DUE ANNI IN CINA A CURA di M. Tozzato

 

Sul Sole 24 Ore del 26.10.2008 troviamo una recensione di un libro collettivo – edito da Etas e intitolato Due anni in Cina  curato da Maria Weber, “docente della Bocconi che ha svolto per due anni il ruolo di Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Pechino”. Francesco Daveri, autore della recensione, scrive:

<<Per fare affari in Cina, bisogna prima di tutto capire i cinesi, spiega la Weber, che hanno abitudini e ritualità anche nel modo di fare business differenti dalle nostre. Il decalogo del successo negli affari in Cina comprende come elementi essenziali doti come la pazienza, il rispetto della gerarchia e dei ruoli, la capacità di ascoltare e quella di creare e sfruttare le guanxi, cioè la complessa rete di relazioni interpersonali intessuta dai cinesi nel corso dei secoli e tuttora indispensabile per realizzare una trattativa di successo. Questo perché l’arte del negoziato in Cina è influenzata notevolmente dall’etica confuciana, che attribuisce una grande importanza alla tradizione.>>

In qualche modo sembrerebbe che il capitalismo cinese abbia tuttora bisogno – per il buon funzionamento di un sistema fondato sull’impresa e sul mercato – di utilizzare e conservare alcuni tipi di legami sociali che rivestono un carattere comunitario tradizionale e che, è presumibile, difficilmente si potrebbero conservare all’interno di un contesto politico e culturale del tipo delle democrazie liberali di matrice “occidentale” caratterizzate da un individualismo e da una atomizzazione del corpo sociale che pervade tutti  i rapporti e le istituzioni.

Come esempio di un aspetto che i cinesi trovano incomprensibile, nel comportamenti degli “occidentali”, si può riportare il fatto che:

<<… le aziende occidentali – per ottenere il massimo risultato con poco sforzo – mandino, almeno alle prime riunioni, giovani manager privi di reale potere decisionale.[…]In ogni caso, l’assenza dei capi dell’azienda nelle prime fasi del negoziato è vista come un segnale di scarsa educazione, se non di disinteresse.>>

Il rispetto della gerarchia e la scarsa abitudine ad assumere iniziative per chi, lavoratori e/o studenti, appartenga o ritenga di appartenere a categorie e gruppi “subordinati” non è però solamente ritenuto una conseguenza del predominio dell’etica confuciana. Il recensore , infatti, si premura di osservare che:

<<Queste abitudini sono state certo rinforzate dai tanti anni di mortificazione dell’iniziativa individuale sotto il regime maoista: un‘influenza che il processo di internazionalizzazione non è ancora riuscito a scalfire.>>

Forse bisognerebbe aggiungere che la trama di relazioni politiche, culturali e istituzionali di tipo dirigistico e autoritario sono ancora così forti che effettivamente – anche nelle aree più sviluppate dal punto di vista capitalistico – il mercato e le transazioni commerciali e finanziarie mantengono comunque un carattere “organizzato”, in parte sulla base delle norme statali e in parte per l’importanza delle consuetudini.

Più avanti il recensore si dilunga sulle problematiche generali e attuali  dell’economia cinese:

<<Tra le sfide future, i punti interrogativi più importanti riguardano le nuove linee politiche delineate dal governo cinese. In questo ambito, acquistano particolare rilevanza le politiche di carattere energetico e ambientale e il processo di ringiovanimento della classe dirigente cinese. Le necessità di garantire l’approvvigionamento energetico per lo sviluppo dell’economia sono spesso in contrasto con le esigenze di salvaguardia ambientale sentite con maggiore intensità al crescere del reddito pro-capite. Proprio questo spinge il governo cinese a ricercare fuori (ad esempio, in Africa e in America Latina) fonti energetiche alternative senza andare tanto per il sottile quando si tratta di finanziare regimi come quello sudanese. Dopo tutto, vale sempre il detto di Mao: “Non importa di che colore è il gatto, l’importante è che acchiappi il topo”.>>

Mi sembra che il recensore Francesco Daveri, nel passo sopra citato, si esprima in maniera imprecisa almeno in due punti. Infatti il motto riportato alla fine è, in realtà, da attribuire a Deng Xiao Ping – che è stato l’autentico protagonista della svolta anti-maoista e il “padre” della Cina capitalistica odierna – mentre, al contrario, Mao esortava i cinesi a diventare “rossi ed esperti” – ovverosia a sviluppare le competenze e la produzione mantenendo il primato della politica – per garantire che la dinamica delle  relazioni sociali rimanesse indirizzata verso l’auspicata transizione al socialismo e comunismo.

Mi sembra, poi, che in Africa e in America Latina la Cina cerchi di estendere la sua area di controllo e influenza in zone dove esistono rilevanti risorse energetiche in termini di materie prime; le fonti energetiche alternative possono essere definite tali, invece, solo in quanto la tecnologia (cioè la scienza applicata) ha creato i presupposti perché nuovi e “vecchi” “materiali” e/o “fonti d’energia” diano luogo a un tipo di produzione diverso da quelli precedenti. In altre parole, si tratta di mettere in moto  delle innovazioni riguardanti i processi produttivi che confluiscano, poi, in delle vere e proprie innovazioni di prodotto.

Mauro Tozzato            02.11.2008