IL PAESE DEI BALOCCHI di G.P.

 

Nella vicenda Alitalia si riassumono tutti i difetti di un “povero paese” che da più di un quindicennio, diciamo dallo scoppio di tangentopoli in poi, sta andando letteralmente alla deriva. Appurato che in un sistema di tipo capitalistico le imprese devono essere produttive, cioè agire, in primo luogo, secondo le regole della razionalità strumentale (ovvero, devono essere in grado di combinare in maniera ottimale i fattori produttivi, capitale e lavoro, per ottenere profitti sempre più elevati) – a prescindere dalla forma giuridica della proprietà, sia essa pubblica o privata – per alcune di queste, soprattutto per quelle che si trovano ad operare in settori determinanti per l’intero sistema-paese, diviene cruciale essere in grado di legare le proprie scelte industriali ad un altro tipo di razionalità.  Questa razionalità è quella strategica, intesa come insieme di opzioni orientate all’efficacia, ricadenti in un ambito non puramente economico che richiedono sinergie tra decisori (politici, economici, culturali) di una stessa formazione capitalistica. Attraverso queste ampie convergenze strategiche, volte ad organizzare la difesa delle proprie imprese di punta dall’aggressività dei competitors stranieri (i quali sono portatori degli interessi e delle istanze di altrettante formazioni nazionali particolari), si deve fortificare il Sistema-Paese, finalizzando al meglio le sue specificità e facendole valere contro i “concorrenti”. In questi frangenti, le confluenze tra tali attori devono orientarsi al bene (cioè al rafforzamento) di dette imprese, operando affinché le stesse non vengano a trovarsi in posizione di svantaggio, sia sul mercato interno che su quello esterno. Se si perde il controllo di settori particolarmente importanti sotto il profilo industriale e tecnologico, è lo stesso Sistema-Paese che si depotenzia, essendo quindi costretto a rimodulare al ribasso le sue strategie per mancanza di mezzi economici.

Per Alitalia cos’è, allora, accaduto? E’ accaduto che, essendo questa in mano a decisori politici del tutto incompetenti (ricordiamo che il socio di maggioranza della compagnia di bandiera è proprio il Tesoro) e servili, nonché a manager direttamente espressione delle aree partitiche che appestano l’Italia da ormai troppo tempo, si è fatto esattamente tutto l’opposto di quanto appena detto. E’ risaputo che gli attacchi contro l’Alitalia, nel suo momento di maggiore difficoltà, sono stati portati proprio dall’interno dell’UE. A livello europeo si sono creati degli interessi trasversali con i quali si è cercato di sostenere alcuni vettori piuttosto che altri, in rispondenza a rapporti di forza tra paesi membri che hanno visto l’Italia svolgere un ruolo del tutto ancillare.

I nostri politici si sono piegati all’oligarchia europea che agitava lo spettro delle sanzioni ogni qual volta veniva presentato un piano industriale di risanamento (mentre venivano accettati, senza colpo ferire, quelli delle compagnie di altri paesi ugualmente finanziati con soldi statali), subito bollato, da detta oligarchia, quale aiuto di stato e quindi inammissibile nell’ottica del libero mercato comunitario.

In secondo luogo, la summenzionata classe politica nazionale ha agito deprimendo la compagnia, utilizzandola come valvola di sfogo per i propri interessi di casta, ad esclusivo appannaggio della sua riproducibilità sistemica, come accaduto per tanti altri settori, oggi ugualmente in piena decadenza.

Così ci troviamo nella situazione che i cosiddetti salvatori di Alitalia sono gli stessi che si sono coperti di discredito in questi anni, chi più chi meno.

I giocatori di questa partita sono nell’ordine: il Governo, la Cai, i sindacati. Quanto al primo, la sua azione appare troppo debole e sbilanciata verso la cordata di pseudo-capitani coraggiosi che fino a ieri esprimeva le sue preferenze per l’altra parte dell’arco politico. Sotto questo punto di vista si capiscono i malumori della sinistra che sta facendo di tutto per far saltare l’accordo con il quale certi poteri economici, fino a ieri culo e camicia con i drappelli dirigenziali del PD, starebbero concedendo una inammissibile apertura di credito a Berlusconi.

La seconda, la Cai, è nata da un connubio di potenti banche e industriali indebitati che tentano di concludere l’ennesimo affare della loro vita, al fine di mettere una pezza alle loro disastrose avventure economiche o per fare incetta di un’altra fetta di Italia senza correre alcun rischio imprenditoriale.

Tuttavia, bisogna dire che il peso dell’operazione in corso è soprattutto politico, perché per la prima volta dalla fine della Prima Repubblica, Berlusconi diviene un interlocutore per i poteri forti appena richiamati, i quali fanno cadere quella conventio ad excludendum che vige dal 1994. Dal punto di vista delle finanze di Alitalia siamo, invece, di fronte ad una svendita in piena regola che allungherà i tentacoli della solita finanza dominante su un paese già sotto il suo giogo.

Infine veniamo ai sindacati. Questi giocano la solita parte disfattista, sebbene siano emerse delle contraddizioni all’interno della triade. La CGIL guida,  ça va sans dire, il partito degli scontenti perché i suoi interessi aderiscono interamente con quelli dell’area politica di sinistra, oggi in piena crisi d’identità e di leadership.

Dopo avere, almeno a partire dagli anni ‘80, fatto concessioni su tutta la linea, deprimendo e smembrando le garanzie faticosamente conquistate dai lavoratori in anni di dure lotte, la CGIL fa adesso la voce grossa per ragioni che sono solo strumentali. I lavoratori sono nelle mani di questi gaglioffi che agiscono come una colonna portante della peggiore sinistra parassitaria e sfascista, principale causa del disastro nel quale siamo invischiati.

Insomma, comunque andrà a finire, con questa destra e questa sinistra a gestire i nostri problemi, per l’Italia non ne verrà nulla di buono.