DOVE PORTA LA CRISI? di M. Tozzato

 

Sul Sole 24 Ore del 03.08.2009 ho trovato un articolo del noto economista Fabrizio Galimberti che si cimenta, in così breve spazio, nel tentativo di motivare la sua tesi, la quale interpreta l’attuale piccola ripresa del sistema finanziario non come una parentesi generatrice di illusioni ma – diversamente rispetto alla crisi iniziata nel 1929 – come un effettivo preludio ad una autentica exit strategy dalla attuale situazione. La “Grande recessione” in corso non diventerà la “Grande depressione n. 2”

<<proprio perché le risposte della politica economica sono state drammaticamente diverse. Allora i Governi fecero tutte le cose sbagliate: la domanda pubblica aggiunse sale sulle ferite della domanda privata con una politica di bilancio restrittiva; la politica monetaria assistette inerme alla chiusura di migliaia di banche e lasciò contrarsi l’offerta di moneta sino a scatenare una deflazione che mandò al fallimento milioni di agricoltori (allora l’agricoltura occupava una quota di Pil molto maggiore di quella odierna) e di imprenditori; e la politica degli scambi internazionali scatenò il demone del protezionismo, contagiando nella depressione gli altri Paesi e prolungando l’agonia della crisi.>>

In effetti il presidente americano Herbert Hoover rimase in carica sino al  4 marzo 1933 ed ebbe quindi il tempo, dopo il crollo di Borsa dell’autunno del 1929, di peggiorare la situazione emanando una serie di provvedimenti del tutto inutili e controproducenti (secondo la maggioranza degli economisti). Le critiche, motivate, che vengono avanzate, invece, nei confronti della politica economica di Roosevelt meritano sicuramente un discorso a parte. Aggiungiamo pure – solo per rinfrescare la memoria e per completare il discorso di Galimberti – i cinque punti che J.K. Galbraith segnalò per definire le “criticità” del sistema economico e finanziario alla vigilia del “Grande Crollo”:

  • cattiva distribuzione del reddito;
  • cattiva struttura, o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie;
  • cattiva struttura del sistema bancario;
  • eccesso di prestiti a carattere speculativo;
  • errata scienza economica (perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale considerato un fattore penalizzante per l’economia).

A questo punto Galimberti prosegue parlando di quello che si è fatto per fronteggiare la crisi attuale:

<<Oggi, invece, i Governi in giro per il mondo hanno fatto tutte le cose giuste: hanno sostituito domanda pubblica a domanda privata, accettando un consistente allargamento dei deficit di bilancio, hanno inondato il sistema finanziario di liquidità (sia con l’abbassamento dei tassi di interesse che con misure di espansione quantitativa della moneta), sono intervenuti per salvare banche e talvolta anche imprese, e infine hanno resistito alle sirene del protezionismo.>>

Si sarebbero così messi in moto dei “meccanismi” virtuosi che non sarebbero riconducibili al solo “ciclo delle scorte” il quale tra l’altro conta ben poco se la domanda cola a picco. L’economista continua rilevando che

<<la disinflazione legata alla recessione argina la perdita di potere d’acquisto, mentre l’abbassamento dei prezzi di attività finanziarie e reali crea opportunità di guadagno che sfociano in investimenti e ritorni di spesa.>>

Galimberti conclude le sue riflessioni mostrando una considerevole dose d’ottimismo. Egli ritiene che il risanamento del sistema finanziario sia stato quasi completato tanto che, secondo lui,

<<le tensioni finanziarie sono andate quasi scomparendo, e i destini dell’economia sono oggi in presa diretta con l’andamento della domanda finale di beni e servizi.>>

Quando sarà completato il risanamento del settore creditizio e di quello finanziario si potrà pensare a come comportarsi per “riprendere a crescere”. (?!)

In effetti il ragionamento del bravo professore di economia appare un po’ troppo “lineare”: oltre ai soliti dubbi sulle future (a breve) ricadute dell’”espansione quantitativa della moneta” e sulla ripresa  della domanda globale a medio termine data praticamente per scontata è del tutto evidente che l’interpretazione delle cause e dei rimedi dell’attuale recessione, esposti in termini rigidamente economicistici,   non esauriscono per niente il contesto della crisi globale in atto. In un recentissimo intervento su questo blog Petrosillo scrive ( in riferimento all’attuale fase della formazione sociale globale e alle sue connotazioni geopolitiche):

<< L’intensificazione dei processi multipolari, con la comparsa sulla scena mondiale di nuovi attori (paesi e aree), non fa tuttavia “condensare” schieramenti e alleanze strategiche stabili le quali, invece, saranno meglio delineate solo con l’entrata del mondo in una fase pienamente policentrica. In questo momento, lo scompiglio geopolitico viene […] accentuato dal doppio gioco di queste potenze, culturalmente eterogenee e non ancora in grado di far coincidere al meglio i loro interessi (cosa che diverrà un fatto concreto solo allorché una di esse affermerà la sua forza preponderante, assurgendo al ruolo di guida per tutte le altre), per una sempre più accentuata trasformazione degli assetti del potere mondiale.>>

 

Gli economisti spiegano la rinuncia ad atteggiamenti “protezionistici” con motivi di carattere per l’appunto economici; la Cina, ad esempio, conserverebbe ampie riserve in dollari e gli Usa sarebbero fortemente indebitati con l’”impero confuciano”. In realtà queste situazioni, per quanto possano corrispondere alla realtà, non rappresentano un ulteriore incentivo ad una “utile e fisiologica” cooperazione internazionale ma, al contrario, appaiono proprio come la forma fenomenica in cui si manifesta l’immaturità dell’attuale fase multipolare che rende difficili e problematiche, per adesso, costruire alleanze organiche contro lo stato che mantiene ancora una superiorità politico-militare (e tecnologica) notevole rispetto a tutte le altre.

 

Mauro Tozzato                        04.08.2009