IL PAPA CHE NON PORTA LA CROCE di M. Tozzato

Nel discorso tenuto alla Camera dei deputati, in occasione della sua elezione a presidente della stessa nella giornata del 30.04.2008, Gianfranco Fini ha colto l’occasione per ricordare il ruolo di Benedetto XVI con notevole enfasi in quanto <<guida spirituale della larghissima maggioranza del popolo italiano ed indiscussa autorità morale per il mondo intero, come dimostrato anche dal suo recente mirabile discorso alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite>>. Più avanti, nel suo discorso, Fini riprende , in maniera forte, uno dei motivi ricorrenti dei discorsi del Papa a cui fanno riferimento anche quelle correnti politiche cattoliche integraliste che sono state denominate teocon e teodem. Il nuovo presidente della Camera afferma preliminarmente che le minacce per la libertà, in Italia e nel mondo, non provengono più dalle “ideologie antidemocratiche” del Novecento ma piuttosto da un fenomeno nuovo iniziato nella seconda metà del secolo scorso: <<L’insidia maggiore viene dal diffuso e crescente relativismo culturale e morale; dalla errata convinzione che libertà significhi pienezza di diritti e assenza di doveri e finanche di regole. La libertà è minacciata nello stesso momento in cui, come sta avvenendo per alcune questioni, nel suo nome si teorizza la presunta impossibilità di definire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Essere consapevole di questo pericolo e sventarlo è dovere primario della politica, se davvero vuole onorare il suo primato>>.

Queste frasi, se considerate come una dichiarazione d’intenti, hanno veramente un peso considerevole e i filosofi e gli scienziati che ancora cercano di mantenere la loro libertà di pensare, di ricerca, di sviluppo e di innovazione dovrebbero considerarle come un campanello d’allarme da non sottovalutare. E se andiamo a vedere cosa è contenuto nel discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite citato da Fini (tenuto a New York il 18.04.2008), potremo vedere come la Chiesa cattolica imposti in maniera più complessiva questi medesimi discorsi. In riferimento alle applicazioni dei risultati delle scoperte scientifiche e tecnologiche Benedetto XVI afferma: <<Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tali applicazioni rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici>>.

Quindi non viene messo in discussione soltanto il modo in cui il sapere scientifico viene applicato ma è lo stesso metodo delle ricerca scientifica, sia pura che applicata, che dovrebbe essere portato davanti al “tribunale” etico-religioso. E certamente, rimanendo sul piano del confronto tra religioni, gli imperativi etici di cui si parla non fanno certo riferimento all’islam, al buddhismo, al taoismo o al confucianesimo: la verità morale in quanto tale non può che appartenere in esclusiva alla tradizione ebraico-cristiana dell’Europa e dell’Occidente.

 

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In un altro discorso – tenuto in Vaticano il 01.12.2007 – il Papa, pur senza fare riferimento esplicitamente alle Nazioni Unite aveva criticato il tipo di approccio, sempre per l’aspetto etico-religioso, che le organizzazioni internazionali sono solite adoperare: <<Tuttavia, spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale. Viene così di fatto ad imporsi una concezione del diritto e della politica, in cui il consenso tra gli Stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola ed ultima fonte delle norme internazionali. I frutti amari di tale logica relativistica nella vita internazionale sono purtroppo evidenti: si pensi, ad esempio, al tentativo di considerare come diritti dell’uomo le conseguenze di certi stili egoistici, oppure al disinteresse per le necessità economiche e sociali dei popoli più deboli, o al disprezzo del diritto umanitario e ad una difesa selettiva dei diritti umani>>.

 Il riconoscimento che, nei paesi a capitalismo sviluppato, predomina la riduzione del significato del mondo a puro scambio e intreccio di utilità e potere e la rinuncia ad agire in base a dei progetti di vita che implichino prese di posizione razionali (con le necessarie implicazioni emotive ed affettive) – in riferimento, quindi, a valori e ad ideali che trascendano l’orizzonte dell’individuo atomizzato e nichilista – ci avvicina apparentemente ad alcuni aspetti della critica umanistico-religiosa ma in realtà la nostra prospettiva è del tutto differente. La nostra interpretazione del racconto biblico della “caduta” e del “peccato originale” è a questo proposito del tutto sintomatica. Nell’Eden, l’uomo e la donna, cibandosi dell’albero della vita sono  “immortali”, ovverosia non sono coscienti della morte; non conoscono il pudore – non sono ancora perciò in grado di auto-osservarsi – e quindi non possiedono nemmeno l’autocoscienza: in definitiva non sono ancora esseri umani. Nel momento in cui disobbediscono, mangiando il “frutto proibito” essi – oltre a fare quel salto che li rende coscienti di se stessi e coscienti di dover morire – decidono anche, e soprattutto, di stabilire autonomamente i criteri che distinguono il bene dal male.

Ogni individuo acquista la libertà morale di determinare da se stesso ciò che è giusto e sbagliato e se in molti casi quasi tutti possono condividere una determinata massima questo non fa venir meno il diritto al libero  discernimento individuale e la “libertà per il peccato”, cioè la facoltà di scegliere un’ azione che per convinzione o per fragilità ci porta a fare il male anche sapendo che è male. Allora questi “difensori della libertà” che vogliono che venga determinato una volta per sempre e per l’eternità ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non sono altro che i suoi maggiori affossatori e i fautori di una “guerra totale” che vorrebbe eliminare i conflitti attraverso il dispotismo della verità assoluta e del diritto assoluto. Se il capitalismo è il luogo del conflitto strategico tra gruppi dominanti il suo superamento in questi termini diventerebbe il ritorno alla schiavitù del “non pensare” e dell’obbedienza e al dominio di una casta di sacerdoti della giustizia e della  verità.

 

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Nel discorso dell’aprile scorso i toni usati da Benedetto XVI appaiono, in realtà, sia riguardo alle accuse di relativismo che per quanto concerne la critica dell’unilateralismo abbastanza “smussate” rispetto ad altri interventi precedenti. La stampa ha fatto notare come il papa e il presidente Bush si siano “incensati” e lodati a vicenda e sicuramente Benedetto XVI era consapevole che parlare all’ONU significava parlare nella città di New York e quindi parlare anche all’ America (USA).

A questo proposito penso però possa essere utile riportare una citazione di una lettera dell’allora Card. Ratzinger a M. Pera, pubblicata nel novembre 2004. In riferimento al libro di Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, Ratzinger scrive: <<questa democrazia […] funzionava soltanto perché nella società americana era vivo tutto un insieme di convinzioni religiose e morali di ispirazione cristiano-protestante, che nessuno aveva prescritto o definito, ma che veniva semplicemente presupposto da tutti come ovvia base spirituale>>. E più avanti: << Lei stesso […] ha citato un’espressione di John Adams che va nella stessa direzione: la Costituzione americana “è fatta soltanto per un popolo morale e religioso”. Benché anche in America la secolarizzazione proceda a ritmo accelerato e la confluenza di molte differenti culture sconvolga il consenso cristiano di fondo, lì si percepisce, assai più chiaramente che in Europa, l’implicito riconoscimento delle basi religiose e morali scaturite dal cristianesimo e che oltrepassano le singole confessioni. L’Europa – contrariamente all’America – è in rotta di collisione con la propria storia e si fa spesso portavoce di una negazione quasi viscerale di qualsiasi dimensione pubblica dei valori cristiani>>. Questa dimensione pubblica della religione e dei valori cristiani caratterizza quindi – anche per il papa attuale – gli Stati Uniti, che si presentano, così, come uno Stato-Nazione “speciale”, a differenza dell’Europa, definibile invece come una entità politica scettica, decadente e ultra secolarizzata.

Nel discorso del 18 aprile Benedetto XVI mi pare, inoltre, che colga l’occasione – dopo aver accennato blandamente ad un auspicabile ritorno al multilateralismo – per giustificare la logica dell’interventismo umanitario praticato dagli USA dall’inizio degli anni novanta del secolo scorso: <<Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale>>. Un “danno reale” che appare tremendamente evidente nel caso della condizione dei palestinesi che vivono nella striscia di Gaza.

 Nel caso di questo popolo – assediato, circondato e affamato dai sionisti – ovviamente la “comunità internazionale” non ha nessun motivo di intervenire perché gli USA non vogliono che nessuno interferisca per frenare la feroce oppressione israeliana; quando la superpotenza statunitense – che pure in questo momento sembra non poter prescindere del tutto dalle prese di posizione degli altri Stati più forti – decide che sia il caso di muoversi, invece, “l’universo mediatico globale” inizia a scatenare le sue campagne di “hitlerizzazione” degli avversari che preluderanno successivamente all’intervento armato. Con voluta ironia vorrei concludere affermando che se qualcuno mi dice che il papa non riesce a capire che le cose stanno proprio così mi permetterò  di non dargli retta.

Concludo con un ultima breve citazione tratta sempre dal discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite: <<Il principio della “responsabilità di proteggere” era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria […] aveva descritto tale responsabilità […] come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti tra i popoli>>.

 

Mauro Tozzato                  03.05.2008