Il dito economico e la luna politica di P. Pagliani

Una lettera aperta

 

[Quella che segue è una lettera aperta a una cara amica, Marina, impegnata in modo appassionato nella difesa degli “ultimi” ai quali associa una particolare, se non unica, valenza rivoluzionaria. Marina mi ha inviato un’analisi della crisi attuale. L’autore è Chris Floyd, redattore del sito “Empire Burlesque” (http://www.chris-floyd.com/), sito col quale si possono condividere molte prese di posizione. Ma l’articolo in questione, che trovate col titolo “Not Enough Money in the World: The Real Monster in the Meltdown Closet”, cade nella solita trappola economicista. Questo è il mio commento]

 

Cara Marina,

 

l’articolo che mi hai inviato s’inserisce in quel mainstream che accomuna oltre alle dispute di superficie destra e  sinistra e che insiste sulle spiegazioni tecnico-economiche della crisi.

In tutte queste disamine non c’è uno straccio di analisi politica profonda.

Perché si è prodotto il “castello di carte finanziario”? Boh! Nessuno lo dice. Si forniscono pseudo-spiegazioni tecniche di fronte alle quali la categoria usata dal Papa, "avidità", sembra quasi una categoria marxista-leninista.

La realtà è che ci sono tre fattori fondamentali che hanno spinto a questa spettacolare finanziarizzazione e alla sua crisi attuale:

 

1) Un meccanismo interno alla sfera finanziaria (in quanto distinta da quella economica), i cui attori per accumulare potere (espresso nel modo richiesto dalla sfera in cui agiscono) si sono inventati ogni tipo di "prodotto derivato", così come nella sfera economica si sfornano sempre nuovi prodotti per battere la concorrenza. Quindi il motore è l’accumulazione di potere all’interno della sfera finanziaria; e nel capitalismo accumulazione di potere vuol dire accumulazione di titoli di credito. Soldi. Money. Mammona. In ogni possibile forma.

 

2) Una crisi di sovraccumulazione, frutto della concorrenza e cioè, ancora una volta, di una lotta di potere, che ha spinto i capitalisti a disinvestire dall’industria e dal commercio nei paesi occidentali e far girare enormi masse di capitale in giro per il mondo a cercare occasioni di profitto (la cosiddetta “globalizzazione”, detto in sintesi). Rapinando con il prestito a usura economica e politica (IMF), investendo (Cina, India, ecc …), strangolando altre economie (vedi America Latina, Africa e crisi delle Tigri Asiatiche), salassando altri popoli (ne sai qualcosa), dedicandosi a ogni tipo di “speculazione finanziaria” (il denaro che genera denaro come nel Paese di Acchiappacitrulli), fino ad arrivare alla crisi odierna che in una certa misura è una "autorapina", o per meglio dire una rapina all’interno degli stessi paesi dominanti, dove scorrazzano gang che farebbero impallidire la Chicago degli anni Venti.

 

3) Il tentativo da parte degli USA di recuperare la propria posizione dominante, ovvero il tentativo di imporre il primo impero mondiale della Storia, tentativo che costa un sacco di soldi (solo per i costi dell’invasione dell’Iraq, J. Stiglitz ha previsto 3.200 miliardi di dollari). O, più precisamente, è un tentativo gigantesco che ha bisogno di un’enorme quantità di mezzi di pagamento, tirati fuori con ogni mezzo, anche dal cilindro della Haut Finance. Ed è per questo che continuo a dire – pare con gran scandalo – che non ha capito niente di politica chi non comprende che i maggiordomi della finanza USA, come i Mortadella, i Padoa-Schioppa, i Draghi e compagnia cantante – e cantante in gran parte, anche se non unicamente, nel coro di Sinistra (per via della storia politica italiana) – sono pericolosi.

Poi si può anche andare a fare tutte le marce della pace del mondo, ma la sostanza non cambia.

 

Come vedi non ho elencato nemmeno un motivo "puramente economico", come fanno quelli  che continuano a blaterare di una marxisteggiante "crisi strutturale" in termini economicistici (anche sul tuo sito ma in realtà un po’ dappertutto a sinistra).

Ma lo si vuol capire che l’economia pura è la maggiore e migliore invenzione ideologica del capitalismo, dei dominanti, degli oppressori? Lo si vuol capire che dietro ad ogni singolo termine economico, ad ogni singola quantità economica ci sono dei rapporti sociali, rapporti di sfruttamento, di conflitto tra agenti capitalistici, di conflitto tra formazioni sociali?

Se non si capisce questo che senso ha parlare di “rivoluzione”? Ma dico, si fa una rivoluzione contro un meccanismo economico o contro un meccanismo politico e sociale? Ma stiamo scherzando? Se ti investono te la prendi con l’auto o con chi guida l’auto?

E invece tutti a tirar fuori i buoni sentimenti, a fremere per gli sfruttati, per gli oppressi e per gli emarginati, e poi, alè, tutti a parlare del meccanismo economico capitalistico che finalmente si è inceppato, la famosa “crisi strutturale e finale”. Bella difesa hanno questi sfruttati, questi oppressi, questi emarginati!

Bisogna stare attenti alle manovre della luna e invece si sta attenti alle mosse del dito!

 

La crisi è strutturale perché nel capitalismo il conflitto è strutturale, non perché si “inceppano” da soli meccanismi economici operanti nell’iperuranio, in un vuoto sociale. Non perché “in questi anni si è sventuratamente trascurata  l’economia reale a favore della finanza” come diagnostica – con ciò sintetizzando ciò che dice il 99% di destri, sinistri e ultrasinistri – Jeremy  Rifkin, guru di molti “no-global” (e, detto incidentalmente, “esperto” che preconizzava la “Fine del Lavoro” e il predominio della knowledge economy – un cavallo di battaglia di molti ultrasinistri nostrani, come ben si sa – proprio mentre in Asia si stava concentrando la più grande classe operaia mai vista al mondo).

Qui la ventura o la sventura, l’attenzione o la trascuratezza non c’entrano nulla. L’inceppamento dei meccanismi economici è il sintomo dell’inceppamento di un assetto di potere dato, di un meccanismo di accumulazione di potere prima che di un meccanismo di accumulazione di capitale.

E infatti si è inceppata la possibilità politica (e militare) degli Stati Uniti di far sistema (non la possibilità del capitalismo di far sistema, come dice Wallerstein – per lo meno non ancora). E così si è inceppato il tentativo di risolvere una crisi di sovraccumulazione che va avanti da molti decenni. E gli avversari geopolitici di Washington – cresciuti anche grazie a questa crisi di sovraccumulazione – a poco a poco si muovono. Per dirla con uno slogan allitterante: quando l’emittente perde di credito (lato politico), i suoi titoli di credito che credito possono avere (lato economico)?

Sto chiaramente correndo e trascuro elementi e dinamiche importanti (perché le cose sono più complesse e interconnesse). Ma proseguendo ancora per linee brevi, tanto per tirar fuori subito il nocciolo, l’inconvertibilità del dollaro in oro, del 1971, fu il pendant economico della prima grossa crisi di potenza statunitense la cui macro manifestazione era l’impossibilità evidente di vincere la guerra del Vietnam (sempre onore ai combattenti vietnamiti – anche se adesso i nostri ultrasinistri direbbero “Contro Nixon boia, ma anche contro le pulsioni imperialiste vietnamite”, o tempora!), impossibilità di vincere che voleva dire che in Asia per gli USA non c’era molta trippa per gatti. E in effetti poi emerse l’Asia orientale come competitor, coordinata dapprima da un’aggressiva sub-egemonia giapponese e ora da una forse autonoma egemonia continentale cinese. E guarda caso, subito dopo il 1971, il dominio imperiale statunitense continuò a perdere i pezzi e a prendere tranvate: Nicaragua (un vero scandalo: nello stesso "cortile di casa" americano), Iran (pilastro della geopolitica USA in Medioriente e Centrasia), guerra del Kippur (un colpo all’altro pilastro mediorientale).

Certo, poi c’erano anche i problemi di accumulazione interni, le "crisi fiscali" e un sacco di altri guai. Che erano però descritti soprattutto come guai economici che avevano un riflesso politico, mentre dovevano essere descritti in primo luogo come guai politici (che nel  capitalismo prendono la forma specifica di guai economici con effetti di retrazione sulla politica).

Non accuso nessuno, perché questo passava il convento marxista dell’epoca. Dalla trappola non scapparono del tutto nemmeno menti fini come Sweezy e Baran, per fare solo un paio di nomi. Da noi in Italia hanno cercato di uscire dalla padella dell’economicismo gli operaisti (a partire dall’ottimo Raniero Panzeri), che però finirono nella brace del tecnicismo, tutti attenti quasi esclusivamente alle ricadute politiche dei modi di estrazione del plusvalore relativo (a parte qualche spirito più libero).

Questi erano i tempi e io, si parva licet, mi associo al doveroso mea culpa.

Doveroso ma che quasi nessuno sembra voler fare. E così vai col tango! vai ancora con “crisi strutturali”, “catastrofi finali del capitalismo”, “rivoluzioni proletarie” e l’ineluttabile “sol dell’avvenir”. E specialmente che sia Ora e Adesso. Perché è questo che si legge nella stragrande maggioranza dei siti e delle pubblicazioni della “sinistra radicale” o “di classe”.

E magari si storce anche il naso quando si accusa la Sinistra in senso ampio di fellonia e di intesa col nemico,  perché – e già! – bisogna pur far quadrato contro il “fascismo” berlusconiano (e allora perché non far quadrato anche contro il “fascista” Milosevic, il “fascista” Saddam Hussein, e la gran schiera di “fascisti islamici”: i “fascisti” talebani, i “fascisti” di Hamas, i “fascisti” di Hezbollah”, il “fascista” Ahmadinejad … ? Già, perché tutte le guerre imperiali degli USA dal 1941 in poi sono sempre state e saranno guerre “antifasciste”, per la “libertà” e la “democrazia”, tanto che ne ha dovuto prendere atto anche il noto antifascista Fini  – e infatti è “antifascista” proprio per quello. E non si dica che quello è un antifascismo taroccato mentre questo è di origine controllata, perché i galloni di “antifascista DOC” gli USA se li sono guadagnati sul campo nella II Guerra Mondiale in Europa – e quanto ci tengono a ribadirlo! per cui storicamente la questione non sta in piedi. La mettiamo allora sugli ideali? Eccoli là: “libertà”, “democrazia”. Non sono ideali antifascisti? Insomma quando un nobile concetto derivante da una nobile pratica di un’epoca trascorsa – diventa una foglia di fico per ogni pudenda attuale che rischia di essere messa in mostra, è meglio lasciarlo portare via dal vento, così fa una fine più degna e il re rimane finalmente nudo).

 

Io non so se ci sarà mai in futuro una rivoluzione anticapitalista. So però che se si continua a guardare il dito economico e non la luna politica, non si riuscirà nemmeno ad apprestare una pur minima resistenza nell’immediato.

E allora addio sentimenti edificanti e difesa degli oppressi.

 

Ciao.

 

Piero