hanno nessuna virtù), spia della Cia e trombetta di Craxi è solo una sequela d’insulti che richiederebbe una bella denuncia più che una risposta a tono. Travaglio è fatto così, re della gogna mediatica e presenzialista della morale televisiva, armato di carte bollate, fa i conti in tasca agli altri per non essere scrutato nelle proprie bisacce. Dice l’allievo di Montanelli che B. ai TG rai di gennaio ha totalizzato 6 ore e 40 minuti di passaggi, più di qualsiasi altro leaders. Travaglio è sicuramente più bravo come cronometrista che come giornalista, perché allora non dedicarsi completamente a questa attività lasciando perdere quell’altra cosa che gli riesce decisamente male? Aggirarsi morbosamente nei corridoi dei tribunali per raccogliere scartoffie infanganti su tutti quelli che non la pensano come lui è un lavoro da spazzino dell’informazione e non da vate della professione. Mercenario delle aule di giustizia si sente l’oplita della rinascita legale della nazione. Ed, allora, meglio il pallone pallista berlusconiano o l’ex pallonaro (questo faceva Travaglio quando fu assunto da Montanelli a Il Giornale, la cronaca sportiva) manettaro che si è costruito una carriera sulle sventure altrui? Direbbero i francesi “chaque fou a sa marotte” (ogni buffone ha il suo sonaglio) e quello di Travaglio è più rumoroso di quello di Ferrara.

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Dato che siamo in tema di raddrizzamento delle cose della vita passiamo ad un altro personaggio che ha imparato a spararle grosse per mettersi al centro dell’attenzione. L’ex sindaco di Venezia, nonché apprezzato filosofo, Massimo Cacciari, ha dichiarato che i cittadini sono “un esercito di infanti incapaci di arrangiarsi”. Facciamoci una grassa risata generale anche perché il mondo sta andando troppo alla rovescia da un po’ di anni. Fino a qualche secolo fa era la gente comune che considerava i filosofi uomini con la testa perennemente tra le nuvole, tanto che Platone ne ricavò un aneddoto: “«Egli osservava gli astri e, avendo lo sguardo rivolto al cielo, cadde in un pozzo. Si dice che una spiritosa e intelligente servetta trace l'abbia preso in giro dicendogli che si preoccupava di conoscere quel che succede nel cielo senza preoccuparsi di quel che gli avveniva davanti e sotto i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare”. (Platone, Teeteto, 174a). Per altro, quando questi individui superiori s’arrischiavano nell’arte politica e nel governo diretto delle città non facevano mai una bella fine, proprio come nel caso dello stesso Platone cacciato da Siracusa e venduto come schiavo. A Cacciari è andata meglio ma ora, scampato il pericolo, si permette di andare troppo sopra le righe. Se, dunque, i cittadini rompono le palle agli amministratori per qualsiasi problema quotidiano cosa dovremmo dire noi poveri mortali che ci sentiamo ancora più ignoranti quando leggiamo i vaneggiamenti senza criterio di questi flosofastri impancati sulla loro superiorità culturale? Poiché non sono io l’esperto, né ho titolo per dibattere con un questo grande gondoliere lagunare del pensiero ondeggiante che dà il mal di mare, lascio volentieri la parola a chi ne capisce più di me (andate fino in fondo nella lettura del brano perché c’è da pisciarsi letteralmente sotto dal divertimento):

“ …La provenienza dell’ente, il suo ‘nascimento’ primo, mai è esauribile nella presenza determinata determinabile, eppure è evidente in essa e con essa. Che l’ente determinato ek-sista dall’ ‘immemorabile’ è qui-e-ora assolutamente evidente e tuttavia assolutamente non determinabile” [Dài, Cacciari, non scoraggiarti. Non scoraggiatevi nemmeno voi cari lettori che non avete seguito i corsi di Ermeneutica degli Sproloqui Oscuri presso la Scuola Normale: sta semplicemente dicendo che lui (Cacciari) esiste, dunque da qualche parte evidentemente dev’essere venuto fuori, ma non se lo ricorda. Su, Cacciari, è naturale che non te lo ricordi: chi ricorda la propria nascita – il proprio ‘nascimento’, come dici tu? Ma ci puoi arrivare lo stesso, ti aiuto io. Forza, cos’è questa cosa, la ‘cosa ultima’?]

“Ogni cosa è non altro da sé”. [Giusto, ma – ti metto sulla strada – quella cosa è altro da te.] “L’apparire non è l’astrattamente altro di tale custodirsi presso di sé proprio della cosa, ciò che appare è appunto che il proprio della cosa, la singolarità del questo,
si nasconde>”.[ Sì, ci stai arrivando: di solito la tengono ben custodita e nascosta, ma se ci sai fare…] “Noi possediamo la cosa quando ne abbiamo l'idea” [No, Massimo, con l'idea ti fai solo le seghe]. “…celata in qualche sublime profondità, che un audace tuffatore debba portare alla luce…”. [Ci sei, ci sei!] “Ma cosa pensiamo pensando così la cosa? La pensiamo nel suo 'fondo' saldissimo, eterno, immortale. Il cieco occhio della filosofia così giunge a 'ricordarla', 'dove', nella sua stessa evidenza, alethôs, essa si sottrae ad ogni definizione, che necessariamente non può dirla se non predicando di essa ciò che non è”. [Eccolo, pensare che c'era quasi, mi si è perso di nuovo nei suoi garbugli di parole. La TOPA, Cacciari, la risposta è la topa. E' di lì che vieni – è di lì che veniamo tutti. E se a questo punto vuoi anche sapere chi sei e dove devi andare, dammi pure un colpo di telefono – mica mi ci vogliono 554 pagine per fartelo sapere.] (Maria Turchetto, Carognate, cazzate e consigli, ed. Spartaco).

Avete capito come tentano di fotterci questi imbastitori di nonsense che ci danno pure dei rompicojoni?

[1] Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha con­dannato a risarcire Fede­le Confalonieri, presiden­te di Mediaset, con 6.000 euro, a causa dell’articolo «Piazzale Loreto? Magari» pubblicato nella rubrica Uliwood Party su l’Unità il 6 luglio 2006 

Nel giugno 2008 è stato condannato dal Tribu­nale di Roma in sede civile, as­sieme al direttore dell’ Unità Antonio Padellaro e a Nuova Iniziativa Editoriale, al paga­mento di 12.000 euro più 6.000 di spese processuali per aver descritto la giornali­sta del Tg1 Susanna Petruni come personaggio servile ver­so il potere e parziale nei suoi resoconti politici: «La pubbli­cazione- si leggeva nella sen­tenza – difetta del requisito della continenza espressiva e pertanto ha contenuto diffa­matorio ». 

Nel gennaio 2010 la Cor­te d’Appello penale di Ro­ma lo ha condannato a 1.000 euro di multa per il reato di dif­famazione aggravato dall’uso del mezzo della stampa, ai dan­ni di Cesare Previti. Il reato, se­condo il giudice monocratico, sarebbe stato commesso me­diante l’articolo «Patto scellera­to tra mafia e Forza Italia» pub­blicato sull’ Espresso il 3 ottobre 2002. La sentenza d’appello ri­forma la condanna dell’otto­bre 2008 in primo grado inflitta al giornalista ad 8 mesi di reclu­sione e 100 euro di multa. In se­de civile, a causa del predetto re­ato, Travaglio era stato condan­nato in primo grado, in solido con l’allora direttore della rivi­sta Daniela Hamaui, al paga­mento di 20.000 euro a titolo di risarcimento del danno in favo­re della vittima del reato Cesare Previti. Pochi giorni fa, in attesa della sentenza di Cassazione, il reato è caduto in prescrizione grazie ad una inspiegabile len­tezza dei giudici a scrivere le motivazioni. 

Il 28 aprile 2009 è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale di Roma per il reato di diffa­mazione ai danni dell’allo­ra direttore di Raiuno, Fabri­zio Del Noce, perpetrato mediante un articolo pub­blicato su l’Unità dell’11 maggio 2007. 

Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazio­ne ( Terza sezione civile, senten­za 22190) al risarcimento di 5.000 euro nei confronti del giu­dice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro Il ma­nuale del perfetto inquisito , af­fermazioni giudicate diffama­torie dalla Corte in quanto riferi­te «in maniera incompleta e so­stanzialmente alterata» visto il «mancato riferimento alla sen­tenza di prescrizione o, comun­que, la mancata puntualizza­zione del­carattere non definiti­vo della sentenza di condanna, suscitando nel lettore l’idea che la condanna fosse definiti­va (se non addirittura l’idea di una pluralità di condanne)». 

Il 18 giugno 2010 è stato condannato dal Tribuna­le di Torino- VII sezione civile ­a risarcire 16.000 euro al presi­dente del Senato Renato Schifa­ni ( che aveva chiesto un risarci­mento di 1.750.000 euro) per diffamazione, avendo evocato la metafora del lombrico e del­la muffa a Che tempo che fa il 15 maggio 2008. 

L’11 ottobre 2010 Trava­glio è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per aver dato del fi­glioccio di un boss all’assesso­re regionale siciliano David Co­sta, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazio­ne mafiosa e successivamente assolto in forma definitiva. Tra­vaglio è stato condannato a pa­gare 15.000 euro.