IL FUTURO E’ GIA’ PASSATO E……

 

Nell’ottimo film di un regista oggi “esaurito”, C’eravamo tanto amati (1973), il personaggio interpretato da Satta Flores pronuncia una frase amara, di presa d’atto del fallimento d’una generazione, di cui cito solo la parte finale, proprio perché la uso qui senza l’amarezza del fallimento, ma per mera indicazione delle “illusioni ottiche” di cui cadiamo spesso vittime: “il futuro è già passato e nemmeno ce ne siamo accorti”.

Ancora si è dentro la polemica, durata circa vent’anni o quasi, che ha ridotto la lotta politica ad una sorta di continuo referendum intorno ad una persona. Ormai i lettori del blog sanno che cos’è stata la sporca operazione “mani pulite”, chi ne erano i sostanziali mandanti (al di là della buona o, soprattutto, mala fede di una magistratura priva di qualsiasi equilibrio “giudicante” e totalmente piegata ad un parte politica, sia interna che internazionale), quali risultati voleva conseguire essendo venuta, anche cronologicamente oltre che logicamente, dopo l’aperto sbocco dei piciisti nel più aperto rinnegamento e tradimento di quelli che facevano apparire come i loro intendimenti di opposizione al sistema capitalistico; un  tradimento partito da assai lontano e che portava in auge il peggiore capitalismo italiano, quello delle attività complementari (e dunque integrate e perciò succubi) rispetto al sistema economico-sociale predominante, quello statunitense.

Questo passaggio richiedeva l’annientamento dell’industria pubblica. Bisogna però finirla di credere che il male stesse nella “lesione” del pubblico, come se questo rappresentasse in una qualsiasi misura l’interesse generale. Per ragioni storiche specifiche, che avevano radici nel periodo fascista, certi settori economici, in seguito alla crisi, erano stati statalizzati; ma il fascismo, non a caso, era disposto a ri-cederli ai privati dopo poco più di un anno e dopo il solito processo di socializzazione delle perdite. Quindi nessuna particolare visione strategica lungimirante. Furono proprio gli Agnelli e gli altri capitalisti privati a rifiutare di riprendersi tali settori; e allora un uomo di indubbie capacità imprenditoriali quale Beneduce si diede da fare per costruire e sviluppare l’IRI. Fu però dopo la guerra che – per altre contingenze storiche, ma soprattutto tenendo conto della strutturale arretratezza del capitalismo famigliare italiano, fra l’altro partecipe del tradimento del 25 luglio e 8 settembre a favore del capitalismo anglosassone, divenuto poi quello preminente – l’economia pubblica si arricchì dei suoi maggiori gioielli (nell’ordine: Finmeccanica, Eni ed Enel) in quanto imprese di settori strategici ancor oggi non totalmente distrutte dal tradimento dei piciisti in quanto mandatari della Confindustria e dei “padroni” statunitensi.

Sappiamo la funzione espletata da Berlusconi nell’impedire la piena realizzazione del progetto di asservimento, ma non conosciamo in questo caso i reali coadiutori, sempre rimasti nell’ombra a dimostrazione della loro strutturale debolezza che oggi sta venendo in piena evidenza. La sinistra (Frankestein o, se si preferisce, Jekill) ha creato il suo Mostro, il suo speculare doppio, e la situazione si è retta in questa ignobile farsa (tragica) per tutti questi anni. Non so se i contendenti ne avessero consapevolezza, ma guai se uno dei due avesse “vinto”, perché la vittoria non poteva essere pacifica e “democratica” (infatti, in tutti questi anni abbiamo assistito ad una zuffa sempre al limite della “guerra civile”), sarebbe invece finita con l’annientamento di “uno dei due”; solo che, annientato uno, sarebbe morto anche l’altro. Una “sinistra”, mai stata tale, ha inseguito per tutta la sua esistenza (ventennale) la sua “creazione” (denominata “destra”). Qualcuno, forse lucido, ha capito che bisognava tenere in vita il Mostro per continuare a prosperare sulla pelle dei gonzi di quel ceto medio parassitario che vive di spesa pubblica, enorme bubbone di questa società malata. Altri, pazzi e idioti nel contempo, hanno fatto di tutto per distruggerlo, ma hanno avuto per anni la fortuna di non riuscirci mai, altrimenti sarebbero finalmente crepati, liberando il nostro paese di questo terribile cancro che lo ha ammalato irrimediabilmente; per cui, pur se adesso siamo alla fine del processo, avremo la trasmutazione del “malato terminale” in semplice zombi.

Tutti i poveri gonzi, ingannati dalle “parti in commedia”, stanno adesso ancora ad azzuffarsi per le elezioni a Milano, vera recita in cui si vedono sul palcoscenico alcuni scheletri che oscenamente agitano femore e tibia, omero e ulna e radio mentre il ghignare produce l’orrendo suono delle mandibole sbatacchiate l’una sull’altra. Avanzi di una morte già avvenuta senza che nessuno ne prenda atto. Nemmeno se ci fossero le elezioni politiche, avrebbero un gran significato; in ogni caso, non annullerebbero quel futuro che è già passato o dalla fine del 2009 o del 2010, questa l’unica incertezza. Si è trattato del momento in cui Berlusconi ha pensato bene di farsi riabbracciare, se possibile, dagli Stati Uniti; dai nuovi Stati Uniti, quelli di Obama, anzi di Gates, delle cui mosse dobbiamo ancora ben capire i mutamenti rispetto a quelle passate.

In fondo, Berlusconi se la cavava abbastanza bene nell’epoca precedente degli Usa (quella iniziata nel 1991 con la dissoluzione dell’Urss) perché essi, convinti di trovarsi già in una fase sostanzialmente monocentrica erano, sì, irritati per certe iniziative italiane in politica estera, ma ritenevano di poterle tollerare data la debolezza degli avversari (a partire dalla nuova Russia). In fondo il Mostro, non meno di Frankestein, offriva supporto per le avventure belliche degli Usa. Quindi lo si teneva sotto osservazione, senza troppo ossessionarlo. Teniamo presente che i documenti Wikileaks – che del resto solo incidentalmente trattano di certi piccoli fastidi procurati dal Mostro – sono stati messi in circolazione dopo che la strategia Usa era svoltata; e questo non è certo un caso, pur se non va interpretato troppo superficialmente il suo significato (secondo me non ci è ancora chiaro) dato che tali documenti sembrano proprio un “regalo” del FBI, cioè dei Servizi legati ai vecchi centri strategici nel loro intralcio frapposto ai nuovi, che sembrano (ri)privilegiare la CIA.

In ogni caso, è ancora da vedere se il “riabbraccio” degli Usa (nuovi) a Berlusconi sarà “mortale” oppure se l’accompagnerà ad un “luogo di villeggiatura” o se addirittura – l’ipotesi a mio avviso meno probabile – lo lascerà condurre l’operazione di trapasso ad altra politica italiana (già in fase assai avanzata) che decreterà la morte di Frankestein e della Creatura. Qualsiasi sia la soluzione, il “futuro” è già per l’essenziale cominciato, ed almeno il suo inizio è quindi alle nostre spalle. Siamo noi a non conoscerlo ancora, per nostri limiti d’altronde inevitabili. Adesso però anche noi
dobbiamo rivolgerci al reale futuro, a quella sua parte non ancora trascorsa. Nella fase storica che avanza non si può fare a meno di cercare la via per riunire – se ci sono – forze a valenza nazionale; forze interessate alla nostra indipendenza e che quindi sappiano quanto sia indispensabile andare ben oltre le pallide mossucce compiute da Berlusconi soprattutto tra il 2003 e il 2009.

 

2. Credo non sia chiaro – né ai nostri stupidi critici, bestioni di un’epoca che fu, né tuttavia forse a tutti i nostri invece intelligenti collaboratori – che una tale ricerca è obbligata dalla fase in cui ci si trova; a causa della morte di un movimento passato, e ormai ampiamente fallito, che aveva tentato la trasformazione sociale in una certa direzione (sia chiaro che una profonda e radicale trasformazione si è comunque compiuta, solo in una diversa, radicalmente diversa, direzione). Oltre un secolo e mezzo fa (1848) si produsse quel tumultuoso rivolgimento che sanzionò grosso modo (molto grosso modo) la scissione del Terzo Stato in borghesia e proletariato, su cui si sono basati i vertici direttivi di un movimento senza accorgersi che quella divisione era già obsoleta con la prima guerra mondiale. Si è continuato imperterriti a protrarla, illanguidendo sempre più gli aspetti della lotta (presunta antagonistica e trasformativa) fino alla sindacale competizione distributiva tra Capitale e Lavoro (quello salariato ed esecutivo, cancellando tutta l’articolazione complessa dei ceti lavorativi in una società moderna) o a quella, ben più conflittuale, tra paesi coloniali (con la loro struttura sociale) e paesi sottoposti a dominio coloniale (con diversa struttura sociale), dimenticando totalmente le analisi leniniane che distinguevano la fase imperialistica (cioè policentrica) del capitalismo (in realtà di formazioni sociali differenti, pur se basate economicamente su impresa e mercato) dal semplice colonialismo.

Tutti sforzi inutili che hanno decretato il fallimento di un movimento cominciato in un certo modo e con certe finalità e terminato producendo tutt’altra realtà che ancora non ci si decide a studiare con approfondita serietà analitica. Oggi, dato quest’esito negativo, è necessario ricominciare dalla realtà di un conflitto di cui si pongano in evidenza i caratteri di autonomia nazionale, con una politica di “alleanze” (ai fini del conflitto) tesa a difendersi dall’invadenza della potenza che tutto vuol ingoiare; e che, preso atto dell’inesistenza del suo predominio monocentrico, sta perseguendo una diversa via di preminenza. Il grado di criminalità della sua politica è ulteriormente aumentato, ma non è questo che ci deve scandalizzare; la dobbiamo denunciare, ma con la consapevolezza che per contrastarla sarà necessario, un giorno, superarla in durezza. La si ridurrà alla ragionevolezza solo quando gli avversari saranno in grado di assestarle, per vie che adesso non so prevedere, una serie di colpi micidiali. Solo così si potranno costringere i suoi dirigenti, autentici “robot assassini”, a lasciare la loro presa criminale sul mondo.

Tuttavia, deve essere chiaro che si tratta solo di una via provvisoria necessitata appunto dalla fine di un movimento di lotta “in verticale”, oggi mantenuto fittiziamente in vita dal personale di servizio dei predominanti centrali, di cui sono entrati a far parte i fu comunisti, gli antimperialisti, ormai sconfitti e imbastarditi, vendutisi all’avversario per sopravvivere. Non ci si deve però accontentare del compito provvisorio, pur se si tratterà della provvisorietà di un’intera fase storica. Dobbiamo renderci conto che quelli da noi trattati in modo del tutto indifferenziato quali paesi, Stati, nazioni (senza mai opportuna distinzione tra questi termini) sono caratterizzati da strutture di rapporti sociali, molto più complicate di come furono studiate con schemi teorici di tipologia duale e antagonistica (secondo il vecchio modello di borghesia contro proletariato o “classe operaia”). Per il momento, non possiamo fare a meno degli Stati o paesi o nazioni; terminologia di un’analisi sempre meno deviante di quella che parla di dominanti e dominati (lasciando poi perdere gli oppressi e oppressori, gli sfruttati e sfruttatori). Quanto poi a coloro che cianciano delle “masse” o “popoli” o Moltitudini, sappiamo che erano i buffoni del ’68, gli avventuristi degli anni ’70, i “Demoni” da quelli ’80 in poi, i venduti a certi ambienti dirigenti Usa ai giorni nostri.

Resta comunque il fatto che non dobbiamo acquietarci in questa transitorietà di fase; dobbiamo mantenere vigile la nostra attenzione teorica sui problemi relativi alla strutturazione dei rapporti in diverse formazioni sociali. Per tale motivo, mando al diavolo quelli che mi accusano di limitarmi alla geopolitica, ben lontana in realtà dalla mia “sensibilità” scientifica. Mando al diavolo quelli che non hanno capito come io analizzi i conflitti interdominanti in quanto teoria transitoria di fase, poiché mi rifiuto di inventarmi categorie false (l’ultima è quella dei “popoli arabi in rivolta”, farfugliata da gente venduta, senza cervello né dignità, da individui che strisciano ai piedi dei capitalisti proni ai voleri d’oltreatlantico). Quando sostengo che “bisogna uscire dal marxismo”, insisto che da quella porta intendo uscire. Non seguo le teorie dei nazionalisti, non mi innamoro di una concezione dello Stato (come soggetto compatto e unitario) propria di uno Schmitt. Certo, meglio lui di un Kelsen; almeno sa che cos’è la politica in quanto lotta per il potere, che cosa sono i rapporti di forza. Tuttavia sorvola sul fatto che lo Stato condensa in apparati una rete di conflitti implicanti una complessa articolazione dei rapporti sociali, quella che il marxismo aveva semplificato nello schema duale delle “classi antagoniste”. Basta con le semplificazioni del marxismo nella sua fase “di nascita” (di una scienza, non di ciance); ma non abbandono la sua visione strutturale dei rapporti tra gruppi sociali.

3. Oggi, però, tale visione strutturale resta come compito di riflessione e iniziale rielaborazione, che deve passare anche per una comprensione storica e teorica del fallimento della sedicente costruzione di una società alternativa (il “socialismo”); dobbiamo tuttavia dedicarci ai compiti della fase, in un momento in cui i gonzi (fomentati dai farabutti) si accapigliano ancora intorno a vecchi schemi, soprattutto in questo disgraziato paese, in cui abbiamo avuto per vent’anni Frankestein (o Jekill) creatore del suo “mostruoso doppio”. Dobbiamo prendere atto che è già iniziato da almeno un anno, forse più, quello che alcuni predicano ancora al futuro. L’unica soluzione immediata è quella di attrezzarsi per una ricerca degli ambiti di possibile difesa nazionale (e dunque dei settori politici ed economici che a tale compito possano dedicarsi). Un minimo di comprensione per i gonzi (ingannati in fondo come noi), addosso invece ai farabutti e ai venduti, ormai assassini o complici di assassini. Il futuro (o meglio il suo inizio) è già alle spalle; aggiorniamoci velocemente.