IL “FASCISMO” DELLE AMAZZONI SPOMPINANTI di G.P.

 

Il blog è stato tra i primi organi di informazione politica a paventare l’ipotesi che la canea di accuse scaraventate su Berlusconi, tanto dalla stampa interna che da quella estera, fossero parte di un piano per destabilizzare i vertici del paese. Ciò che agli statunitensi riesce difficile accettare sono i propositi autonomisti dell’Italia in politica estera che hanno dato vita ad una “internazionale del gas” con gli importanti accordi siglati tra Eni e Gazprom (complici i governi dei due paesi e l’amicizia tra Putin e Berlusconi) quelli con la Libia di Gheddafi (vedi gli accordi con la Noc che andrebbero a rafforzare i primi), quelli con la Sonatrach algerina (con i rinnovi delle intese per lo sfruttamento  dei giacimenti di questo paese) e, infine, le simpatie "non manifeste" per l’Iran di Amadinejad, nonostante il Ministro Frattini sia stato costretto a rimandare una visita già prevista a Teheran, causa forti pressioni americane.

Persino l’ex Presidente della Repubblica Cossiga, dopo aver negato, in prima battuta, questa trama un po’ oscura, ha dovuto confermare quanto da noi intuito quasi immediatamente. Del resto, non è la prima volta che si tirano in ballo faccende personali per screditare il Cavaliere e rendergli la vita difficile; se poi si è in prossimità di appuntamenti internazionali come il G8, allora il fuoco incrociato dei mass media si fa fitto e senza risparmio di colpi.

A quegli stolti che ancora credono che costui è il pirata nero dei mezzi d’informazione nostrani, l’eminenza grigia del cyber fascismo post-moderno in salsa televisiva, il Generale indiscusso di una legione di veline-amazzoni pronte ad estenuare i nemici a forza di pompini, diciamo chiaramente che è ora di aprire gli occhi oppure di farsi per sempre da parte insieme alla loro stessa buona fede. Berlusconi non è quasi in grado di contrastare una campagna mediatica denigratoria nei suoi confronti e nemmeno si rivela capace di prendere decisioni verticistiche al fine di sbloccare una situazione istituzionale che diventa nefasta per le sorti del paese, costretto com’è tra gli infidi ex-fascisti (quinta colonna degli interessi Usa in Italia) e i rozzi leghisti, i quali del federalismo variamente declinato (regionale, fiscale, ecc. ecc.) ne hanno fatto un feticcio per non perdere consensi. Ma se per la Lega bastano poche concessioni al fine di ammorbidirne le posizioni, nei confronti dei nipotini di Almirante serve la verga e qualcosa in più, considerato che hanno già cominciato a tramare con D’Alema e i suoi sostenitori d’oltre atlantico per destabilizzare definitivamente l’Italia.

Non so dire, come afferma l’Annunziata, se sia stato proprio all’interno di circoli massonici internazionali come il Bilderberg che si sia deciso di attivare tali strategie sovvertenti per Berlusconi. Tuttavia, considero tali gruppi quali organi di un corpo più complesso che ha la  testa ai livelli superiori dell’establishment politico americano e che sono chiamati a svolgere un ruolo di trasformazione pragmatica (sebbene esista certamente una gerarchia tra tali “camere trasformative”) delle indicazioni strategiche dominanti, coinvolgendo altresì i decisori sub dominanti di altri paesi. In questo momento storico, come ribadisce l’ottimo articolo che riporto sotto, l’Italia sta dando delle rogne serie agli Usa, quasi rifiutando di svolgere quel ruolo di subordinazione e di adesione alla strategia dominante che gli statunitensi si attendono da essa. In una fase così delicata, smottamenti dalla linea pro-Usa e piccole indecisioni possono causare reazioni a catena con ripercussioni sull’egemonia costruita dagli Usa in Europa, a partire dal secondo conflitto mondiale. La partita a scacchi geopolitica dell’epoca multipolare è appena iniziata e il pedone Italia si è messo in testa di fare il “pezzo pesante”. A dir la verità, i prodromi di una possibile rinascita nazionale sono al momento confinati in poche persone, peraltro non ben collegate con i “corpi speciali” indispensabili per evitare una disfatta su tutto il fronte. L’Italia resta sotto scacco ma ha lo spazio necessario per fondare una strategia di divincolamento, in attesa che si definiscano meglio le strategie altrui (alle quali occorrerà collegarsi). Nel frattempo si curi a dovere il Patto Berlusconi-Putin quale asse per una futura politica libera del nostro paese.

 

L’ ASSE BERLUSCONI – ENI – PUTIN NEL MIRINO DI OBAMA

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Dom 11.53

aconservativemind.blogspot.com/

L’ipotesi del “complotto” internazionale ai danni del presidente del Consiglio inizia a farsi largo anche tra chi non ha grandi simpatie per Silvio Berlusconi. Tipo Lucia Annunziata, che ieri sulla Stampa ha parlato del possibile “complotto Bilderberg”: un club dei potenti della terra che si riunisce ogni anno sotto la guida spirituale di Henry Kissinger e traccia l’indirizzo che dovrà prendere il mondo nei dodici mesi seguenti. Inutile dire che l’impronta del circolo è spiccatamente anglosassone. Tanto più lo è stata quest’anno (l’incontro è avvenuto a cavallo della metà di maggio), grazie alla presenza di numerosi plenipotenziari della diplomazia statunitense. E dato che il governo italiano è visto a Washington come la testa di ponte mediterranea della Russia di Vladimir Putin e Dmitry Medvedev, la quale oggi è ai ferri corti con gli Stati Uniti tanto quanto lo era ai tempi di George W. Bush, la voglia di tirare le somme e dire che per la Casa Bianca (e per il “circolo Bilderberg”) Berlusconi è un ostacolo da rimuovere è forte.

I fedelissimi del premier, che pure sentono l’aria farsi pesante attorno al capo, per ora preferiscono puntare l’indice altrove. Tipo Niccolò Ghedini, che dice di vedere in atto «una forma di strategia di isolamento dell’Italia» e la imputa alla voglia di certi “poteri economici” di bloccare la Fiat nel momento in cui sta cercando di diventare una multinazionale dell’automobile. Ma è una lettura che rischia di peccare di ingenuità. Ciò che sta creando problemi agli Stati Uniti, infatti, non è la Fiat, ma la politica estera ed energetica italiana. In particolare, l’asse tra Berlusconi e Putin, cementato dalle intese tra Eni e Gazprom. [corsivo mio per sottolineare la scarsa intelligenza (ci sono o ci fanno?) dei “fedelissimi” che non capiscono un accidenti della questione Fiat, vera quinta colonna di Obama; mentre l’“asse” che infastidisce gli Usa è quello energetico].

Questo quotidiano per primo aveva scritto, sei mesi fa, che Berlusconi era riuscito a «portare l’Italia nella sfera d’influenza del Cremlino e allontanarla dall’orbita americana». Oggi lo stesso concetto appare tra le righe dei commentatori di sinistra. La situazione, da allora, si è persino fatta più complicata. Perché all’epoca alla scrivania dello studio ovale della Casa Bianca sedeva Bush, un amico del nostro presidente del consiglio. Con il quale i rapporti politici erano stati molto meno idilliaci di quanto destra e sinistra volessero far credere (lo scorso settembre il vicepresidente americano Dick Cheney era venuto a Roma per criticare l’appoggio dato da Berlusconi all’operazione militare russa in Georgia), ma il feeling personale era sempre rimasto solido. Con l’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca il governo italiano ha dovuto ricominciare da zero, e non è impresa facile. Anche perché Obama è personaggio freddo, calcolatore, che alla politica dei rapporti personali preferisce di gran lunga la realpolitik degli interessi. Così l’Italia, che più di tanto non ha da dare agli Stati Uniti, è stata messa nella “seconda fascia” degli alleati europei, quelli meno importanti. Stessa sorte toccata alla Spagna di José Luis Zapatero, a dimostrazione del fatto che con Obama non conta essere di destra o di sinistra, ma solo quello che puoi dare alla causa statunitense.

E l’Italia, in questo momento, sta dando soprattutto rogne. L’ultima è di pochi giorni fa. Al dipartimento di Stato americano, dove le mosse dell’Eni sono seguite con attenzione – e non certo da oggi – non è passato inosservato l’accordo siglato il 15 maggio (proprio mentre in un hotel di Atene era in corso il summit del “club Bilderberg”) tra Eni e Gazprom, ultima grande intesa strategica tra le due aziende che fanno capo al governo italiano e quello russo. L’accordo prevede che la portata del gasdotto South Stream, attraverso il quale nel 2015 il gas russo arriverà copioso in Europa e soprattutto in Italia, aumenti da 31 miliardi di metri cubi l’anno a 63 miliardi. Quanto basta, in teoria, per fornire all’Italia i quattro quinti del suo fabbisogno di metano. L’enorme infrastruttura minaccia di uccidere il gasdotto rivale, Nabucco, quando questo è ancora in fase di progettazione. E Nabucco è fortemente voluto dall’amministrazione statunitense, perché farebbe arrivare in Europa il gas di Turkmenistan, Kazakistan e Paesi vicini, sottraendolo al controllo russo. La Ue sarebbe meno dipendente dal gas del Cremlino, la Russia perderebbe potere politico nei confronti dell’Europa (oltre a una quantità di soldi difficile da quantificare) e gli Stati Uniti incasserebbero una bella vittoria nello scacchiere della geopolitica.

Il problema, appunto, è costituito da governo italiano ed Eni. Che a parole appoggiano ambedue i progetti, ma in realtà hanno a cuore soprattutto quello che li lega alla Russia e a Gazprom. Paolo Scaroni, amministratore delegato del cane a sei zampe, ormai dice apertamente di non credere più al progetto sponsorizzato dagli Stati Uniti. «Nabucco decollerà solo quando avrà il gas di Turkmenistan, Kazakistan e forse dell’Iran. Da quanto ho letto, questo non accadrà», ha detto Scaroni dopo l’accordo con Gazprom. Lui stesso, pochi giorni prima, siglando la maxi-intesa con i russi, aveva detto che dietro all’ampliamento della capacità di trasporto del gasdotto c’è «un grande significato politico, perché tutto questo gas arriverà in Europa senza dover più passare dal territorio dell’Ucraina». Troppo dipendenti dal gas russo? Affatto: in quelle stesse ore, Berlusconi commentava che «dovremmo essere felici che un paese amico ci dia la possibilità di avere l’energia di cui abbiamo bisogno». L’Unione europea (e gli Stati Uniti) avrebbero preferito invece mantenere in gioco l’Ucraina. A marzo, proprio per questo motivo, la Ue aveva siglato un’intesa con il governo di Kiev per ammodernare i gasdotti ucraini. «Una perdita di tempo e di mezzi finanziari», aveva commentato Scaroni, perché quell’intesa escludeva «chi il gas lo produce, cioè la Russia».

Insomma, le certezze sono che il patto tra Roma e Mosca è davvero d’acciaio, e che l’intesa non è solo economica, ma – per ammissione dei protagonisti – politica. Questo per Washington è un problema. Fino a che punto l’amministrazione Obama intenda spingersi e fin dove possa arrivare, è tutto da vedere. Ma alla Casa Bianca non sono mai andati troppo per il sottile quando si tratta di avere il controllo degli idrocarburi. E credere che certe abitudini siano tramontate solo perché adesso comanda un afroamericano democratico rischia di rivelarsi un errore fatale.

Fausto Carioti

Fonte: http://aconservativemind.blogspot.com/

Link: http://aconservativemind.blogspot.com/2009/05/lasse-berlusconi-eni-putin-nel-mirino.html

29.05.2009

© Libero. Pubblicato il 29 maggio 2009.