ITALIA SORVEGLIATA SPECIALE di A. Musto

 
 
Portiamo costantemente all’attenzione come l’attuale Governo risenta di una situazione di precarietà e incertezza dell’intero Paese, sin da quello snodo fondamentale, da quella cesura politica e sociale rappresentata dall’insieme degli avvenimenti e delle trame che si susseguono dal quel fatidico 1992.
Una delle primarie necessità da considerare nell’approccio all’instabile situazione governativa e, in generale, nazionale è quella di non ficcarsi in stolte chiusure con corollario di pregiudizi e schematismi conditi da slogan e chiavi di lettura che rasentano l’idiozia.
Altrettanta necessità primaria e logica è quella di approcciarsi alle vicende nazionali avendo in debito conto quanto si verifica in una fase la cui unica certezza sembra essere un avanzante multipolarismo, benché imperfetto o più che imperfetto.
Credo si debbano avere dei punti fermi nel momento in cui ci si lanci in un sforzo analitico, sforzo che incontra oggettive difficoltà in merito a ciò che accade e figurarsi per ciò che accadrà.
Siamo all’impasse sul presente e qualsiasi spunto predittivo rischia di scivolare nell’inconsistente o nel vaneggiamento, specie se non si ci sofferma, a mio avviso, su taluni fattori che possiamo dedurre dallo sguardo al passato, ma filtrati in virtù della mutante contemporaneità.
Del resto, tutto scorre e cristallizzazioni o anche solo schemi e categorie interpretative sono pur sempre strumenti cui l’uomo è gioco forza mosso ad utilizzare. Tuttavia, la particolarità necessaria è costituita dal non crearsi un armamentario di schematizzazioni, riserve mentali, pre-giudizi, paletti, chiusure precostituite o altro simile.
Chi ancora si barcamena tra afflati mistico-ideologici e insuperabili trincee, tra verità rivelate e indefessi criteri di lettura e svelamento della realtà, potrà certo ungersi ancora di inebriante o rilassante auto-soddisfazione intellettuale – che tutt’al più può servire a sentirsi appagati e venir buona per dir sempre di aver ragione perché le cose che accadono non sono mai quelle volute – ma rimarrà mestamente fingitore di se stesso.
Per la verità, in buona compagnia dei cattivi maestri fingitori ascesi ai laici pulpiti per propinare visioni e concettualizzazioni che sarebbe ora ci si rendesse conto quanto siano faziose.
La faziosità – cosa diversa dall’avere proprie posizioni e dall’esser semmai schierati – è reazione.
La reazione o non vuol convincersi della realtà o vuole storpiarne il senso.
 
Risulta, quindi, essenziale seguire in maniera avulsa da categorie autoreferenziali l’intreccio delle vicende interne del Paese con i movimenti che si delineano sul piano internazionale. Costante, questa, tipica della storia ma che nell’epoca attuale assume una rilevanza ancora maggiore alla luce del consolidarsi del globalismo e delle sue interconnessioni.
Dunque, se lo scenario dell’instabilità di Governo presenta un versante interno in piena fibrillazione che va dal versante finiano a quello della magistratura, non possiamo non considerare quello esterno, all’altro per forza di cose legato.
C’è un blocco di poteri industrial-finanziario, quello delle rendite parassitarie, delle rapine a mezzo banca, delle vessazioni al mondo produttivo e del lavoro, che sta minando e corrodendo il Paese in combutta, per quanto in subordine, con gli ambienti di punta dell’establishment atlantico.
Naturalmente non perché al timone ci sia una compagine in marcia verso una qualche sistemica rivoluzione, ma sostanzialmente perché da una parte tale blocco nostrano è un conclamato insieme di “quinte colonne antinazionali” votato al sacrificio degli interessi dell’Italia sull’altare del loro parassitismo, dall’altro perché l’attuale cammino del Governo non sta rispecchiando come richiesto i desiderata congeniali ad un dato progetto delle elite decisionali che contano.
Ne risulta, come dal blog rilevato sin dall’inizio, che l’Italia del Governo Berlusconi sia attenzionata in modo poco compiaciuto da un insieme di poteri dominanti di matrice-angloamricana supportati costantemente da a loro legati poteri sub-dominanti europei e soprattutto italiani- stampa compresa naturalmente.
Non ha più bisogno di conferme l’ormai evidente realtà di una banda pezza-culata, sedicente sinistra e neo-destra liberal-democratica, come fidata guapparia al servizio delle mire strategiche di Londra e Washington, sia sul piano di un determinato progetto economico-finanziario liberista o tardo-assistenzialista purchè paludoso, sfruttatore e improduttivo, sia sul piano di un assetto strategico lungo le vie del petrolio, del gas, dei rapporti bilaterali con taluni partners.
 
Così, domenica 18 luglio l’Unità è tornata, ancora una volta e con toni corrucciati, a relazionarci su di uno scenario molto poco quieto delle relazioni tra l’Italia e qualche cancelleria occidentale.
Parla di un Berlusconi come “sorvegliato speciale”. [1]
Lo fa sulla base delle dichiarazioni di un’anonima fonte diplomatica e del sempiatlantico Pino Arlacchi, europarlamentare IDV, che in sostanza ricalcano posizioni generali di certi ambienti da tempo espresse.
Sono posizioni non sorprendenti per chi ab ovo ha colto determinati segnali e li sta riconducendo all’interno di un quadro specifico. Così come non sorprende, ma rassicura, che i giornali – in specie quelli di sinistra – si facciano megafono delle preoccupazioni che affliggono gli alleati atlantici.
Nell’articolo sono praticamente tre i fattori preoccupanti: la corruzione e gli scandali del Governo e del Paese, la ricattabilità del Presidente e la politica verso est dell’Italia.
Tutti e tre vengono tra di loro collegati e ricondotti molto semplicisticamente alle effervescenze personalistiche e all’inclinazione al malaffare di Berlusconi e di quanti gravitano intorno a lui.
[Il ricorso al grassetto e alle sottolineature è mio]
 
Allarme e imbarzzo.
L’allarme era scattato da tempo. Ora è cresciuto. E torna con forza il tema della ricattabilità del Cavaliere. Tema che collega presente e passato. «Con lo scorrere delle rivelazioni, l’ipotesi di un’infiltrazione della mafia russa al vertice dello Stato italiano prende consistenza…», scrive Serge Raffy, firma di punta del settimanale francese Nouvel Observateur, con riferimento (6 agosto 2009) all’inchiesta di Bari, alla droga, alle escort arrivate dall’Est, al ruolo di Gianpaolo Tarantini, tra l’altro consulente della russa Fisiokom. Un riferimento, quest’ultimo, che fa da filo conduttore alle «amicizie personali», agli attestati di stima, ai viaggi «particolari» del Cavaliere nelle repubbliche dell’ex impero sovietico: a dominare è la «diplomazia del gas», quella che lega Berlusconi al primo ministro russo Vladimir Putin e al discusso presidente della Bielorussia, Aleksander Lukashenko.
 
Inquietudine oltre oceano
Le linee telefoniche tra le ambasciate dei Paesi alleati si fanno roventi: dall’altra parte del filo – rivela la fonte diplomat
ica a l’Unità- la richiesta che parte è la stessa: chiedere lumi, capirne di più. E agire di conseguenza. L’Italia di Cesare è osservata speciale. Riflette Pino Arlacchi, europarlamentare, già vice segretario generale delle Nazioni Unite, nonché studioso delle più agguerrite organizzazioni criminali: «Un Primo ministro che conduce una vita come quella di Berlusconi non è ritenuto affidabile, perché può essere ricattato, perché può prendere decisioni sconsiderate e quindi mettere in pericolo non solo la stabilità del suo Paese ma anche quella di tutto il sistema». «I Paesi alleati – prosegue Arlacchi – si chiedono dove l’Italia possa andare a finire, intendendo per alleati sia i Paesi del sistema atlantico sia quelli dell’Unione Europea». Quello degli Alleati è un interesse «attivo». Perché, ricordano a Bruxelles, dal capo del governo dipendono i servizi segreti e le forze armate. È in possesso dei nullaosta della Nato che danno accesso ai segreti degli armamenti nucleari. Per questo la sua «ricattabilità» è un affare che va oltre i confini nazionali. Così come lo sono i torbidi intrecci tra affari, politica e holding criminali che, anch’esse, hanno una dimensione sovranazionale. L’allarme è scattato. Ed è allarme rosso”

 
Questo tipo di argomentazioni – qui riprese come esempio perché già espresse in altre occasioni sul blog –  erano state il 16 luglio accennate, sempre sulla cara agli alleati Unità, dall’intervistato vice presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda [2]:
 
Perché il Paese intero?
«Perché chi ricopre alte cariche di governo viene a conoscenza di dossier riservati e di molti segreti. Segreti di Stato, militari, diplomatici, finanziari. E anche di segreti internazionali dei quali non ha nemmeno la disponibilità perché non appartengono al nostro Stato ma ad alleanze più ampie. Penso, per esempio, alla Nato. È necessario avere la certezza che registrazioni e fotografie di quel che accade nell’appartamento del Presidente del Consiglio non vengano usate contro di lui».
 
Quindi sono comportamenti che allarmano anche i nostri alleati
«Di certo sono comportamenti che vengono valutati dalle cancellerie degli altri Stati e non credo in modo rassicurante…».

Nel caso delle escort quali sono stati da parte del premier i comportamenti a rischio?
«Mi limito a elencare le cose che sono apparse sui giornali, compresi quelli più vicini al premier. Sappiamo che a Palazzo Grazioli sono entrate certe signore che non si sa se Berlusconi conoscesse o meno e, con loro, dei personaggi discussi. Sappiamo che sono stati introdotti registratori, macchine fotografiche. Vicende che rivelano una grave imprudenza oltre che un’assenza totale di misure di sicurezza anche minime. E sappiamo anche che quel luogo violato, Palazzo Grazioli, non è solo l’appartamento privato del premier ma è, di fatto, una seconda sede del governo: vi si svolgono riunioni politiche, avviene l’esame di dossier…».
 
Il fattore ricattabilità l’abbiamo più volte evidenziato, in particolare riferendoci a come esso si ricolleghi ad un aspetto cruciale: nell’apparato di sicurezza del premier e in quelli di intelligence le cose non sono come dovrebbero. Lo stesso Berlusconi non sembra in grado di ovviare a questo pesante elemento di debolezza e la possibilità che egli si sia rivolto – come riportato in passato sui giornali – ai russi di Putin è effettivamente probabile. La percezione di essere esposto oltremodo sul fianco della friabilità dei servizi è indicativo non poco di come taluni settori giochino di sponda con altri, evidentemente stranieri, cioè d’oltreoceano. Perché lì gravitano le attenzioni alla condotta del Governo.
Dal tipo di dichiarazioni sopra riportate si evince, con una certa probabilità, che il tipo di relazioni italo-russe stia eccedendo e varcando la soglia di tollerabilità atlantica consentita, probabilmente sconfinando su un terreno di favori e concessioni tale per cui si possa temere, in questo senso, che l’Italia stia supportando, anche se con profilo basso, determinate manovre russe su delicate questioni come i rapporti con la NATO e la sfera occidentale in generale.
Lo stesso accenno alla riservatezza in pericolo di certi documenti e segreti dell’emisfero atlantico, potrebbe lasciare a intendere che i legami stiano lasciando spazio ad una “penetrazione” giudicata pericolosa.
 
Il democrat Bersani, di ritorno dal recente viaggio negli States, sottolineava:
 
«È inutile che Berlusconi dica che godiamo di una buona immagine all’estero», dice Bersani dopo aver incontrato membri del Dipartimento di Stato, del Congresso Usa, dell’Onu, sindacalisti, economisti. «Semplicemente, non risulta. L’Italia in questo momento viene guardata con un misto di apprensione e incredulità. In molti colloqui mi sono state rivolte le stesse domande. Cosa succede? E come è possibile?». Intercettazioni, arresti, dimissioni non trovano spazio sulle pagine dei quotidiani statunitensi, ma nei rapporti riservati che l’ambasciata di Via Veneto spedisce al Dipartimento di Stato Usa la situazione che sta attraversando l’Italia viene spiegata nei dettagli. Così anche una personalità come Phil Gordon, del Bureau per gli affari europei ed eurasiatici, ha rivolto domande a Bersani sulle possibili conseguenze degli ultimi avvenimenti. «Pur in un quadro di diplomazia nei rapporti – racconta il leader del Pd – si capisce che da queste parti il nostro premier non gode di grande stima». Non è solo questione delle ultime ore, perché a non mettere in buona luce Berlusconi, oltreoceano, c’è quella che Bersani definisce una politica estera fatta di «relazioni privilegiate e rapporti speciali». [3]
 
L'Unità (come altri) persevera, sulla scia di un vizioso approccio ideologico ancor prima che fazioso, nel rimarcare una politica bilaterale del Governo che non avrebbe in debito conto il rispetto dei diritti umani come parametro di riferimento per condurre diplomazia e che non si preoccuperebbe di guardar bene in faccia chi sia l'interlocutore.
Affari solo affari, il rimprovero. Gli alleati americani non gradiscono e son corrucciati, l'ammonimento.
 
Lula non è Gheddafi. Il Brasile non è la Russia del «caro amico Vladimir». Ma della storia personale del «presidente operaio» al Cavaliere, ammesso che ne sia a conoscenza, interessa poco o nulla. Il suo chiodo fisso sono gli affari. A qualunque latitudine si materializzino, sotto qualunque regime possano realizzarsi. È l'assolutizzazione di un sistema-Italia che nell'ottica berlusconiana trasforma un ambasciatore in un piazzista, le sedi diplomatiche in ufficio di commercio. Da Tripoli a Brasilia, da Mosca a Pechino: affari e sempre affari. Il resto è silenzio”. [4]
E' utile riportare ancora passi dell'articolo, anche perchè sono menzionati accordi importanti in Brasile, con protagoniste aziende di punta del nostro Paese.
L'agenda ufficiosa dei temi che saranno trattati contiene anche la riforma del Consiglio di Sicurezza, il dossier iraniano, ma tutto ciò
è contorno. Perché il core business della missione restano comunque gli affari che si aprono per le imprese italiane, dalle infrastrutture all'industria navale, dalle telecomunicazioni al turismo fino naturalmente al petrolio. Tantissime le aziende coinvolte: solo per citarne alcune, è in corso di perfezionamento un'intesa fra il colosso brasiliano Petrobras e l'Eni (interessata alla scoperta di giacimenti a largo delle coste brasiliane), mentre Fincantieri e Finmeccanica sono in pista per alcune commesse di fregate, pattugliatori e sistemi satellitari ad alta tecnologia per il controllo delle coste e del territorio, stimate in oltre 6 miliardi di euro. Fa gola anche il business infrastrutturale, con le Ferrovie dello Stato pronte a inserirsi nel progetto dell'alta velocità ferroviaria tra Rio e San Paolo. Ancora: si darà vita – e stavolta sarà la Piaggio a beneficiarne con consistenti incentivi fiscali da parte del governo brasiliano – ad un distretto industriale delle due ruote a Manaus, nell'Amazzonia sudoccidentale: il mercato di moto e accessori da queste parti, è di 175 milioni di potenziali consumatori. Il triplo dell'intera popolazione italiana.

Affari, solo affari. Campo importante, sia chiaro, ma che non può monopolizzare la politica estera di un Primo ministro. Anche se, per restare al Brasile, gli affari coinvolgono il gotha dell'industria italiana, privata e pubblica: oltre alle aziende sopracitate, vanno aggiunte Pirelli e Iveco. L'obiettivo è migliorare ancora le relazioni commerciali, dopo che già lo scorso anno l'Italia ha scalzato la Francia e si è insediata al nono posto tra i Paesi che esportano in Brasile.
La caccia a nuove commesse è aperta. Sul resto, silenzio. Caccia soprattutto alle commesse militari. «Il Brasile rappresenta una grande opportunità. È un Paese che sta crescendo molto, ha ottenuto visibilità politica internazionale e a tutt’oggi non possiede un’industria bellica molto sviluppata. Ciò è per noi un’occasione per fare affari e per sviluppare questo settore», analizza Paolo Pozzessere, vice presidente delle vendite di Finmeccanica. «Grazie agli accordi Lula-Berlusconi ci sono buone prospettive» e nelle casse del gruppo «potrebbero arrivare diversi miliardi», sintetizza il numero uno di Finmeccanica, Francesco Guarguaglini. Oltre al settore navale, un altro settore centrale nel core business militare, è quello aereo, dove gli affari sono in fase ancora più avanzata per la vendita di un numero variabile da 24 a 36 jet di addestramento M-346 per la Fab (Forza Aerea Brasiliana) al costo di circa 1 miliardo di dollari.
Non solo Mosca ed Estremo Oriente. Il nuovo Eldorado per le imprese italiane potrebbe essere l'America Latina. «Una nuova Cina, più simile a noi», enfatizza il viceministro dello Sviluppo economico, Adolfo D'Urso. Non è un caso che sia lui ad accompagnare Berlusconi in Brasile e non il titolare della Farnesina, Franco Frattini. Come dire: che c'entra la politica estera con gli affari… «L'obiettivo è concentrare i nostri sforzi soprattutto sul Brasile, da dove può venire un supporto forte a tutta la strategia del gruppo», rimarca l'amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè. Non gli è da meno l'ad di Enel, Fulvio Conti: il colosso energetico – ha annunciato nel dicembre scorso Conti – investirà «5 miliardi nei prossimi cinque anni in America Latina», confermando «il piano fissato nel 2008 al ritmo di un miliardo l'anno». Il «nuovo Eldorado» non ammette distinzioni politiche: gli interlocutori non si misurano dal tasso di democraticità o dal rispetto dei diritti umani o di quelli sociali. «Affari non olet».
 
E ancora, con sicumera maralisteggiante a proposito degli accordi col Venezuela:
Ma niente può eguagliare lo show del fedelissimo del Cavaliere, Franco Frattini, in terra venezuelana. Il caudillo venezuelano vede come fumo negli occhi la libertà di stampa? Non importa. Il petrolio prima di tutto.
Quello che segue è il virgolettato di un passaggio saliente del saluto del ministro degli Esteri italiano nel suo recente (27 maggio) viaggio in Venezuela: «Sono grato a lei presidente Chavez per aver voluto dare un impulso politico così importante alle relazioni tra due Paesi fratelli. La stima e il rispetto sono le basi sulle  quali abbiamo firmato gli accordi che ci permetteranno di rafforzare una cooperazione importante economicamente e centrata su infrastrutture, energia, salute e cultura. L'Italia metterà a disposizione del Venezuela la tecnologia necessaria ed aiuterà a cercare nuove forme di finanziamento perché il grande programma che sta realizzando il presidente Chavez possa essere realizzato con l'appoggio delle imprese italiane».
E Chavez non è da meno. Testuale: «Un grande abbraccio a Berlusconi, al governo italiano e a tutto il popolo italiano che noi venezuelani amiamo». E non finisce qui: commosso, emozionato, Frattini tracima e rivolto al «fratello» Hugo, sussurra: «Berlusconi le manda un abbraccio grande, segno di amicizia, stima e profondo rispetto.». L'abbraccio di Chavez è poderoso. Tangibile. Quantizzabile: lo sblocco di un miliardo e 200milioni di dollari di pagamenti alle imprese italiane. Il Cavaliere nel mondo, ovvero: lo sdoganamento continua.
Dopo Gheddafi, Putin, Lukashenko, ora anche Chavez. Chi sarà il prossimo? Uno, per la verità, è un quasi sdoganato: il chiacchierato presidente della Colombia, Alvaro Uribe Velez.
 
Ma l'Italia sarebbe anche non molto integrata nella strategia da adottarsi per il Darfur in generale e per il mandato nei confronti di al-Bashir:
per il governo italiano questo mandato di cattura appare un “dettaglio” insignificante rispetto agli affari da mettere in piedi con il Sudan di al-Bashir. La diplomazia degli affari esaltata dal Cavaliere si prepara ad un nuovo colpo. I disperati del Darfur possono continuare a morire…[5]
 
E' evidente come una simile filosofia di lettura delle dinamiche economico-diplomatiche albergante a sinistra e dintorni mostri alcuni discutibili aspetti.
Da una parte vi è l'ideologica chiave di lettura secondo i canoni di un dato universalismo liberale all'insegna del verbo dirittoumanitarista e democratico come presunto mezzo e filtro per le relazioni internazionali; dall’altro vi è, nei fatti, un supporto alle strategie di quei dati poteri che mirano all’indebolimento del Paese sui diversi livelli che ne compongono sia la struttura interna che la proiezione esterna.
Bisogna liberare il campo da alcuni sospetti o rilievi (tramite commenti) mossi nei confronti del blog circa una nostra presunta considerazione di Berlusconi come difensore degli interessi nazionali e addirittura con venature antiamericane.
Una siffatto stato di cose oltre a non corrispondere alle nostre posizioni è oggettivamente fuori dalla realtà. Ci si muove su di un piano di analisi che non è quello dell’antiberlusconismo, ammesso e non concesso che questo ne abbia uno che sia altro da quello pruriginoso, giustizialista e cripto-sociologico.
 
Bisogna avere in conto, quantomeno schematicamente, ciò che più volte si ribadisce, e cioè che questa attuale così come le precedenti storiche, è una fase di lotta pe
r la supremazia. La quale lotta è in continuo divenire al mutare dei tempi, mostrando sia delle costanti scaturenti dal passato sia delle nuove linee di tendenza.
Dopo la caduta del Muro, oggettiva cesura storica, siamo entrati in una latente turbolenza degli scenari politici complessivi su scala globale, di cui l’Italia è soggetto pienamente partecipe. Ugualmente partecipe sia che si ritagli un ruolo attivo, sia che rimanga in uno passivo, per quanto comunque una media potenza abbia nelle sue corde di oscillare tra i due ruoli in base alla sua collocazione geografica, geopolitica e in base agli eventi, di cui tendenzialmente si può essere compartecipi o spettatori, ma pur sempre in un binomio di azione-reazione che per forza di cose caratterizza un soggetto internazionale.
L’assunto, tranquillamente scontato, che gli Stati Uniti siano, sul versante occidentale e in buona parte altrove, la potenza egemone non implica tout court che la sua forza sia in espansione.
Sulla base di un consolidamento egemone maturato nella fase storica precedente, ora si ritrovano nell’attuale a ridisegnare le proprie manovre di supremazia, di azione e controllo, a fronte di un indebolimento che consta di cause (-effetti) tanto interne che esterne, relativamente al profilarsi di un assetto internazionale policentrico e previsionalmente multipolare.
Va da sé (discorso lungo e articolato) che al centro di un soggetto statuale, vuoi gli USA dominanti vuoi gli altri subordinati, vi siano poteri di vario tipo e ordine che ne connotano il profilo ideologico-culturale, la struttura economica, il profilo militare e dunque ciò che può definirsi la strategia.
Tale strategia americana e quindi i diversi poteri che la innervano, non può naturalmente non prevedere ancora un controllo “diretto” almeno nell’emisfero occidentale, quindi europeo in senso lato, tanto più che questo funge – Halford Mackinder docet – sia da sicura retroguardia, sia da trampolino nell’ottica di una proiezione, continua e che si rimodella, su vasta scala e nei centri nevralgici del controllo geopolitico.
Prioritario è il controllo geopolitico tanto quanto quello geoeconomico.
Ciò a significare (ribadendolo una volta di più) la caducità dell’impianto ideologico del libero mercato inteso come fattore recante armonia o mero spazio di esercizio economico sulla base di regole “neutre”. La competizione economica è un riflesso strutturato di quella politica, meglio geopolitica. La fase attuale, senza qui fare salti analitici nel passato tra ricorsi e novità, è schematicamente inquadrabile in tale ordine di cose.
Sicchè, inquadrando la situazione italiana in tale sommario contesto, non possiamo fare a meno di considerare le variabili geopolitiche e geoeconomiche .
Alla luce di tali variabili, si dovrebbe evincere abbastanza chiaramente che per creare fastidi, preoccupazioni o addirittura minacce nei confronti degli interessi americani, non occorre per forza agire, tra politica e propaganda, sul piano espressamente “anti”.
Tale rilevazione non sta ad indicare una linea di condotta o programmatica, ma più semplicemente a fotografare lo stato dell’arte, la situazione così come si presenta.
All’Italia, per suscitare occhiatacce o malumori americani, è (sarebbe) sufficiente fare l’Italia, cioè cercare di strutturare “al minimo” una propria proiezione – neanche squisitamente geopolitica -, calandosi attivamente nella contesa di supremazia, ovviamente con gli annessi vantaggi e limiti di una potenza di media entità.
Il problema di fondo (è necessario tornarci spesso) è la mancanza di una strategia del Paese complessiva, cioè comprensiva di ogni campo dell’agire politico-economico. Annosa questione che oggi risente di un instabile assetto di poteri pubblico-privati, in cui si pone il problema di un nocciolo duro che per impostazione culturale e/o per convenienza economica è stabilmente legato ai centri decisionali della potenza egemone americana e del suo fido braccio europeo inglese.
Un nocciolo duro evidentemente anti-nazionale.
 
In virtù dell’assenza di una configurata strategia-Paese, le forze economiche dispiegate in campo procedono claudicanti, ma per forza di cose devono procedere.
L’assenza di strategia mostra ancora irrisolto, sia sul versante interno che nella proiezione esterna, il rapporto tra finanza, grande e piccola-media industria, specie dopo lo scatafascio programmato post- ’92.
Tant’è, ci si ritrova con poche grandi e limitatamente pubbliche aziende strategiche e un vasto complesso di PMI, ma senza una pianificata sinergia tra di loro.
In date condizioni, pure la politica estera boccheggia.
Detto ciò, una qual certa forma di attivismo tra economia e diplomazia è attenzionata e, se del caso, colpita, come del resto testimonia la nostra storia durante i governi a guida Dc o Dc-PSI.
 
E appunto, come già sopra accennato tramite gli articoli de l’Unità, l’attivismo inscenato dal Governo non garba sia a dati poteri contendenti economici di quelli italiani, sia in certi piani alti dei centri decisionali e strategici, laddove si ha perfettamente la consapevolezza che gli accordi economici e quelli energetici sono un moltiplicatore delle relazioni diplomatiche e delle interconnessioni geo-politiche.
E ciò è emblematico persino di una realtà anche apparentemente paradossale e quindi grave:
l’Italia è tutt’ora integrata nell’ ”ordine costituito occidentale” con il relativo insieme di legami atlantici di ordine militare, economico-finanziario e nondimeno culturale in accezione passiva.
Incarna, praticamente, lo status di sovranità limitata.
L’attuale azione del Paese, che si misura ben oltre comunque la semplice azione di un governo o di un assemblamento politico, non mira a capovolgere o spezzare queste costanti liaison atlantiche di fondo, proprio perché alla radice manca un imprimatur politico e strategico di questo tipo. Eppure, ad esso non è consentito un quid di autonomia neanche a medio-bassa frequenza, oltre quello previsto e imposto dagli attuali rapporti di forza.
Naturalmente, i rischi temuti (per qualsiasi altro attore paragonabile all’Italia) sarebbero di vario tipo e grado, nell’ottica sia dei vantaggi immediati, sia dei riflessi ed effetti a catena su scala almeno regionale, sia dello “sdoganamento” di taluni soggetti intesi come entità statuali – oltrechè personaggi- non propriamente confacenti ai desiderata dell’insieme dei poteri egemoni.
Di noi vengono attenzionati i partenariati strategici (es. recente quello con l’Algeria nel sempre monitorato mare nostrum) in settori quali la difesa, la sicurezza, le relazioni industriali, l’energia. Trattasi di progetti che inoltre costituiscono occasioni di sviluppo (sorvoliamo qui su modelli e teorie capitalistiche) anche per la controparte interessata, anch’essa altrettanto inserita in un dato contesto regionale con relative implicazioni strategiche.
E’ chiaro, quindi, che proiettarsi attivamente in America Latina, nel Mediterraneo o ad Est, per l’Italia (e quindi i relativi poteri-settori) significhi creare delle frizioni e non solo con gli americani, naturalmente.
 
Questo insieme di relazioni sgradite si inserisce poi in un quadro più generale.
Sullo sfondo della nostra dimensione instabile e di accelerazione verso gli ultimi fuochi del Governo, per i dominanti sussiste la necessità di po
rtare definitivamente il Paese all’interno di un più o meno prestabilito disegno economico-finanziario, implicante l’ulteriore destrutturazione del tessuto industriale e produttivo con susseguenti colpi al mondo del lavoro e allo stato sociale.

Si è soliti definire riforme – sempre necessarie e urgenti – questo tipo di interventi.
In tal senso, questo governo è probabilmente più responsabile per ciò che non ha fatto. E non soddisfa come richiesto tale disegno.
L’indice è puntato contro Berlusconi, ma lo sguardo è rivolto al Paese.
L’Italia è sorvegliata speciale, ma servono i più fidi ascari per tenerla al guinzaglio.
Stanno per arrivare.
 
 
[1] http://www.unita.it/index.php?section=news&idNotizia=101362
[2]http://www.unita.it/news/101274/un_ricattato_potenziale_ecco_luomo_che_ci_governa
[3]http://www.partitodemocratico.it/dettaglio/104447/fb/bersani_limmagine_dellitalia_corruzione_e_crisi_sociale
[4]http://cerca.unita.it/data/PDF0115/PDF0115/text8/fork/ref/10180cy4.HTM
[5]http://cerca.unita.it/data/PDF0115/PDF0115/text9/fork/ref/10192ed3.HTM?key=Sudan&first=1&orderby=1&mf=07&yf=2010&df=11&mt=07&yt=2010&dt=11