IL MULTILATERALISMO A LA CARTE di G.P.

 

 

La forte reazione russa, dopo l’attacco militare lanciato da Washington, via Georgia, sui suoi confini prossimi, ha fatto parlare molti osservatori di un nuovo clima da guerra fredda. L’unica certezza ricavabile da questa fase di grande instabilità, è che i rapporti diplomatici tra la potenza emergente caucasica e il resto dei paesi occidentali più sviluppati, Stati Uniti in testa, dovranno essere rimodulati per prevenire prove di forza sempre più accentuate che allo stato dell’arte non molto auspicabili da parte statunitense, in virtù dei molteplici scenari di guerra dove i suoi eserciti si trovano immobilizzati.

Storicamente parlando il paragone con la guerra fredda è però improprio, anche se vi sono degli inevitabili punti di contatto tra l’epoca passata e quella presente. L’elemento che manca è certamente quello del conflitto ideologico puro e irriducibile, avendo la Russia abbandonato l’implementazione di un modo di produzione di tipo socialistico (per quanto eteroclito),  ed essendo entrata a far parte dei cosiddetti paesi capitalistici moderni.

Inoltre, i rapporti di forza tra le due potenze, un tempo molto più equilibrati, si sono fortemente sbilanciati a vantaggio degli Usa (soprattutto dal lato militare), con questi ultimi che subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica, pensarono bene di smantellare il suo apparato bellico, proprio per evitare di ritrovarsi un concorrente agguerrito sullo scacchiere mondiale.

Ma la Russia di questo periodo, liberatasi di una classe politica corrotta e incompetente, è riuscita a riprendere il suo cammino e a “macinare” nuovamente la Storia, rialzandosi dopo una stagione di generale smobilitazione, sfruttando le sue copiose risorse energetiche per darsi un rinnovato slancio geopolitico.

La Russia odierna, pur non mettendo in discussione i cardini fondamentali del sistema di libero-scambio, le cui forme principali sono l’impresa e il mercato, non è però riconducibile nell’alveo di quella che abbiamo più volte definito come la società dei funzionari privati del capitale, di tipo occidentale (quella che ricomprende, per intenderci, i paesi a guida americana).

Per esempio, sul versante dei rapporti tra società civile e Stato, nella sua strutturazione politica, in quella culturale e ideologica (ed in parte anche in quella economica, laddove gli organismi politici direzionano fortemente gli investimenti e gli accordi tra imprese), il sistema russo concede molto meno al formalismo procedurale occidentale (la veste democratica delle decisioni e dei processi), ma non esita a rendersi compatibile con questo per non subire un isolamento internazionale ed un attacco ideologico diretto.

La guerra al terrorismo islamico ha dato la possibilità alla Russia di sdoganarsi agli occhi della pubblica opinione, di togliersi dal novero dei paesi che potevano essere tacciati di destabilizzare il mondo, permettendole, al contempo, di ricavarsi un ruolo meno marginale, grazie alla sua vicinanza alle zone in perenne ribollimento del mondo islamico dove alligna il nemico ideologico degli Usa.

Ma il recupero in potenza della Russia sta ora divenendo un serio problema per gli Stati Uniti che si trovano a fronteggiare, non quel paese ammansito e debilitato dei primi anni ’90, ma una nazione che intende ripristinare le sue sfere d’influenza, approfittando di una congiuntura storica più che favorevole.

Di fatti, gli Stati Uniti sono oggi implicati in diversi scenari di guerra che stentano a governare e che, negli ultimi mesi, sono diventati una vera e propria palude dalla quale risulta difficile emergere.

Proprio queste complicazioni hanno accentuato la dipendenza degli Usa dal suo scomodo interlocutore caucasico (la sua posizione strategica, come nel caso dei corridoi per l’Afghanistan, è di vitale importanza per i rifornimenti alle truppe statunitensi), cosa che alla fine potrebbe compromettere gli immensi gli sforzi militari profusi dal governo americano, il quale si vedrebbe costretto ad addivenire ad un accordo di cogestione dell’area, dopo essersi impegnato quasi esclusivamente in proprio (se si esclude il supino appoggio europeo).

Per questo gli americani sono preoccupati e puntano a neutralizzare la Russia con la deterrenza dello scudo antimissile e con lo scatenamento degli sgherri preventivamente ammaestrati nelle sue università (come il presidente georgiano Shaksvili).

L’establishment USA apprende però da questa esperienza finita male che certe questioni non possono essere interamente delegate e che si rischia di sprecare tutto il lavoro di infiltrazione culturale (il quale ha dato i suoi frutti con le varie rivoluzioni colorate) con il quale si era stimolata la simpatia delle popolazioni dell’est, tradizionalmente ostili a Mosca. Insomma, non sempre l’opzione militare diretta risulta quella migliore per ottenere certi risultati.

Inoltre, aver fatto saltare la protezione del “clipeo” ideologico in maniera così avventurista, ha reso molto più visibili le direttrici egemoniste della strategia americana, ed ha portato i russi alla convinzione (già maturata prima di questo spiacevole episodio con la Georgia) che le manovre in Polonia e Repubblica Ceca erano dirette contro di essa.

Si può immaginare che ora gli statunitensi torneranno a parodiare delle forme cangianti di multilateralismo nel quale ingabbiare la Russia, secondo le esigenze e le contingenze, coinvolgendo, su questo piano, anche la debole Europa che si troverà tra due fuochi.

Ma dietro questo finto multilateralismo (che la Russia dovrà in qualche modo imparare a neutralizzare, per non farsi risucchiare dalla subdola strategia statunitense), continuerà ad agire la volontà americana di sfruttare qualsiasi passo falso per ricondurre i rapporti di forza a suo esclusivo vantaggio.

Questo compito sarà probabilmente svolto a dovere allorquando alla Casa Bianca arriverà un presidente democratico, il quale incarnerà meglio le istanze di riordino delle idee e delle pedine sullo scacchiere geopolitico (ne vedremo delle belle soprattutto in SudAmerica). Forse non si parlerà più di Nuovo Ordine Mondiale, ma ciò non implicherà affatto un cambio di rotta rispetto all’esigenza primaria dell’establishment americano di mantenere la propria egemonia sul pianeta. La strategia unipolare americana seguirà percorsi più arzigogolati (la modificazione del linguaggio e delle parole d’ordine sarà il primo sintomo di questo cambiamento), ma sotto la parvenza di un più ampio coinvolgimento dei partner internazionali (il multilateralismo a la carte) la prospettiva di lungo termine resterà sicuramente la stessa.