IL CAPITALISMO DEL XXI SECOLO di M. Tozzato

Interessante e quasi provocatoria l’intervista al Prof. Guido Rossi apparsa sul Sole 24ore del 20.07.2008. Il giornalista Sebastiano Barisoni inizia così il suo dialogo con Rossi:

<<Professor Rossi anche nel 29’ però andò in frantumi un modello di capitalismo, polverizzando il valore dei listini e dei risparmi.>>

L’ex presidente della Consob replica in questa maniera:

<<Appunto andò in frantumi un tipo di capitalismo, ma la crisi attuale è completamente diversa. Il capitalismo è sempre vissuto anche di speculazioni e crisi, ma è la prima volta che ci troviamo di fronte a un capitalismo esclusivamente finanziario. Ad essere cambiata completamente è la base stessa della struttura del capitalismo per come lo abbiamo conosciuto in  500 anni, ossia la società per azioni>>.

 

Si capisce che il tono dell’arringa di G. Rossi è piuttosto forzato e le apparenti “imprecisioni” sono in un certo senso “volute”; ad ogni modo, per maggiore chiarezza vale la pena di citare Paul Bairoch (1):

<<A quanto sembrerebbe, le prime imprese a operare sotto questa forma organizzativa [società anonime . N.d.R.] furono certe compagnie di commercio coi futuri Terzi Mondi costituitesi a partire dalla fine del XVI secolo. La novità [a partire dal XIX secolo. N.d.R.] consiste invece nell’aggiustamento subito da questo sistema grazie al quale si istituisce una netta separazione tra la responsabilità di tali imprese e la fortuna delle persone che vi hanno investito. L’ impegno non supera questi investimenti. In altre parole, l’azionista di un’ impresa del genere può al massimo perdere quanto ha investito, ma nulla di più. Questa forma di legislazione particolarmente concepita per le imprese viene elaborata soprattutto nella seconda metà del XIX secolo spesso per tappe intermedie. In Francia, per esempio, la possibilità giuridica di creare imprese per azioni è già contemplata nel codice “modernista” detto napoleonico (1804); tuttavia, sino al 1867, per fondare una società del genere occorreva la previa autorizzazione dello Stato. Nel Regno Unito il tutto cominciò più tardi (1825); in compenso, dal 1844, e soprattutto dal 1855-56, il sistema fu reso più flessibile. Le date di entrata in vigore delle legislazioni che consentono effettivamente la creazione di società per azioni e, soprattutto, di società a responsabilità limitata, variano da paese a paese.>>

Invece:

<<Le Borse non sono un’innovazione del XIX secolo, ed esistevano già, per quanto in forma embrionale,  nel Medioevo e,  in forma più strutturata,  nel XVI secolo […]. Le Borse che trattano principalmente azioni delle imprese industriali prendono piede a partire dalla seconda metà del XIX secolo. >>

 

Dopo questa precisazione di carattere storico, forse superflua, continuiamo a seguire il discorso di Rossi:

<<Perché gli azionisti non sono più gli stessi, le società per azioni non sono più le stesse, i mercati finanziari non sono più gli stessi e i titoli che girano intorno al capitalismo finanziario sono completamente diversi.  Non c’erano nel ’29, non ci sono mai stati prima, e oggi,  secondo me, ci troviamo di fronte a una Fenice che ha creato il suo bel giaciglio con questi strani titoli che non si sa più neanche quali sono. Lei pensi ai derivati che si fanno sul capitale sociale. Ma il capitale sociale non esiste più.>>

Ovviamente il giornalista del Sole 24ore risponde così:

<<Spero che sia solo una provocazione…>>

Ma il professore incalza:

<<Ma no, oramai il denaro che gira intorno alle società per azioni non è più quello dei creditori, del capitale sociale, e cioè quello degli azionisti. E’ tutto un gioco che è completamente ed esclusivamente finanziario. E allora è la Fenice che sta bruciando. Diversamente da tutte le altre volte. Quindi non credo che possiamo stare tranquilli e dire che sarà una crisi che passerà.>>

<<Quindi lei non è nemmeno d’accordo con chi ricorda che nel passato recente i mercati sono già stati attraversati da crisi finanziarie pesantissime, dalla Long term capital a quelle asiatiche di fine anni 90 ?>>

<<Assolutamente, questa non ha niente a che vedere, ma non per l’estensione. E’ vero c’è anche l’estensione, l’intensità. Ma la cosa più grave è il modello che è cambiato e il problema, a questo punto, è un problema strutturale, del resto i derivati nel 29’ non c’erano. Pensi per esempio ai credit default swaps, che ammontano a 45mila miliardi di dollari pari a cinque volte il debito americano. Questo è un mercato che è completamente fuori da qualunque controllo, 45mila miliardi di dollari che non sono altro che scommesse sulla capacità delle grandi imprese di restituire i debiti che hanno contratto. Questa è la totale finanziarizzazione del capitalismo.>>

 

La domanda che possiamo porci è prima di tutto quella della situazione attuale del rapporto tra  una economia reale a fianco, e insieme, a questa “enorme” finanziarizzazione. Esiste sicuramente una montagna di fatti che alimentano la visione di una economia che vive di rapporti dematerializzati, che rimandano, perciò, in ultima istanza alla moneta e ai suoi flussi ma non possiamo evitare di prendere in considerazione la circolazione e soprattutto la produzione di merci. Di fatto in un momento di crisi come questo le merci che sembrano dare i maggiori profitti sono le commodities, i prodotti di base, mentre i prodotti industriali e i servizi trovano difficoltà di allocazione sia per finalizzazioni “strumentali” che per scopi di consumo. E’, però, verosimile che nel momento in cui si aprirà uno spiraglio per il superamento di questa crisi, che sarà di durata piuttosto lunga secondo le previsioni, saranno ancora le possibilità di sviluppare produzioni di tipo innovativo e quindi in grado di allargare rapidamente i propri spazi di “espansione  mercantile” e di realizzare un valore aggiunto più elevato a risultare determinanti per la ripresa della crescita.

 

Il dialogo tra Rossi e il giornalista intervistatore continua ora con una nuova osservazione di S. Barisoni:

<<Detta così, se mi permette il paragone, ricorda più il mondo delle corse dei cavalli, si va a scommettere se sarai vincente, piazzato o se non arriverai nemmeno in fondo alla corsa nel restituire il tuo debito.>>

<<Certo, con la grande differenza che quando lei fa l’esempio dei cavalli, i cavalli ci sono. Qui non c’è niente. E’ una scommessa solo sul niente. Altra cosa invece sono i futures sulle materie prime, quella è speculazione classica, è la scommessa su dove arriverà un prezzo, e c’è sempre stata da quando esistono le materie prime, Ma nella finanziarizzazione del capitalismo, come nei credit default swaps si va a speculare sulla speculazione cioè si va a scommettere non su quale sarà il prezzo futuro, questa è speculazione pura, ma vado a scommettere su quale sarà la differenza tra i prezzi ipotizzati. Quindi il meccanismo si amplia, non è più prestare i soldi e avere un interesse speculativo perché ti presto  i soldi, ma è scommettere in maniera speculativa se sarai in grado di restituire i soldi che qualcun altro ti ha prestato. E qui chiaramente il meccanismo esce da ogni controllo.>>

<<Come siamo arrivati a tutto questo ? Secondo il ministro Tremonti l’errore fatale è stato compiuto negli anni 90’ quando un’élite di fautori della globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia accellerò un processo che avrebbe richiesto decine di anni e non un decennio scarso.>>

Secondo me risale a molto prima. Io sono più d’accordo con Robert Reich e con il suo saggio sul supercapitalismo che non con i 10 anni indicati da Tremonti. L’inizio della crisi è molto più antico, va alla fine degli anni 70’ quando c’è stata la trasformazione di quello che Reich ha chiamato il capitalismo democratico in un supercapitalismo, quindi un capitalismo che mano a mano è diventato puramente finanziario.>>

 

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In un articolo sul quotidiano “la Repubblica” del 30.05.2008 Guido Rossi – prendendo spunto da Reich  il cui libro sul “supercapitalismo” era stato appena pubblicato in Italia – contrappone la nuova fase iniziata negli Stati Uniti verso la fine degli anni 70’ al periodo precedente da lui definito come l’epoca della democrazia economica. In questo aureo periodo sarebbe prevalsa una sorta di economia pianificata “sia pur diretta dalle grandi corporation”; i lavoratori americani “ operai e impiegati, godevano di salari decenti, di garanzie sindacali del posto di lavoro, di stabilità economica, di assicurazione sulla malattia e sui diritti alla pensione” .  Tutto questo sarebbe terminato con l’avvento del supercapitalismo, che si sarebbe poi esteso a livello mondiale con la nuova globalizzazione: “La tecnologia, la globalizzazione, la deregolamentazione hanno dato potere ai consumatori e agli investitori e i cittadini l’hanno perduto. Tutto questo ha creato una concorrenza spietata fra le industrie americane e straniere per cui, per attrarre i consumatori, si abbassano i prezzi e il metodo più semplice è quello di tagliare salari e diritti dei lavoratori”.

Guido Rossi però non manca di criticare Reich per il peso limitato che l’economista americano riconoscerebbe alla finanziarizzazione  dell’economia:

<< L’impostazione non regge, prima di tutto perché il supercapitalismo è soprattutto un capitalismo finanziario, e qui invece la finanza non appare quasi neanche come comprimaria. È mai possibile, mi chiedo, che un attento studioso come Robert Reich non si sia reso conto che solo la concorrenza sfrenata che ciascuno di noi vuole come consumatore non sia l’unica origine del deficit di democrazia, ma che dalla fine degli anni Settanta nella struttura stessa delle corporation e dei mercati è apparso un vero e proprio malanno che ha minato l’intero sistema e ha oltraggiato spesso la stessa concorrenza: cioè il conflitto di interessi, neppure nominato nel libro. Così, come ho già detto, è assente qualunque critica al sistema bancario e finanziario. Quindi non si è neppure accorto che il vero deficit di democrazia sta nella nuova lex mercatoria, di medievale memoria, la quale è imposta dalle multinazionali, dai suoi studi legali, dalle sue private corti arbitrali, e che esclude spesso le norme fissate dai legislatori e certamente non tiene in minimo conto i diritti del cittadino o i più elementari principi di democrazia.>>

Insomma sia G. Rossi che R. Reich si presentano come osservatori critici del capitalismo nella sua nuova fase, con differenze di toni e di accenti, soprattutto riguardo al ruolo delle banche, della finanza e della Borsa. Però alla fine essi ritengono che il “supercapitalismo” sia comunque un progresso; essi trascurano di considerare la dinamica fondamentale del capitalismo dei funzionari del capitale (e degli altri capitalismi “orientali”) facendo proprio del conflitto strategico tra i dominanti una componente opzionale di questa specifica formazione sociale ( globale e fenomenicamente distribuita nello spazio con le sue forme particolari).  La “democrazia economica” coniugata con le problematiche ambientali e con progetti fantasiosi di riorganizzazione del sistema finanziario, monetario e creditizio mondiale attraverso la riscrittura di regole rispettose dei valori di equità e di democraticità e a garanzia di una nuova cittadinanza economica e sociale serve, in realtà, solamente come costruzione ideologica utile a determinate “parti” politiche interessate a modificare gli attuali rapporti di forza tra blocchi capitalistici in competizione.

 

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Ritornando all’intervista apparsa sul Sole24ore G. Rossi, infatti, propone una via d’uscita politica alla grave situazione di crisi attuale:

<< Non ho dubbi che l’iniziativa debba essere politica, e visto che gli Stati Uniti sono in campagna elettorale, bisognerebbe che l’iniziativa venisse presa dall’Europa. Un po’ come abbiamo fatto con il Trattato di Roma per garantire la concorrenza nel mercato interno.[…] Senza attendere una nuova Bretton Woods, basterebbe che il Parlamento europeo […]creasse un’agenzia indipendente che avesse dei forti poteri di giurisdizione.>>

Effettivamente si possono nutrire molti dubbi che, riguardo al compito di decidere nuove regole per la finanziarizzazione dell’economia, gli Stati Uniti possano lasciare questo compito ad una iniziativa europea autonoma; per meglio dire ci pare più corretto affermare che l’ipotesi è del tutto inverosimile !

Mi fermo qui perché i temi che le considerazioni del Prof. Rossi hanno posto in evidenza sono talmente vasti e complessi che richiederanno interventi più ponderati e approfonditi in futuro.

E’ per questo che, per il momento, ho solo riportato i termini  delle questioni (nella versione di G.Rossi) e tentato poche scarne considerazioni.

 

(1)    Paul Bairoch – Storia economica e sociale del mondo – Einaudi 1999

 

Mauro Tozzato                        22.07.2008