IL TEMPO STRINGE di G.P.

La classe politica italiana, non è cosa difficile da diagnosticare, è squalificata e debole. Questo discredito e questa spossatezza toccano i singoli leader che appaiono totalmente inadatti a gestire e coordinare qualsiasi iniziativa politica di rilievo nazionale e internazionale.

Parliamo, ovviamente, in termini bipartizan, sia dei capitani della squadra di maggioranza che di quelli d'opposizione, compagini da seconda divisione che pretendono di disputarsi il campionato del mondo senza disporre dei talenti necessari. Tuttavia, occorre altresì dire che l'incapacità individuale è frutto di una più grande e perniciosa fiacchezza di quei gruppi decisionali che, agendo da dietro il sipario, sospingono detti esponenti, dal dubbio valore politico e dal vacuo richiamo mediatico, al comando delle istituzioni. E ciò vale anche per uno come Berlusconi il quale, seppur indossando egregiamente la divisa dell'autocrate narcisista esprime, insieme alla sua volontà precipua, interessi di diverse “sezioni” economiche e “sedi” politiche. Come diceva Saint Exupéry l'essenziale è sempre invisibile agli occhi. Anche in questo frangente l'aforisma risulta aderente alla realtà meno epidermica, quella che non piace  alla stampa di regime ed ai facitori di opinione pubblica i quali si concentrano abilmente sulla superficie dei problemi per proiettare una lettura mistificata, semplicistica e scarsamente orientativa, appunto superficiale, degli andamenti generali. Questa inversione tra elementi primari e secondari, tra cause ed effetti, tra apparenza fenomenica e sostanza subevenemenziale, favorisce in maniera traumatizzante quel processo di disgregazione delle basi collettive che sta mettendo a repentaglio la tenuta unitaria del Paese.

Il risultato è devastante sotto il profilo sistemico perché all'intrinseca debolezza di una architettura statale ormai obsoleta ed inadeguata ai tempi, diciamo pure costituzionalmente necrotizzata, viene dunque a sommarsi un'inettitudine individuale e collettiva che fa letteralmente marcire le radici della nazione. La situazione italiana se non è già a questo punto di imputridimento molto si avvicina alla rappresentazione fornita, o comunque, ci arriverà presto in mancanza di rimedi adeguati e repentini. Allorché le nomenclature politiche nostrane mancano di un orizzonte interpretativo della fase storica e della forza necessaria per adempiere ai loro compiti, salgono inevitabilmente alla ribalta le oligarchie finanziarie e i prenditori di risorse statali a tradimento.  Sono quest'ultimi che dettano, col loro corto respiro economicistico e la longa manus lestamente infilata nella borsa dei contribuenti, la linea d'azione agli spiegamenti partitici imponendo privilegi ed esigenze particolaristiche di loro comodo (nonché l'adesione incondizionata ai diktat di omologhi drappelli sopranazionali ai quali sono molto legati ma in posizione subordinata). La Politica finisce per seguire a ruota le indicazioni provenienti dal potere banco-industriale-finanziario, a sua volta, come detto, condizionato dall'esterno, laddove dovrebbe essere lei a gestire direttamente le spinte conflittuali che si intersecano nelle diverse sfere sociali al fine controllarle e direzionarle per la tenuta degli assetti collettivi. Ed, invero, non esiste altro modo di questo per incanalare e sintetizzare contraddizioni e contrapposizioni che possono uscire fuori carreggiata come dimostrano gli ultimi episodi di violenza per le strade romane o i mugugni delle categorie economiche, più vitali ma meno rappresentate (partite Iva, piccoli e medi imprenditori, ecc. ecc.), il cui silente disagio diventa, giorno dopo giorno, aperta contestazione. Nondimeno, gran parte dei nostri problemi ha un origine non nazionale che stenta ad essere focalizzata e compresa da commentatori ed analisti di ogni scuola.

Nel contesto multipolare, nel quale anche l'Italia si trova immersa, agiscono spinte centrifughe che scardinano i precedenti pilastri sistemici ma che fanno al contempo avanzare nuove potenze emergenti/riemergenti sulle quali verranno a configurarsi i prossimi equilibri geopolitici. Il nostro Paese deve forzatamente innestarsi nelle dinamiche in corso sullo scacchiere europeo, sia per reggere all'urto delle trasformazioni in atto, sia per ricavarsi uno spazio di autonomia attraverso il quale trovare le risorse necessarie alla ripresa economica e alla difesa politica contro gli appetiti egemonici altrui.

In questo quadro di mutamenti, nel quale ringhiano paurosamente i vecchi dominatori e i loro sfidanti in recupero di energia strategica, devono essere letti gli attacchi alle nostre imprese di punta che nel concludere affari in giro per il mondo hanno lanciato la sfida ai  dominanti statunitensi in caduta di influenza, credibilità e appeal aggregativo. La situazione, ovviamente, non va a genio agli americani i quali si affidano a quinte colonne interne e serpi “in seno” per frenare il protagonismo dei nostri players di mercato che siglando contratti facilitano il discorso politico tra controparti governative. Così si colpisce Berlusconi per abbattere Aziende di peso mondiale, oppure, viceversa, si bastonano quest'ultime per azzoppare una maggioranza non abbastanza ligia ai doveri atlantici. Ipotesi non lontana da quella di Nicola Porro, giornalista de Il Giornale, il quale in un recente articolo segnala che l'autolesionismo casalingo è diventato l'unico principio informatore di quanti, accecati dal potere (che non hanno) e dall'antiberlusconismmo preconcetto, sono disposti a danneggiare la “gioielleria di famiglia” per farsi largo nella stanza dei bottoni. Difatti si giunge anche a “Colpire l’Eni per colpire il Cav. Il cane a sei zampe ha sempre rappresentato più di una semplice impresa. Attraverso l’Eni i governi italiani hanno sempre adottato una politica estera parallela. Che conta forse più di quella delle Cancellerie: in ballo ci sono quattrini e contratti che, per loro natura, sono decennali. I rapporti con l’Iran, solo per dirne una, possono passare da un’esplorazione petrolifera anche quando sarebbe difficile alimentarli con una visita ufficiale di Stato. Nel passato ciò valeva evidentemente anche per la Libia. Il feeling tra il premier e Putin può essere più facilmente contestato su basi politiche (difficile per una certa sinistra) se si adombrano questioni affaristiche. È singolare a questo proposito notare come il rappresentante di Banca Intesa diventi un losco figuro quando tratta gli affari (cosa tutta da dimostrare) del cane a sei zampe, mentre sia un banchiere attento quando si occupa delle partecipazioni della sua banca. Il tema ovviamente non è dunque quello dell’interlocutore (Putin e l’economia opaca russa), ma dell’azienda, che si vuole mettere in difficoltà”.  

Berlusconi ha saputo, invece, seguire la corrente di alcuni business determinanti ma non è stato in grado di proporre quel salto di qualità con il quale gli accordi tra imprese trasmutano in veri e propri affari di Stato per la saldezza di future alleanze geopolitiche. La presente inconcludenza sta mettendo a repentaglio il suo Esecutivo ma, cosa ancor più preoccupante, sta depotenziando l'incuneamento sui mercati delle best companies industrialmente più avanzate – Eni, Enel e Finmeccnica che avevano potuto accreditarsi come interlocutrici privilegiate nell'Est Europa, nel Medio-Oriente e in Asia – le quali cominciano a risentire dello sguarnimento del fronte politico indispensabile per organizzare una resistenza alle provocazioni e agli assalti di competitors e loro sponsor di Stato (proprio l'Eni ha subito pressioni da Washington per ridurre i propri investimenti in Iran e nessuna voce si è levata dal Governo per allontanare questa indebita ingerenza).

Con una classe dirigente latitante o appena gregaria di caste affaristiche imperversa la guerra per bande tra aggregazioni imprenditoriali che si massacrano vicendevolmente senza mai guardarsi intorno con l’intento di capire quel che succede appena più in là dei loro interessi materiali. Gli ambienti internazionali disponibili a fomentare il caos lasciano che a fare il gioco sporco siano gli stessi italiani condotti per mano e con qualche opportuna spintarella sull'orlo del precipizio. Per questo vediamo accanirsi l'un contro l'altro i vari raggruppamenti economici di bandiera i quali, sostenuti dal parterre di centro-sinistra e dagli esuli finiani, esultano se Finmeccanica viene messa alle corde dalla magistratura, se l'antitrust europeo multa e costringe l'Eni a liberarsi di fondamentali assets infrastrutturali, se l'Enel deve rinunciare alle partnership con consorelle di altri paesi non gradite alla comunità internazionale. E fanno festa, anche se Berlusconi viene impallinato con pretesti inauditi, buoni solo ad ottenere quel timbro atlantico di conformità che garantisce di essere dalla parte dei bravi servi di cortile in cambio di spiccioli di potere. In questa luce di crescente supinità ed autodanneggiamento patrio possiamo anche interpretare altri strani eventi come l'acquisto da parte di Alitalia di 20 jet brasiliani disattendendo antecedenti intese con Alenia, divisione Finmeccanica, per l’ottenimento di velivoli più moderni, convenienti e meglio equipaggiati che avrebbero dato ossigeno alla nostra produzione. La confusione regna sovrana anche nella camera di compensazione dei poteri forti, la RCS, dove è saltata l’approvazione del piano industriale e dove i laidi  manovratori dell'oscurità sono alla resa dei conti finale. Ha il suo peso in tutto ciò il lento smarcamento della Fiat (che corre ormai esclusivamente per gli americani) dal precedente establishment ed ha il suo valore anche l’avanzata della finanza meno invisa a B. nei nuovi equilibri del potere nostrano, tuttavia non è dalla sfera economico-finanziaria che può venire quella svolta necessaria a rimettere il Paese sui binari di un futuro meno ambiguo che richiede un più cogente riposizionamento geoeconomico e geopolitico. Ma la nostra classe dirigente continua a traccheggiare e a disperdere le poche energie a disposizione nelle piccole beghe parlamentari dividendosi su questioni di bottega e di ulteriorie accattonaggio elettoralistico, con la formazione di fantomatici terzi poli. Se questi signori non sono capaci di pensare al bene nazionale dovrebbe farlo qualcun altro, anche con metodi meno ortodossi di quelli democratici. Del resto, se dovessimo finire tra i paesi straccioni non sapremmo che farcene di questa bella democrazia.

IL CONFLITTO D'INTERRESSI DEL CORRIERE ANTI ENI

di Nicola Porro

In tempi non sospetti, Il Sole 24 Ore, grazie al lavoro di Giuseppe Oddo, ha svelato tutti gli intrecci e gli interessi del gigante petrolifero Eni con la Russia. Si parla di gas, dei ricchi contratti che ne assicurano l’approvvigionamento e dei tubi che dovrebbe trasportarlo dalla Russia all’Italia. Nelle settimane scorse Corriere della Sera e Repubblica hanno in sostanza riassunto (si fa per dire, viste le pagine dedicate) le puntate già scritte nei mesi passati. È interessante capire cosa stia alimentando questa rinnovata e benvenuta attenzione giornalistica nei confronti della potente multinazionale italiana. Vediamo.

1. Colpire l’Eni per colpire il Cav. Il cane a sei zampe ha sempre rappresentato più di una semplice impresa. Attraverso l’Eni i governi italiani hanno sempre adottato una politica estera parallela. Che conta forse più di quella delle Cancellerie: in ballo ci sono quattrini e contratti che, per loro natura, sono decennali. I rapporti con l’Iran, solo per dirne una, possono passare da un’esplorazione petrolifera anche quando sarebbe difficile alimentarli con una visita ufficiale di Stato. Nel passato ciò valeva evidentemente anche per la Libia. Il feeling tra il premier e Putin può essere più facilmente contestato su basi politiche (difficile per una certa sinistra) se si adombrano questioni affaristiche. È singolare a questo proposito notare come il rappresentante di Banca Intesa diventi un losco figuro quando tratta gli affari (cosa tutta da dimostrare) del cane a sei zampe, mentre sia un banchiere attento quando si occupa delle partecipazioni della sua banca. Il tema ovviamente non è dunque quello dell’interlocutore (Putin e l’economia opaca russa), ma dell’azienda, che si vuole mettere in difficoltà.

2. Colpire l’Eni per colpire Scaroni. In primavera le aziende a partecipazione statale (Eni, Enel e Finmeccanica solo per citare le più importanti) hanno i loro vertici in scadenza. Creare un po’ di fumo per tempo renderebbe più semplice un cambio a fine corsa. Sia chiaro, la procedura – come direbbe il favoloso Marchese del Grillo di Monicelli – è semplice: io faccio casino senza fondato motivo e tu così non becchi nulla. Un sistema che a scadenze precise si ripete anche per le aziende private. Alla vigilia del rinnovo dei vertici di IntesaSanPaolo, ad esempio, si scoprirono crepe da tutte le parti. Si capì solo dopo che di nulla si trattava. Il «semestre elettorale» per un manager di Stato o privato è sempre materia incandescente. Anche Cappuccetto Rosso dovrebbe temere riguardo la propria moralità.

3. Colpire l’Eni per aiutare gli avversari. Quando si parla di petrolio, gas ed energia gli interessi che girano sono miliardari. Ne citiamo solo alcuni, ma piuttosto significativi. Prendiamo l’elettrica Edison, azionista del patto di sindacato del Corriere della Sera. L’azienda è guidata da un manager tosto, tostissimo, Umberto Quadrino. Un signore che si è presentato dai russi è ha detto loro di diminuirgli il prezzo del gas su contratti che aveva già firmato. Mica semplice, con tutta probabilità però porterà a casa il risultato. Ma Quadrino fa girare il gas, costruisce centrali, cerca petrolio e si muove tra due colossi (italiani) come Eni ed Enel. E, soprattutto, si trova diviso a metà tra i suoi azionisti francesi (Edf) e le municipalizzate italiane. I francesi vorrebbero portarsi a casa tutto il boccone, gli italiani fanno muro. Gli azionisti francesi di Edison non sono esattamente disinteressati alle sorti di Eni, così come l’ambasciatore più graduato degli affari francesi in Italia, Giovanni Bazoli, è molto legato ad Edison. Fu Bazoli il regista del salvataggio post crac Fiat della vecchia Montedison e proprio un finanziere vicino, vicinissimo al professore bresciano, Romain Zelesky, a lungo ne detenne un pacco di azioni rilevanti. Insomma, un pezzettino dello scenario futuro di Edison passa per Brescia e qualche colpettino agli ex monopolisti dell’Eni non darebbe fastidio ai francesi. Fantafinanza? Sì, certo, come quella del fondo americano Knight Vinke che ha preso due pagine di giornali per spiegare agli italiani come l’Eni divisa in due sarebbe molto gradita dai mercati finanziari. Il fondo americano ha un pacchetto importante del cane a sei zampe. E si ha buon gioco da quella sponda dell’Atlantico a mettere insieme le presunte ombre sugli affari greasy dell’Eni in Russia con i propri interessi di bottega: azionaria e strategica. Franco Bernabè, che oggi guida Telecom, spesso ricorda: «Se ai tempi in cui guidavo l’Eni avessi seguito il consiglio dei fondi e degli analisti di adottare il modello redditizio messo in piedi dall’americana Enron, oggi sarei fallito».