Israele non è uno stato ebraico ma uno stato "sionista”

di Piotr

 

Mi è stato chiesto dove lo storico israeliano Ilan Pappè ha affermato: “Israele non è uno stato ebraico ma uno stato sionista”. Ho in parte già risposto in un commento, ma forse vale la pena riprendere il discorso con qualche precisazione e approfondimento.

 

La fonte è Ilan Pappè stesso durante un convegno lo scorso gennaio a Roma, e questa affermazione è stata pronunciata nell’ambito della risposta a una mia domanda che chiedeva se il continuo espansionismo e la continua aggressività israeliane avessero  tra le loro cause anche il timore relativo alla tenuta ideologica di Israele come "Stato ebraico" in caso di stasi del Sionismo o in caso di una soluzione post-sionista, in un’epoca in cui l’equazione sionismo=ebraismo sembra ormai largamente accettata.

A questo proposito Pappè ha fatto anche notare che ad esempio negli Stati Uniti la maggioranza degli Ebrei non è attivamente filosionista, come si vuol fare apparire. Anzi, sostanzialmente è indifferente, mentre la suddetta equazione è sostenuta dall’attivismo e dall’influenza delle organizzazioni della lobby ebraica.

Dal canto suo, Yitzhak Laor si domanda come mai questa equazione (per essere precisi la sua inversa: antisionismo=antiebraismo), che lui è convinto "la maggioranza degli Israeliani si vergognerebbero di fare", sia diventata invece un assioma nel mondo occidentale, con in testa Germania, Austria e Italia (perché poi quella maggioranza accetti lo stesso l’operato dei suoi governi, io non lo so e credo che sia un punto complesso che deve essere analizzato e capito, perché riguarda il funzionamento della sfera ideologica ai nostri giorni).

Ovviamente Laor non lascia la risposta in sospeso: la ragione è il filosionismo di stampo imperialistico (e anti-islamico) dell’Occidente, che ha degli effetti collaterali particolari in quei tre paesi.

Dato che questo nuovo "filosemitismo" è sintetizzato pubblicamente nella "Giornata della memoria", in Austria e in Germania esso permette di evitare per sempre di fare i conti (mai fatti) col passato nazista, poiché esclude in generale i milioni di morti non ebrei e in particolare esclude i milioni di morti sovietici, non contabilizzati nella Giornata della Memoria per ragioni ideologiche e politiche.

Quindi, una sorta di esorcismo con “gradevoli” ricadute geopolitiche.

In Italia invece il nuovo filosemitismo permette di smettere di fare i conti col passato fascista; da qui l’entusiasmo filosionista e filosemita della destra ex-fascista.

Si noti che per Laor questo “fare i conti” ha una valenza culturale e non politica.

Inoltre questo notevole letterato israeliano fa notare come a complemento di questo nuovo filosemitismo (tra l’altro del tutto peloso – come, secondo il mio modo di vedere incorreggibilmente illuminista e universalista, è peloso ogni “filo-qualunque-etnia” -, e io se fossi un ebreo ci starei attento), il nuovo antisemitismo non sia più contro gli Ebrei ma contro gli Arabi e i musulmani e operi con le stesse modalità del vecchio antigiudaesimo. Un antisemitismo ai danni di Arabi e musulmani accolto con facilità dall’Occidente ma indotto in vari modi dai sionisti, protetti a sinistra dal “campo della pace” formato da intellettuali come Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman.

Ciò che a mio avviso è una riprova proveniente dall’altra sponda del Mare Nostrum di come la sinistra possa funzionare da stampella ideologica dell’imperialismo. Lo dico assolutamente senza gioirne, ma non posso mettermi le fette di salame sugli occhi, perché le conseguenze possono essere severissime. E’ già successo platealmente durante la Grande Guerra, i cui milioni e milioni di morti la sinistra europea (cioè i socialisti della II Internazionale) ce li ha avuti tutti sulla coscienza.

 

Vorrei terminare dicendo due cose sull’esclusione di milioni di vittime dalla Shoa e dalle sue commemorazioni. Perché questa esclusione? Perché, ci dice Yitzhak Laor, quelle vittime avrebbero contaminato l’idea semi-religiosa della Shoa come di un “unicum”, non realmente universale ma da riconoscere universalmente; e avrebbero quindi interferito con la nascita d’Israele come suo frutto storico e morale necessario.

Sono d’accordo, perché è ciò che ho criticato esplicitamente nel mio libro “Alla conquista del cuore della Terra” nell’ultima appendice che riguardava il genocidio degli Armeni.

Un genocidio negato finché è stato possibile da personaggi osannati come Eli Wiesel e Shimon Peres.

Ripeto, per chi non avesse colto il termine: “negato”. Ripeto ancora: “negato”. Però si vogliono mettere in prigione i negazionisti della Shoa, con cui non spartisco alcunché ma la cui criminalizzazione fino alla galera considero, d’accordo con Noam Chomsky, una barbarie  giuridica.

Una barbarie moltiplicata dal fatto che nessuno ha mai invece avuto niente da ridire sul fatto che quei due immorali negazionisti ricevessero il Premio Nobel per la Pace! Perché,  vorrei far notare, Wiesel ricevette il Nobel nel 1986, mentre ammetterà pubblicamente il genocidio degli Armeni solo nel 2000 (dopo averlo ripetutamente negato su imbeccate di Israele), firmando un appello sul New York Times e sul Jerusalem Post, quando – sarà anche un caso – la lobby armena in America sarà diventata ormai un influente gruppo di pressione. E Peres lo ricevette nel 1994, mentre ancora nel 2001 farà precedere una sua visita in Turchia da una dichiarazione apparsa sul Turkish Daily News dove si affermava che gli Armeni non avevano mai sperimentato un genocidio e che le affermazioni da  parte armena erano “senza senso” (sic!) (e vorrei far notare che Israel Charny, il curatore dell’Enciclopedia del Genocidio, diede a Peres per questo motivo dell’“immorale”; così che quando ho parlato di “immorali negazionisti”, ero in ottima compagnia).

 

Il termine “genocidio” fu introdotto per la prima volta dall’ebreo polacco Raphael Lemkin: per parlare del massacro degli Armeni. Si era nel 1944.

E allora ha credo che abbia proprio ragione Ilan Pappé: Israele non è uno stato ebraico, ma uno stato sionista.

 

Piotr