IL RITORNO DELL'ATOMO ROSSO, INNESCO DI UNA “GUERRA TIEPIDA”?

 

di J. Geronimo, Trad. dal francese di G.P. (fonte:geostrategie.com)

 

 

La doppia scossa geopolitica consecutiva alla scomparsa dell’URSS ed alla crisi del 11 settembre ha rafforzato l’inflessione unilateralista della governance mondiale, sotto l’impulso degli Stati Uniti. Diventati, per forza di cose – e delle armi – “una nazione indispensabile„ secondo il segretario di Stato americano, Madeleine Albright, gli Stati Uniti, in un certo qual modo, si sono sostituiti alla leadership morale dell’Unione sovietica. Così facendo, hanno contribuito a distruggere il sogno post-guerra fredda di un mondo multipolare. Ormai, la superpotenza americana, persuasa di essere il solo Stato capace di imporre la pace democratica su scala planetaria, cerca di legalizzare una struttura di sovranità ideologica fondata da un lato sull’espansione della democrazia liberale e dall’altro sulla militarizzazione delle relazioni internazionali.

Con la strumentalizzazione delle istituzioni internazionali, è riuscita ad imporre “il fattore forza„, secondo i termini del presidente russo V.Putin, come regolatore degli equilibri geopolitici. Partigiana di un riequilibrio internazionale per evitare la sua marginalizzazione, la Russia è desiderosa di mostrare la sua forza, come contro-potere all’unilateralità americana e, in definitiva, come simbolo del suo ritorno sulla scena mondiale. L’esigenza di una nuova dottrina strategica, formulata fin dal giugno 2005 da V. Putin e centrata sulla dissuasione nucleare, si iscrive in questa logica.

 

La CSI come sfida

In nome “della chiarezza morale„, secondo l’espressione di G.W.Bush nel suo discorso di West Point del 2 giugno 2002, gli Stati Uniti cercano di instaurare una sovranità “legittima„ in Eurasia allo scopo, secondo loro, di stabilizzare il nuovo ordine mondiale ed impedire un ritorno della potenza russa sulla scena internazionale. L’ingerenza americana in una zona post-sovietica mirerebbe dunque ad erodere l’influenza di Mosca, ridiventata un nemico virtuale. In questo schema, occorrerebbe interrogarsi sull’obiettivo latente della strategia americana, attiva in particolare nella Comunità degli Stati Indipendenti (CSI). Quest’area politicamente indebolita dello spazio eurasiatico e simbolo della vecchia sovranità sovietica è segnata, dopo l’implosione dell’URSS, il 25 dicembre 1991, da un arretramento pronunciato della potenza russa. Questo declino russo può essere considerato come un’opportunità per l’America? E, inoltre, si può parlare di strategia deliberata di compressione della potenza russa, che si iscrive nella dottrina antisovietica di Kennan del 1947? In questo caso, sarebbe opportuno circoscrivere la risposta strategica russa a questo comportamento, nel cuore di ciò che Mosca considera come il suo spazio storico, zona protettiva e di sovranità politica. La centralità conflittuale emergente nella zona eurasiatica post-sovietica, tra le potenze americane e russe, è una lotta d’influenza stimolata da una logica imperiale. Di base, questa logica si spiega con la necessità dei due stati di estendere la loro sovranità in vista di proteggersi da eventuali minacce e difendere i loro interessi nazionali. Inizialmente, la loro espansione ideologica risponde dunque ad una logica difensiva, che mira a neutralizzare l’incertezza geopolitica. Successivamente, le sfide energetiche hanno giustificato una inflessione offensiva di questa logica.

 

Ingerenza americana nella zona post-sovietica

 

Secondo la dottrina neo-conservatrice americana, una proiezione radicale degli Stati Uniti nello spazio post-sovietico significherebbe allo stesso tempo una sconfitta che umilierebbe la Russia sulla scacchiera eurasiatica ed un’opportunità di estendere la sovranità americana in una zona strategica. In altri termini, tale proiezione, oltre ad un cambiamento di leadership nella regione, ratificherebbe definitivamente la vittoria americana nel quadro della guerra fredda. In questa ottica, la destabilizzazione dell’Asia centrale può contribuire a delegittimare l’autorità russa, sospettata d’ingerenza negativa: per Washington, la crisi identitaria delle vecchie repubbliche sovietiche, legata in parte al funzionamento difettoso delle loro strutture politiche ed economiche, rappresenta un’opportunità innegabile. Gli Stati Uniti non esitano, così, a sostenere alcuni regimi ostili all’autorità russa, ad alimentare l’effervescenza nazionalistica e a finanziare programmi di ricerca, d’istruzione o d’armamento. Per di più non sono ostili all’idea di corteggiare alcuni stati interessati attraverso la protezione della NATO per farli emancipare dall’influenza russa. Ma gli Stati Uniti hanno anche per ambizione di “sicurizzare” nella regione i loro approvvigionamenti energetici sostenendo, sul piano politico e finanziario, la disposizione di tubi che aggirano il territorio russo. Così, in modo insidioso, gli Stati Uniti non mirano ad instaurare una forma di dipendenza politica, che rafforza, in fine, le basi del loro potere in una zona a lungo interdetta?

 

Strategia radicalizzata del contenimento

 

La strategia americana è influenzata, dalla fine della guerra fredda, dalla dottrina Brzezinski, versione radicalizzata della dottrina Kennan del Contenimento della potenza sovietica. Secondo Z.Brzezinski, il cuore strategico del nuovo mondo sarà il continente eurasiatico, a causa del suo aumento triplo in potenza economica, politica e militare. Oggi, l’Eurasia concentra le principali potenze (ri)emergenti come la Cina, la Russia, l’India, o l’Europa, ed appare come lo spazio privilegiato della nuova lotta bipolare americano-russa. Per gli Stati Uniti, si tratta di bloccare “il ritorno„ russo e rallentare una ricostruzione politica ed economica – dunque identitaria – che rischierebbe di minacciare i loro interessi nazionali. Di conseguenza, la Russia federale, percepita come diretta discendente dell’URSS, rappresenta per la leadership americana una minaccia differita. La compressione della potenza russa si impone dunque come una necessità vitale mentre, dalla guerra fredda, le personalità influenti nell’orientamento della dottrina strategica americana (G.F.Kennan, H.Kissinger, Z.Brzezinski) hanno sempre insistito sulla permanenza dell’ostilità russa come una specie di destino storico, indipendente dal suo regime politico (zarista, sovietico, federale). Nell’ottica neo-conservatrice americana, “il ritorno„ russo è dunque percepito come un fattore d’incertezza e, in fine, come un catalizzatore di squilibri geopolitici.

 

Inversione strategica russa

 

Dal punto di vista della Russia, l’evoluzione post-comunista è segnata da un lato dall’ostilità crescente degli Stati Uniti nel suo spazio di Sicurezza e dall’altro dall’orientamento sfavorevole del governo mondiale. Percepiti come una volontà d’ingerenza politica, gli interventi illegali dell’occidente in Jugoslavia ed nella zona post-sovietica hanno dato una giustificazione all’inversione strategica russa. Ultima provocazione, integrando i vecchi satelliti dell’URSS, la NATO non esita oggi a condurre con loro, nel quadro del partenariato per la pace, misteriose manovre militari vicino alle frontiere russe. Ciò ha indotto Mosca a reagire. La potenza russa, in fase di ristrutturazione identitaria, è ormai sul ritorno alla via, come leva prioritaria, dell’atomo.

Questa ricostruzione passa inizialmente per l’economia. Dal 1999, il rilancio della crescita economica è il catalizzatore della sua rinascita internazionale, che permette di accrescere il surplus mobilizzabile per gli investimenti strategici e, in particolare, per l’estensione delle capacità militari. Ormai, è uno Stato forte (S), non che esita a sostenersi sulle variabili nucleare (A) ed energetica (E), che cerca di trovare il suo potere, giocando sulla proiezione di forza. La rinascita identitaria russa è dunque fondata sui criteri tipici di potenza sovietici: Stato, Atomo, Energia (SAE). Ma questa ricostruzione identitaria della Russia passa anche per la riconquista dell’influenza persa sullo straniero prossimo e, in particolare, negli spazi caucasico e centro-asiatico, in cui il suo confronto con gli Stati Uniti è mediato dalla tripla sfida energetica, nazionalistica e strategica. In questo contesto, “la guerra delle condutture„ – associata all’instabilità etnico-religiosa e ad una pressione occidentale crescente tende a ravvivare le tensioni inasprite da una lotta per la leadership politica. In ciò, la zona post-sovietica diventa il luogo del confronto tra strategie ideologicamente orientate e desiderose di torcere a loro favore la direzione della storia.

 

Ri-centramento sull’atomo militare

 

Si può vedere nell’uso attuale che fa la Russia dell’atomo, destinato ad equilibrare il braccio di ferro con la potenza americana, una continuità della politica sviluppata durante il periodo sovietico? Di conseguenza, si può evocare il ricorso all’atomo rosso come mezzo per cambiare un rapporto di forza giudicato asimmetrico. Infatti, la Russia adotta un approccio alle relazioni internazionali fondato sulla logica dell’equilibrio delle forze e della dissuasione nucleare e, soprattutto, integrante l’atomo come variabile che struttura il suo potere internazionale. Si tratta di una visione tipicamente sovietica dell’atomo militare quale vettore della politica estera, che giustifica l’espressione “atomo rosso„. Ciò è attestato, in modo ufficiale, dal concetto di sicurezza nazionale della Federazione Russa (1), vera base della sua dottrina strategica dal 2000 e che segna un’inversione radicale: “L’obiettivo essenziale della Federazione Russa è la realizzazione della dissuasione in attesa di prevenire un’aggressione di qualsiasi portata, anche con l’uso dell’arma nucleare, contro la Russia ed i suoi alleati„. Nel suo concetto strategico, la Russia, con “una reazione adeguata alle minacce„ (nucleari o no), gioca sulla strumentalizzazione preventiva dell’atomo. Ammette la necessità di mantenere delle capacità nucleari in grado “di causare in modo certo il danno voluto„ a qualsiasi tentativo d’aggressione, “indipendentemente dalle circostanze„. Infine, riconosce che il complesso industrial-militare “svolge un ruolo importante nella salvaguardia degli interessi nazionali della Russia„ che si estendono, in modo implicito, alla CSI (sotto il termine “alleati„). Il progetto di dottrina militare, presentato il 20 gennaio 2007 a Mosca dal generale Gareev, presidente dell’accademia delle scienze militari, rafforza queste tendenze. Supponendo che essa mantenga un legame storico con il vecchio statuto dell’URSS, l’atomo può apparire come un regolatore identitario della potenza russa. Nello stesso tempo, si presenta come una risposta all’incertezza geopolitica, adeguata alle nuove condizioni economiche (rilancio della crescita) e strategiche (obsolescenza dell’armamento convenzionale). Ormai, la Russia cerca di sviluppare la flessibilità dell’atomo nella gestione preventiva dei conflitti per rafforzare le sue capacità strategiche sul doppio piano regionale ed internazionale, secondo i termini del presidente El’cin: questa inflessione si esprime fin dal 1996 sotto l’impulso di un capo dello Stato che afferma che la politica di dissuasione russa esige “il mantenimento del potenziale nucleare„ “a livello sufficiente„, per difendere i suoi “interessi vitali„ (2). Sotto la direzione di Vladimir Putin, cerca dal 2000 di rafforzare e razionalizzare il suo sistema militare (dunque nucleare) e, a tale scopo, ha considerevolmente aumentato il suo bilancio di difesa. L’ammodernamento dell’arsenale russo si è accelerato nel 2002 ed in modo prioritario è oggi orientato verso lo sviluppo delle forze nucleari e di reazione rapida. Secondo le cifre ufficiali (per natura sottostimate), questo sforzo si è tradotto tra il 2005 ed il 2007 in un aumento del 50% del bilancio di difesa, valutato al 5% del PIL russo (contro il 2% dei paesi europei della NATO). Alcuni esperti occidentali valutano questo bilancio al doppio (10% del PIL).

Nello spazio simbolico delle norme sovietiche (SAE) di potenza, l’atomo condiziona dunque la capacità della Russia di raccogliere la grande sfida geopolitica del XXI secolo. Nel 2007, l‘elite militare russa ha imposto un indurimento della strategia russa contro le nuove minacce, integranti l’interventismo americano e l’ostilità crescente della NATO di cui l’estensione, ingiustificata, è stata vista come un riflesso della guerra fredda. Ormai, la revisione di questa dottrina strategica, che rafforza il ruolo politico dell’atomo, è inevitabile. La Russia può dunque legittimamente opporsi all’estensione est-europea dello scudo anti-missile americano, che neutralizza la funzione politica e dissuasiva dell’atomo e, in questo modo, minaccia le basi del suo potere.

 

L’avvertimento di Monaco

 

Il discorso di Monaco pronunciato da V.Putin e denunciante, il 10 febbraio 2007, la nascita “di nuovi muri„ nelle relazioni internazionali, esprime questa inflessione strategica. In questa occasione, il Presidente si è apertamente rammaricato “delle granate non esplose„ della guerra fredda e “degli stereotipi ideologici (…) ereditati della mentalità dei blocchi„. La Russia si sente minacciata da un lato, dall’espansione ingiustificata della NATO qualificata come “seria provocazione„ e dall’altro, dalla condotta senza concertazione del progetto anti-missile ABM.

Il 21 settembre 2007, S.Lavrov, capo della diplomazia russa, confermava che il dispiegamento dello scudo americano era “una minaccia„ per la sicurezza russa. La storia del post-comunismo, all’avvio del XXI secolo, è dunque segnata dal ritorno di un conflitto centrale tra due “nemici„ ideologici ed imperniato sul controllo dell’Eurasia. Nella loro opposizione strutturale, lo stato americano e quello russo strumentalizzano il nazionalismo (S), l’atomo (A) e l’energia (E) in una guerra latente, nel cuore dello spazio post-sovietico. Questa forma riattualizzata e moderata di guerra fredda può essere definita come “la guerra tiepida„.

 

Sogno multipolare

 

In questa lotta ideologica informale tra due imperi che cercano di trovare la loro leadership d’ispirazione messianica e d’imporre la loro visione del mondo, una sfida cardine è quella della ristrutturazione dell’ordinamento internazionale. In questo schema, è il controllo della zona eurasiatica post-comunista che potrebbe determinare il vincitore di questa guerra tiepida nascente e, di conseguenza, l’orientamento della governance mondiale. Una questione chiave per il futuro della Russia sarà di conseguenza l’emersione di una democrazia mondiale multipolare. Nel suo avvertimento di Monaco, che condanna l’unilateralità arrogante degli Stati Uniti, V.Putin lo ha chiaramente detto.

Notes :

[1] Décret présidentiel n° 24, 10 janvier 2000.

[2] Adresse du Président de la Fédération de Russie sur la sécurité nationale, Assemblée fédérale, Moscou, 13 juin 1996, pp. 24-25.

Jean Geronimo est docteur en Economie, Université Pierre Mendès France (Grenoble), Centre de Recherches Economiques sur la Politique Publique en Economie de Marché (CREPPEM)