I PIANI INDUSTRIALI NON CONTAVANO NULLA di G.P.

 

 

 

L’accordo tra GM (gigante automobilistico americano) e la Magna (cordata austro-russo-canadese) ha fatto perdere il tradizionale aplomb ai nostri economisti e commentatori finanziari. Costoro, i cantori romantici dei sacri principi del liberismo globalizzato, immutabile destino dell’umanità senza più storia, denunciano ora il tradimento del mercato e della concorrenza sull’altare profano degli interessi della politica.

Il loro sdegno è dettato dal fatto che l’intesa che ha spinto Opel tra le braccia di Magna non sarebbe scaturita da valutazione seria dei piani industriali (ma quali piani industriali?) messi a punto dalle direzioni manageriali delle due concorrenti (Fiat e Magna appunto) ma dal confronto tra governi Tedesco, Russo, Americano, con quello italiano che avrebbe mantenuto un inspiegabile low profile. Le cose sono andate effettivamente così come vengono descritte ma questi tristi profeti del nostro tempo dimostrano ancora una volta di essere o stolti o in cattivissima fede.

Già prima che l’accordo divenisse cosa fatta in molti avevano esplicitamente affermato che la partita si stava giocando al tavolo degli Stati perché erano in ballo interessi strategici più profondi di quelli prettamente industriali ed economici.

La natura di questi interessi era comune a tutti gli attori in gioco, con Washington che faceva pressioni sulla Merkel per favorire la Fiat da un lato, mentre dall’altro la sponda politica di Magna erano il governo russo e gli influenti politici della SPD, a partire dall’ex cancelliere Shroder, attualmente presidente del consorzio North Stream (il gasdotto che porterà gas in Germania aggirando la Polonia).

Dunque, situazione molto complessa e delicata per i futuri equilibri geopolitici dell’area continentale, soprattutto se si tiene conto che la Germania sta proseguendo sul cammino del rafforzamento dei suoi legami con la Russia per raggiungere quella indipendenza energetica indispensabile ad affrontare la fase multipolare in spiegamento. Ed invece, appena dopo l’annuncio dei vertici di Opel, con la loro scelta definitiva per Magna, si è scatenato il putiferio in casa nostra. Si è parlato di potentissima lobby russa che, grazie al sostegno del Cremlino e degli infidi socialdemocratici tedeschi, è riuscita a spuntarla vanificando il solido piano industriale proposto dalla Fiat e da Marchionne.

Peccato che quest’ultimo, come detto dal Presidente di Magna, non ne sappia molto di auto mentre è un vero e proprio campione di operazioni finanziarie e di salvataggi in extremis di imprese decotte per le quali chiede immancabilmente aiuti di Stato (che anche in questa operazione su Opel sarebbero arrivati copiosi). Ancora più ridicolo è però affermare che Marchionne si sia limitato a proporre una via industriale alla fabbrica tedesca in dissesto per riportarla agli antichi splendori, ben sapendo che costui godeva dell’esplicito appoggio di Obama e di tutto l’establishment statunitense.

Spiace dire che in questo trappolone ideologico siano caduti anche commentatori intelligenti come Nicola Porro il quale, in un editoriale su Il Giornale del 30 maggio ha affermato, un po’ ingenuamente, quello che mai si sarebbe dovuto sostenere su questa soap opera (che è tale non per le motivazioni fornite da Marchionne ma per le mistificazioni della verità che tutti i protagonisti della vicenda hanno contribuito ad amplificare): “Lo scontro per la conquista della casa automobilistica domiciliata in Germania si intreccia con gli interessi della politica. Nelle riunioni in cancelleria si presenta mezzo governo e i presidenti delle Regioni in cui hanno sede le fabbriche. Socialdemocratici e cristiano-sociali si giocano un pezzo di campagna elettorale nella trattativa. Figurarsi se il tema centrale può essere quello della sovraccapacità produttiva. A Marchionne manca l’asso nella manica. Nelle sue tabelline ci sono numeri, ci sono impianti da ridimensionare e risparmi di costi. I piani sono tagliati sulle compatibilità industriali più che su quelle politiche. E in più si trova nella micidiale tenaglia di dover trattare con due interlocutori affatto diversi. La politica appunto”.

E, invece, nient’affatto! I numeri di Marchionne sono gli stessi degli altri, numeri da circo economicistico con i quali sono state celate le trame politiche che poi hanno visto Magna averla vinta sulla Fiat. Per concludere lancio un’ ultima riflessione. Le banche dettesi immediatamente disponibili a venire incontro al Lingotto erano le solite note, ovvero Intesa e Unicredit. Queste, all’indomani dell’annuncio di Opel di un ulteriore buco da sanare pari a 300 mln, hanno subito messo nel piatto dell’acquisizione quanto necessario e quasi senza battere ciglio. C’è ancora qualcuno che dubita della santa alleanza antinazionale da noi chiamata GF e ID che fa da sponda agli Usa nel nostro paese (laddove si è ormai chiarito chi muove i fili della Fiat)?

Non cogliere tutti questi segnali diventa ogni giorno più pericoloso.