ERETICI E CORSARI di M. Tozzato

Il 20 e 21 dicembre 2010 al Teatro Strehler di Milano verrà rappresentato Eretici e corsari, reading/spettacolo dall'opera di Giorgio Gaber, Sandro Luporini e Pier Paolo Pasolini – regia e drammaturgia di Giorgio Gallione – con Claudio Gioè e Neri Marcoré. Sul Corriere del 09.12.2010 è apparso inoltre un articolo di commento a firma di Paolo Di Stefano.

L’avvicinamento dei due autori, poeta e regista Pasolini, cantante e a suo modo anche poeta Gaber, mi pare particolarmente interessante anche se quello che so di questi due grandi protagonisti della cultura italiana dell’ultimo secolo è piuttosto poco, non sono proprio la persona adatta per parlarne in maniera adeguata. Mi rimangono più che altro  dei “momenti magici”; come quando vidi per la prima volta Accattone oppure Il fiore della Mille e una Notte – secondo me un autentico elogio della tenerezza –  che continuo perciò a tenere ben distinto dal Decamerone e dai Racconti di Canterbury dove si esprime la vitalità erotica non disgiunta da qualche  tratto di “volgarità”. Ripenso a quando da giovane appena un po’ politicizzato rimasi folgorato dalle Lettere luterane di Pasolini, dove egli stesso ammetteva di essersi  illuso riguardo all’innocente spontaneità di cui aveva rivestito i suoi “ragazzi di vita” e dove emergeva un pessimismo radicale sul nostro destino “antropologico” sommerso dal benessere consumista e dall’apparente luminosità della “superficie mercantile”, che ci esorta ad “apparire” e ci dissuade dalla “profondità”, soprattutto quella del pensiero. E poi le ultime canzoni di Gaber dove si esprime, con straordinaria e disincantata lucidità il dramma politico, e diciamolo pure anche “umano” – anche se “umanisti” non lo siamo noi e non lo era neanche il grande cantautore – di una “generazione” che “ha perso” non soltanto una grande battaglia politica ma lo stesso  significato del suo stare al mondo. E ancora mi ricordo di quando dopo aver visto, per la seconda volta, quel film brutto e per certi versi “ripugnante” che è Salò – nel bene (?) e nel male il testamento cinematografico di Pasolini – mi venne in mente che si trattava in realtà del suo ultimo gesto: un violento pugno allo stomaco a noi tutti, e soprattutto agli ipocriti e mentitori da cui si era sentito tradito. Certo qualcuno potrebbe osservare che esiste una notevole differenza  tra la trasgressione di un Gaber – satira pungente e acre dei costumi, della politica e del suo ceto professionale, ed infine delle ideologie di “destra” e di “sinistra” e dell’ideologia conglobante che le riproduce tutte e due assieme – e quella di un Pasolini che nasce e si alimenta della passionalità e della fisicità sino al torbido eccesso che nasce da una esasperata sensibilità.

L’articolo del Corriere riporta comunque qualche considerazione interessante anche se non nuova. Scrive, infatti, Di Stefano:

<<per tutti e due, collocati in origine decisamente a sinistra, si è verificato il tentativo di un’annessione a destra. Giusto o sbagliato (sbagliato, probabilmente) che sia, questo tentativo dice intanto della loro resistenza a una classificazione ideologica. Pasolini e Gaber criticano dall’interno le ideologie della sinistra (comunista)[un ossimoro ?N.d.r.]fino a guadagnarsi gli anatemi di quella parte, a esserne respinti. E a farsi eretici.>>

Nonostante  gli “strumenti” diversi usati dai due, il giornalista e scrittore siciliano, ammette che dalla “critica culturale colta” di Pasolini emerge

<<un profetismo quasi mistico, viscerale al punto da guadagnarsi l’accusa infamante di populista>>

mentre dalla canzone popolare impegnata di Gaber risalta paradossalmente una finezza e sottigliezza “intellettuale” particolarmente stimolante. Di Stefano osserva poi opportunamente che

<<l’obiettivo comune è il conformismo ideologico – e alla fine piccolo-borghese- scambiato per ribellione e persino per rivoluzione dei costumi>>.

Ma, in realtà, non vi è tanto un conformismo nelle forme ideologiche quanto un uso dell’ideologia, travestita spesso da teoria o da espressione artistica, per costruire un anticonformismo finto e di maniera, “strumentale”. E riguardo al Sessantotto studentesco – da distinguere decisamente dal 1969-70 operaio e dalle sue ricadute anche tragiche – si può forse continuare ad affermare che si è trattato di un fenomeno piccolo-borghese ma si deve anche ribadire che la rivoluzione dei costumi c’è stata realmente: una modernizzazione dei comportamenti, dei gusti, dei rapporti tra i sessi, della struttura familiare e una deresponsabilizzazione e medicalizzazione – sociologizzazione integrale delle problematiche individuali. Si è diventati sempre più incapaci di affrontare le frustrazioni, le sconfitte, i “fallimenti” a cui un modello sociale che stimola la competizione, che amplifica i confronti e i paragoni, rende le persone particolarmente sensibili. Accettare i propri limiti e affrontare con coraggio i propri insuccessi diventa decisivo anche per sviluppare una “capacità politica”: solo se si ha la forza, anche morale, di combattere e il coraggio di guardare in faccia gli avversari si potrà sfuggire alla rassegnazione e alla debilitazione emotiva che la “caduta” dei nostri “ideali” giovanili inevitabilmente provocherà.

Mauro Tozzato    12.12.2010