ISRAELE NON HA ALCUN FUTURO NELLA REGIONE

 

 

INTERVISTA A RAMADAN SHALLAH, SEGRETARIO GENERALE DELLA JIHAD ISLAMICA – I PARTE (Fonte geostrategie.com, trad. di G.P.)

 

 

Domanda: sessanta anni dopo la creazione dello Stato d’Israele, quanto è cambiata la visione israeliana circa la sua esistenza nella regione, dal punto di vista strategico, e la sua visione della pace con i palestinesi e gli Arabi, più in generale?

R. Shallah: A parer nostro, per quanto riguarda la visione israeliana relativa all’esistenza dell’entità nella regione, possiamo distinguere tre tappe essenziali: la prima è quella del rifiuto assoluto di Israele, dove il conflitto era chiamato conflitto arabo-israeliano. Questa tappa fu caratterizzata dall’unanimità della nazione di rifiutare l’esistenza di Israele, nonostante le brecce aperte da Israele con le relazioni segrete con alcune parti arabe. Ma questi falle non cambiarono la realtà di questa tappa, che fu quella del rifiuto assoluto, dove il fatto di dialogare con Israele era considerato come un tradimento supremo. La seconda tappa comincia nel 1979, con la firma da parte di Sadate del trattato di pace con Israele. Da questa data, alcuni segnano la fine di ciò che è stato il cosiddetto conflitto arabo-sionista o Israeliano, e l’inizio di ciò che è stato chiamato il conflitto israelo-palestinese. Nel corso di questa tappa, il regime arabo è uscito dal conflitto, e la regione è entrata in ciò che possiamo chiamare il riconoscimento o l’ammissione di Israele con la forza. Questo riconoscimento cominciò con Sadate ed raggiunse il suo massimo con la firma dell’accordo di Oslo, seguito da altri stati arabi che firmarono accordi ufficiali, o stabilirono relazioni non ufficiali con Israele. È la tappa dominante fino ad oggi. Ma c’è anche un’altra tappa, nella coscienza o nell’immaginario Israeliano, che non si è avviata, quella dell’ammissione volontaria di Israele, nel senso in cui l’immagine di Israele,  come Stato invasore, straniero e installato nel cuore della nazione, suo malgrado, fosse cancellato della coscienza dei popoli e dai dirigenti della regione, e fosse percepito come uno Stato normale, vicino, amico, come qualsiasi altro paese arabo o musulmano. È il prezzo che Israele impone per fare la pace nella regione, secondo la visione israeliana. La pace che si basa sulla liquidazione della questione palestinese e l’ancoraggio di Israele come grande potenza nel cuore della regione. Ma, purtroppo per Israele ed i suoi alleati, il progetto risolutivo con cui ha sognato di giungere alla terza tappa ha fatto fronte ad una resistenza e ad un rifiuto poderosi, ed anche più, poiché la regione ha assistito, con i movimenti della resistenza islamica, ad un ritorno alla tappa del rifiuto assoluto di Israele. Nel quadro della lotta tra due visioni nella regione, il rifiuto assoluto o l’accettazione assoluta di Israele, l’entità sionista ha ricevuto colpi dolorosi in occasione della vittoria della resistenza in Libano nel 2000, lo scoppio dell’intifada ad al-Aqsa nel 2000 e la sconfitta bruciante in occasione della guerra del luglio 2006, in Libano… Tutto ciò ha portato un colpo al prestigio di Israele e al suo esercito, mettendo in dubbio la sua forza di colpire, che modifica d’un tratto la priorità di Israele, deludendo chi si richiamavano ad una soluzione contando su di esso. La sensazione di essere straniero nella regione ed il timore del futuro rende Israele incapace di pagare il minimo prezzo per la pace alla quale gli Arabi si sono richiamati tramite la loro iniziativa. Dunque, le priorità israeliane nella regione  consistono nel recuperare la sua forza di contrapposizione militare, allargare la zona della sua accettazione con la forza, e realizzare nuove brecce nel corpo arabo. Esso guarda dalla parte dei paesi del golfo, ed in particolare all’Arabia Saudita, per realizzare un’alleanza americano-israelo-araba per fare fronte alle forze della resistenza e al rifiuto dell’Iran, della Siria, di Hezbollah, di Hamas, della Jihad islamica e delle altre organizzazioni della resistenza in Palestina, preparandosi ad una guerra per recuperare il suo prestigio sionista nella regione. Riassumendo, possiamo dire che Israele, sessanta anni dopo la sua creazione, si prepara a condurre nuove guerre, non a fare la pace. Non è necessario che la guerra scoppi domani o tra alcuni mesi, ma questa guerra è inevitabile, a parer nostro, ed il momento zero sarà raggiunto quando sentirà che il prezzo da pagare per mantenere la situazione attuale, con il pericolo per la sua sicurezza che ciò comporta, sarà più elevato di una guerra regionale. A parer nostro, Israele non ha ancora raggiunto questo punto, ma pensiamo che lo raggiungerà.

Domanda: In modo concreto, esistono fattori o elementi nei due contesti, sociale ed istituzionale, reggenti Israele, che possono far credere, dopo dieci o cento, alla possibilità di coesistenza reale tra due stati, uno palestinese ed uno Israeliano, soprattutto in quanto Israele prevede, strategicamente, di fare della sua entità uno Stato ebreo?

R. Shallah: Non ci può essere alcuna coesistenza pacifica con lo Stato israeliano, e le relazioni di forza attuali non generano una pace, ma un’offerta le cui condizioni sono imposte dalla parte più forte sulla parte debole. L’entità sionista non si distingue, al livello della sua società e delle sue istituzioni, dalla visione sulla quale è basato il progetto sionista, che è un progetto di rifiuto dell’altro, che ha fondato la sua entità da un lato sui miti, e dell’altra, sul fuoco, il ferro ed il sangue, la violenza ed il terrore. A partire dalla natura bellicosa e conflittuale del progetto sionista, Israele rifiuta la pace, come ha provato l’esperienza. Ha rifiutato tutti i progetti di risoluzione nonostante il loro basso livello e le concessioni ottenute. Israele rifiuta l’iniziativa araba che gli ha tuttavia promesso di vivere come uno Stato naturale e legale nella regione in cambio soltanto del suo ritiro dal Golan, dalla Cisgiordania e della striscia di Gaza. Ha negato gli accordi di Oslo che furono una catastrofe per il popolo palestinese, e ha rifiutato la “road map” che è fondamentalmente un progetto di Sicurezza per la distruzione della resistenza palestinese. Concludendo, rifiuta il processo di Anapolis offerto dagli Arabi ed ha risposto con la costruzione di migliaia di unità di colonizzazione ad al-Quds ed nei suoi dintorni. Dunque, scommettere sulla pace con Israele è una scommessa sull’illusione ed il miraggio, poiché quello che si chiama processo di pace in Medio Oriente, come ha spiegato uno scrittore e politico ebreo americano, Henri Sigman, è “la frode più eccitante nella storia diplomatica contemporanea”. È una grande menzogna che ha fatto credere che i palestinesi otterranno uno Stato nei limiti delle frontiere del ‘67. Oggi, questa menzogna è stata scoperta ed è diventato chiaro che il supposto “Stato palestinese” di cui parlano è “lo Stato degli interessi sionisti” che non soltanto non accorda ai palestinesi uno Stato in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, ma che priva 4 milioni di profughi della possibilità di tornare nel loro paese, e minaccia di espellere quasi un milione e mezzo di palestinesi che vivono nella Palestina occupata nel 1948. Per riassumere, l’idea della coesistenza sulla base dei due stati è finita, e Israele e gli Stati Uniti, proponendo l’idea dello Stato ebreo, tagliano la strada a ciò che viene chiamato la soluzione ad un solo Stato. Dunque il conflitto continua.