IL POTERE DEI MANAGER di M. Tozzato

 

Nei summit che si sono succeduti nell’ultimo periodo e negli interventi del “profeta” Obama si è giustamente messo l’accento sulle retribuzioni dei cosiddetti CEO (Chief Executives Officers) ovvero i vertici direttivi delle imprese che costituiscono il  top management. In realtà, si è anche  detto, questi alti dirigenti vengono retribuiti in maniera sproporzionata rispetto alle mansioni che svolgono e ai risultati che ottengono; al che qualcuno potrebbe obiettare e porsi delle domande su quale sia il motivo per cui i “proprietari” – o comunque i detentori dei pacchetti azionari di maggioranza – delle grandi corporations industriali e finanziarie non siano stati in grado di intervenire e abbiano aspettato che lo facessero i governi. Secondo alcuni sociologi ed economisti avremmo assistito, a partire dagli anni Trenta e sino alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, al predominio dei manager nel governo delle grandi corporations: si sarebbe assistito ad una sostanziale separazione della gestione dalla proprietà e i “dirigenti esecutivi” avrebbero sostanzialmente detenuto il potere di disposizione rispetto alle “risorse”  su cui l’impresa e quindi gli azionisti potevano contare. Negli ultimi trent’anni la proprietà si sarebbe presa, in buona parte, la rivincita ed avrebbe riconquistato la supremazia. In alcuni casi si sarebbe trattato, addirittura, di un ritorno al “capitalismo familiare” (o quasi); in sostanza avremmo assistito almeno – anche grazie agli sviluppi della cosiddetta governance “duale” – ad un ritorno del controllo dei detentori della maggioranza azionaria su coloro che gestiscono effettivamente l’impresa. Ma a questo punto, anche se magari qualcuno mi dirà che sono io che non capisco niente, mi sapete dire come mai questi benedetti top manager hanno continuato a “mangiare a ufo”, a prelevare una quota rilevante del profitto e, come nel caso del colosso AIG, anche nel pieno della crisi attuale siano riusciti a “divorarsi” il denaro stanziato dal governo (USA) per il “piano di salvataggio” ? Leggendo un paio di articoli stimolanti e riconsiderandoli rispetto alle analisi di La Grassa l’unica – e per il momento ancora non ben definita – risposta che sono riuscito a darmi concerne il ruolo dei cosiddetti investitori istituzionali e di chi li dirige. Nel caso di banche, fondi pensione, assicurazioni, hedge funds e probabilmente anche riguardo ai “fondi sovrani”- senza contare le operazioni dei cosiddetti private equity si può effettivamente dire che i top manager o per meglio dire le direzioni di tipo strategico sono in grado di proporsi come gli unici attori (funzionari del capitale) capaci di gestire al meglio i profitti e i dividendi che determinate operazioni finanziarie – collegate di solito a ristrutturazioni produttive e ad ardite iniziative di marketing – parevano essere in grado di garantire prima dell’”esplosione” della crisi avvenuta nei primi mesi del 2008. Per quanto mi riguarda si tratta di una tematica, comunque, da approfondire anche perché oltre che dalla totale incapacità degli economisti “tecnici” di prevedere alcunché ( e di trovare il bandolo della matassa riguardo alle cause della crisi) dobbiamo difenderci e replicare ai capi di stato, e ai loro accoliti, che ci propinano ricette basate su parole d’ordine populistiche e su semplificazioni – così sui manager come sui cosiddetti “paradisi fiscali” –  che sembrano fatte apposta per abbindolare le (cosiddette)  masse.

Mauro  Tozzato                       06.04.2009