Elezioni o truffa?

dem

Le fake news sono armi di distrazione di massa. Tuttavia, sono ugualmente pallottole spuntate, nelle mani dei manipolatori, perché la pubblica opinione ha altro a cui pensare. Il dibattito fascismo anti-fascismo o l’eventuale ingerenza russa nella faccende dei paesi occidentali, le vere “false notizie” delle diatribe in corso, non sono temi che accalorano l’uomo della strada, preso da ben altre preoccupazioni: dalle banche che falliscono derubando i correntisti (vedi Etruria o, anche, Mps salvata dallo Stato), alle tasse che aumentano senza contropartita in migliori servizi, che anzi peggiorano, dalla disoccupazione al moltiplicarsi di lavori atipici, fino alla criminalità in aumento a causa dei flussi migratori incontrollati. Ma lorsignori blaterano di bandiere naziste e ius soli proprio per evitare che i problemi reali prendano il sopravvento sui mezzi di comunicazione di massa. E’ meglio impedire alle percezioni popolari (non supportate dai dati statistici ampiamente accomodati a favore di governo) di trovare riscontro anche nei racconti ufficiali di giornali e televisioni. Poiché allora sì che il malcontento monterebbe in rabbia fuori controllo. In questo quadro di putrefazione istituzionale e sociale i partiti si apprestano ad andare ad elezioni, già consci che il grosso degli aventi diritto resterà a casa, confermando una tendenza annosa di disinteresse, e persino, di disprezzo verso un sistema politico di smidollati e laidi, offensivo e avvilente per la nazione. La democrazia piace sempre meno ed un italiano su quattro auspica l’arrivo dell’uomo forte, del leader carismatico e decisionista che risolva i drammi generali anziché perdersi in chiacchiere sesquipedali sulla grammatica machista o sull’integrazione razziale di minoranze catapultate nel nostro tessuto sociale apposta per aumentare il caos. Consapevoli della situazione i nostri politicanti si sono approvati una legge elettorale ad hoc per impedire al malcontento della cittadinanza di sostanziarsi in un calcio in culo collettivo contro chi ha generato questo scenario. Dopo averci rintronato per anni con l’esigenza della governabilità, garantita dal premio di maggioranza, l’hanno abolito perché questa volta li avrebbe danneggiati. C’è testimonianza più concreta per dimostrare che la democrazia è sempre un gioco a carte truccate? Il rosatellum favorirà, invece, la grande coalizione Pd-Fi (con anche il probabile appoggio della Lega, o di una sua parte in attrito con Salvini) impedendo governi alternativi, non allineati alla strada di dissoluzione e svendita dell’Italia già intrapresa da decenni. Ma pure così sono insicuri di raggiungere l’obiettivo ed allora, come ha paventato Belpietro in suo editoriale, stanno allestendo ulteriori giochi di prestigio per annullare la volontà popolare. Scrive il direttore de La Verità: “Nel caso in cui Gentiloni riuscisse a schivare le trappole che il suo compagno di partito Matteo Renzi ha disseminato lungo il percorso, evitando cioè di finire impallinato sullo ius soli e altre corbellerie del genere, ai primi di gennaio, diciamo nella prima quindicina del mese, tra l’ 8 e il 10, il presidente della Repubblica firmerà il decreto di scioglimento delle Camere, mettendo in calendario le nuove elezioni entro il mese di marzo. I tempi coincidono: nel 2013 si votò a febbraio, dunque siamo a cinque anni esatti di distanza per rivotare. Nel caso tutto procedesse secondo i piani, i seggi verrebbero aperti con un governo in carica e non dimissionario, un passaggio che, come vedremo, è determinante per il raggiungimento dello scopo che Quirinale e Palazzo Chigi si prefiggono. Aperte le urne e certificato il risultato, se non ci fosse un vincitore, le decisioni sarebbero conseguenti. Invece di affidare l’ incarico esplorativo a qualcuno, come per esempio cinque anni fa, quando Giorgio Napolitano incaricò Pier Luigi Bersani nonostante sapesse che il segretario del Pd non aveva nessuna chance di fare un governo con i 5 stelle, Mattarella lascerebbe in carica Gentiloni invitandolo a presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia. In tal modo il capo dello Stato salterebbe a piè pari la liturgia delle consultazioni, evitando di dare l’ incarico a Luigi Di Maio, qualora i 5 stelle si rivelassero il primo partito, o a Matteo Salvini, nel caso la Lega scavalcasse Forza Italia all’ interno della coalizione di centrodestra. In questo modo si scongiurerebbe lo stress di settimane senza governo e senza soluzioni politicamente e finanziariamente compatibili. O per lo meno questa è la scusa. Il senso è chiaro. Invece di perdere tempo con chiacchiere inutili, meglio verificare subito i numeri dei singoli partiti alle Camere e poi decidere di conseguenza. Ma siamo sicuri che il disegno di Mattarella e compagni democristiani sia tutto qui? Beh, la risposta è no, perché dalle parti del Quirinale girano molte chiacchiere, la più inquietante delle quali per obbligo professionale vi riferiamo. In sostanza, nelle ultime settimane, dopo aver incrociato sondaggi e dichiarazioni, qualcuno ha immaginato il seguente scenario.
Mettiamo che vinca il centrodestra, cioè che Forza Italia, Lega e Fratelli d’ Italia facciano il pieno di voti. Il giorno dopo il trionfo che cosa succederebbe? Matteo Salvini, se vincesse con più voti di Silvio Berlusconi, per prima cosa metterebbe mano alla legge Fornero e subito dopo chiederebbe un ministro dell’ Interno che applicasse il blocco navale nei porti di fronte alla Libia. Per lo meno se intendesse tenere fede al programma su cui ha costruito il suo successo elettorale. Ma su entrambi i fronti Silvio Berlusconi, che se non vincesse in termini di voti potrebbe essere comunque il vincitore morale delle elezioni, non la pensa come Salvini. Dunque? Il rischio sarebbe che il centrodestra si spaccasse ancora prima di cominciare. E se invece fosse il caro vecchio Silvio ad arrivare primo, surclassando la Lega? Che succederebbe? Il Cavaliere deciderebbe il premier. Ma dopo, tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’ Italia che equilibrio si instaurerebbe? Al momento litigano e nessuno è certo della vittoria, ma dopo? Ecco, è su questo scenario che si innesta il disegno vagheggiato sul Colle. Nel caso in cui vincesse il centrodestra (cosa assai probabile), ma il centrodestra non si mettesse d’ accordo, quale sarebbe la soluzione? La risposta partorita dai cervelloni di Mattarella è semplice: si lascia Gentiloni. Il presidente del Consiglio è in carica e, se non esiste una maggioranza diversa, resta al suo posto. In pratica il premier verrebbe rimandato alle Camere a chiedere la fiducia e, nel caso la ottenesse, la partita sarebbe chiusa” .

Quanto descritto da Belpietro appare piuttosto verosimile. A questo punto però dobbiamo dare ragione a La Grassa quando parla di democrazia come mero sondaggio di opinione, pure ignorato dai sicofanti parlamentari, considerato che poi decidono come cavolo pare a loro, agendo con ogni raggiro possibile. A che serve, dunque, votare? A nulla, è già tutto deciso a tavolino. Questo è un motivo sufficiente per dare il benvenuto ad autentiche soluzioni autoritarie, da parte di soggetti che si collochino all’opposto dei malfattori attualmente in sella. La cittadinanza si farebbe coinvolgere, almeno emotivamente, più da questa eventualità che dallo stanco rito del voto. Ciò è anche la dimostrazione che la vituperata pancia del paese, auspicante soluzioni drastiche, ragiona meglio dei cervelli bacati dei malfattori che ci sgovernano.