GRAMSCI E LA FIAT di A. Berlendis

A l’Infedele su La7 lunedì 10 novembre 2008  il ministro della cultura Bondi sostenne  che “Gramsci è stato un pensatore comunista che andrebbe studiato, ed il fatto che non lo sia è un sintomo della grave degenerazione della sinistra attuale.” Rispose sul ‘Corriere della sera’ sbottando il ministro dei Beni Culturali del governo ombra del PD Cerami «L’ ho mangiato per trent’ anni. Ora sta sul comodino» (1).

Sicuramente dal comodino è poi passato al cestino, visto che i post-comunisti sono oggi un sol uomo negli osanna e nei peana alla Fiat ed alle sue capacità di condurre strategie autonome, mentre in realtà il complesso di azioni di questa impresa—che continua ad essere una delle espressioni dei  subdominanti italiani—è connesso in modo subalterno rispetto alle strategie dei dominati Usa, e con i loro mutamenti tattici.

 

Intanto se invece di depositare Gramsci sul comodino l’avessero messo sulla scrivania e magari (ri)letto (ma l’avranno poi mai veramente letto?) avrebbero avuto una preziosa indicazione metodologica antieconomicistica sull’intreccio tra la sfera politica e la sfera economica. Infatti Gramsci proprio partendo dal caso contingente della Fiat scriveva: “Il trinomio Agnelli-Gualino-Ponti, col complesso di forze economiche rappresentate—la Fiat, la Snia viscosa, la Sip—dirige la più potente organizzazione capitalistica che esista in Italia. […] questa potentissima coalizione finanziario-industriale è naturalmente anche una potentissima macchina politica. La politica serve a creare le condizioni favorevoli per la prosperità delle speculazioni, e le speculazioni riuscite forniscono i milioni necessari per alimentare e mantenere l’influenza politica” (2).

Così come a proposito della nostra congiuntura attuale, poteva tornare utile  la riflessione gramsciana circa un settore allora di punta e dell’innovazione  di prodotto. Ancora  partendo da un evento contingente Gramsci così dispiegava la sua riflessione: “La Fiat ha perduto la sua battaglia. Nella grande gara automobilistica di Brescia, la grande casa torinese, nonostante l’audacia di un suo corridore, ha dovuto vergognosamente cedere di fronte alla superiorità delle macchine francesi. Questo fatto dipende forse da una momentanea defaillance della capacità tecnica dei costruttori della Fiat o da una rimediabile disorganizzazione dell’industria, o da un inizio di decadenza senza rimedio?”

Secondo Gramsci i vertici aziendali Fiat “avevano saputo provvedere ottimamente ad organizzare la loro industria ed a metterla in grado di affrontare con successo l’accanita concorrenza delle migliori case straniere. […] i capi della Fiat,…,erano allora veramente ‘capitani dell’industria’, esperti, sagaci, arditi e prudenti nello stesso tempo. In che cosa li ha trasformati la guerra? In cavalieri d’industria. Essi hanno abbandonato … la tradizione degli anni passati per cercare la fortuna nel campo della speculazione più temeraria, nei giochi di banca più pericolosi. L’intensa, affannosa attività di guerra, durante la quale la Fiat aveva dovuto subire trasformazioni impressionanti, ha certamente richiesto ai capi della grande impresa industriale sforzi enormi, imponente spreco di energie. Si aggiunga che innumerevoli industrie sorsero durante il conflitto mondiale, che aggruppamenti potentissimi di finanzieri si formarono nell’intento di conquistare industrie, banche, mercati. […] La Fiat non è estranea a queste competizioni. L’attività del comm. Agnelli, in altri tempi rivolta a migliorare il funzionamento dell’azienda industriale, è rimasta quasi completamente assorbita dalle manovre dei gruppi di banchieri, che si assaltavano a vicenda, dalla necessità di parare i colpi minacciosi dei nemici. […] Mentre la concorrenza industriale si trasformava in una rovinosa competizione di gruppi bancari, il capitano d’industria si trasformava fatalmente in speculatore, in cavaliere d’industria. A questo punto è incominciata la decadenza della Fiat” (3).

Risulta chiaro che l’invito  ad una ridiscussione radicale della tradizione marxista (partendo anche da Gramsci ma per andare ben oltre…) di cui sopra era puramente retorico, dato che vi era la dimostrata  (e rivelata) incapacità strutturale già per l’allora Pci togliattiano . Volando molto più in basso, per  l’attuale  gruppo dirigente del Pci-Pds-Ds, si attagliano alla perfezione le parole che Gramsci rivolse ai loro precursori dell’oggi Pd, cioè l’allora Partito Popolare, da lui dipinto come un “gruppetto di miserabili politicanti  capaci di produrre politiche ed azioni  da cui emerge “la sfrontata malafede dei suoi autori che invano tentano di riguadagnare la fiducia delle masse irrimediabilmente perduta nei mercanteggiamenti con tutti i governi della borghesia, da quello di Giolitti, a quello di Bonomi, a quello di Facta, a quello di Mussolini” (4).

 

(1)Corriere della Sera – 3 settembre 2008

(2)Gramsci ‘La plutocrazia piemontese.’ L’Unità’ 11 settembre 1925

(3)Gramsci ‘La sconfitta della Fiat.’ In ‘L’Ordine Nuovo’ 6 settembre 1921

(4)Gramsci ‘Omertà aventinista.’ Da’L’Unità’ 5 agosto 1926.