Il Giappone si riarma di g.rèapci

Durante le settimane scorse, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, i due ministri giapponesi, il capo del gabinetto Nobutaka Machimura ed il ministro della Difesa Shigeru Ishiba hanno dichiarato che non solo esistono gli Ufo ma persino che in un futuro imprecisato non si dovrebbe escludere un attacco da parte di forze aliene. La notizia ha fatto brevemente il giro del mondo, ribattuta da molti giornali e agenzie di stampa. In mezzo all’incredulità generale per le ammissioni dei due ministri giapponesi e all’euforia degli ufologi di mezzo mondo, credo vada riscontrata una ben diversa lettura dei fatti. Il Giappone si sta riarmando.

Il sostanziale processo avviato da Tokyo ha come ultimo obiettivo il superamento dell’articolo 9 della costituzione, il quale vieta di possedere un esercito addestrato e organizzato come tutte le forze armate moderne, proibendo al Paese del Sol Levante di risolvere le controversie internazionali con la guerra. Si tratta della “dottrina Yoshida” che, durante la Guerra Fredda, subappaltava agli Usa la difesa dell’arcipelago. Il Giappone è stato per molti anni una specie di paradiso kantiano nel quale gli errori del passato militarista erano stati recepiti a tal punto, da escludere la guerra dal suo universo culturale. E’ verosimile che le dichiarazioni di Machimura e Ishiba servano a confondere le acque e, nel contempo, a far riaprire il dibattito sul riarmo.

Rai News24, il 18 dicembre scorso, ha dato risalto alla notizia di un test missilistico eseguito nel mar del Giappone con la collaborazione della marina statunitense. Un cacciatorpediniere giapponese ha abbattuto un missile balistico intercontinentale. È del tutto verosimile che il progetto abbia ricevuto una forte spinta in seguito ai test missilistici operati negli scorsi anni dalla Corea del Nord. Il 31 agosto del 1998 un missile a lunga gittata del tipo Taepo Dong 1 superando l’arcipelago giapponese è andato a cadere nelle acque a est di Tokyo. Altrettanto evidente è che, superate le incomprensioni nippo-americane degli anni Ottanta e Novanta, dovute principalmente a ragioni commerciali, il Giappone sia tornato ad essere un alleato centrale nel “sistema americano”, punta avanzata del containment dell’espansionismo cinese nel pacifico. La Cina, dal canto suo, non ha ovviamente colto favorevolmente il progetto nippo-americano per una comune difesa antimissile, temendo che esso possa essere esteso anche a Taiwan.

Tra i progetti di difesa antimissile, oltre ai tradizionali sistemi balistici, sarebbe allo studio un super-laser capace di abbattere i missili intercontinentali in arrivo. Un progetto di riarmo di queste dimensioni non può tuttavia non passare senza una modifica della costituzione pacifista di cui il Giappone si è dotato dalla fine della guerra. Il riarmo giapponese sarebbe stato discusso a Washington ai più alti livelli in un incontro fra il presidente americano George W. Bush e l’ex premier Shinzo Abe. Gli Usa e il Giappone, alleati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, avevano visto peggiorare i loro rapporti dalla metà degli anni ottanta a causa di frizioni commerciali. Fu il periodo della campagna mediatica (supportata anche da alcune pellicole hollywoodiane) denominata “Japan bashing!” (Addosso al Giappone!). Oltre a molti testi “nippofobici”, fu l’epoca di film come “Black Rain” (1989) di Ridley Scott in cui giapponesi cattivi (yakuza) si confrontavano con poliziotti americani buoni (Michael Douglas e Andy Garcia), aiutati da un poliziotto giapponese molto ligio alle regole e alle tradizioni e che, solo alla fine, americanizzandosi nei modi, adottando metodi da poliziotto-cowboy, si decide ad aiutare i due gaijin (stranieri). Anche dall’altra parte del Pacifico i toni non furono meno duri, infatti fu dato alle stampe un pamphlet intitolato “Il Giappone che sa dire di no” (all’America s’intende), ad opera di Ishihara Shintaro, attuale sindaco ultranazionalista di Tokyo, e Morita Akio presidente della Sony. A porre fine a queste schermaglie ci pensò la crisi economica nella quale il Giappone piombò alla fine degli anni ottanta e che caratterizzò i successivi dieci anni, il “decennio perduto” (lost decade). Il sonno decennale raffreddò gli animi ed attualmente l’avanzata del drago cinese impone nuove sinergie fra le due sponde del pacifico.

Il riarmo giapponese tuttavia, se da un lato è ben visto a Washington, dall’altro rischia di destabilizzare tutta l’area e crea preoccupazioni in Corea del Sud dove sono ancora vivi i ricordi dell’imperialismo militarista dell’Impero del Sol Levante. «Se davvero le forze armate giapponesi cambieranno natura e diventerà possibile il loro impiego fuori dal paese…», scrive con preoccupazione il quotidiano sud coreano Hankyoreh, «…questo rappresenterà una minaccia per la pace nella Regione e nel mondo intero». Nel Paese però permane una forte opposizione all’abbandono della costituzione pacifista. Nel periodo di governo del predecessore di Abe, molto scalpore hanno destato le costanti visite del primo ministro Koizumi al santuario Yasukuni «eretto in onore dei militari che hanno dato la vita per il Giappone», inclusi criminali di guerra. Tempio in cui è sepolto anche il prozio di Abe, quell’Yosuke Matsuoka firmatario dell’adesione del Giappone all’Asse. Rimane ancora aperta la vicenda legata all’occupazione americana dell’isola di Okinawa, situata in una posizione strategicamente rilevante tra Cina, Taiwan e Filippine, una base avanzata perfetta tra il mare Cinese e il mare delle Filippine. L’amministrazione dell’isola, è tornata nel 1972, al Giappone, ma gli Usa mantengono lì ben 32 basi, in cui vige il principio dell’extraterritorialità. Il riarmo del Giappone ormai avviato, almeno nelle intenzioni, dovrà quindi passare attraverso una modifica della costituzione e le resistenze dei pacifisti: non sarà un processo facile e andrà verificato. E non è detto che il Giappone riarmato resterà comunque sotto l’ala decisionale di Washington: non è da escludere che in un prossimo futuro possa decidere di giocare la partita per sé, magari ancora in partnership con gli Stati Uniti, ma con maggiore autonomia decisionale.