LA DELEGITTIMAZIONE DELL’OCCIDENTE di A.F.

Da questa prima parte dell’intervento di guerra contro la Gran Jamahirya di Libia, abbiamo fin’ora raccolto diverse certezze, tra le tante, troppe incertezze che hanno aleggiato, e che tutt’ora sostano, intorno alla generale vicenda di contrapposizione tra le principali potenze Nato (Usa, GB, Francia) e il legittimo governo di Gheddafi. Ferma restando la distorsione della realtà con cui sono state compilate le prove fin qui addotte (presenza di fosse comuni, numero di vittime delle repressioni, quantità degli insorti), per costruire fittiziamente uno scenario da guerra civile che legittimasse la richiesta di intervenire, di fronte al Consiglio di Sicurezza e all’opinione pubblica, ciò che politicamente emerge da questo grottesco e drammatico “primo tempo”, che ha visto l’Onu mantenere, almeno formalmente, il coordinamento delle operazioni, è un insieme di certezze che pongono ancora una volta in evidenza il contesto di criminalità e manipolazione politico-mediatica in cui si muovono le potenze occidentali. Anzitutto, la Risoluzione 1973 dell’Onu, che prevedeva l’istituzione di una no-fly-zone sui cieli libici, non autorizzava in alcun modo, tanto meno in modo esplicito, alcun raid aereo sulle aree urbane, limitandosi ad un indiretto riferimento agli obiettivi militari e strategici (in tal caso, velivoli e mezzi che in qualche modo potessero violare l’ordine imposto dalla no-fly-zone). In secondo luogo, essa non autorizzava nessun ulteriore sviluppo unilaterale, nel consiglio di guerra andato in scena due giorni dopo a Parigi, e tanto meno il passaggio successivo delle operazioni sotto l’egida della Nato. Sin da subito, gli Stati Uniti, hanno avviato pesantissimi bombardamenti sull’area di Tripoli, con 110 missili tomahawk a corto-medio raggio, che, stando alle prime comparazioni tecniche, contengono, com’è noto, un ordigno nucleare W-80 da 200 chilotoni. Poco dopo sono cominciati i raid aerei britannici, francesi ed americani, mentre il comando delle operazioni veniva frettolosamente spostato – per la gioia del prode Frattini – da Stoccarda a Capodichino. Ora, il comando statunitense di Stoccarda è la sede internazionale dell’Africom, un organismo militare creato dall’amministrazione americana nel 2008, promosso da George Bush e dall’attuale Segretario alla Difesa Robert Gates, e tutt’ora sostenuto dall’amministrazione Obama. Si tratta di un insieme di quartier generali, aeroporti militari e comandi dell’esercito, situati in varie zone strategiche all’interno del gigantesco territorio africano. Il fatto che gli Stati Uniti avessero inizialmente previsto proprio l’utilizzo del quartier generale di Stoccarda, come punto di coordinamento delle operazioni militari, lascia poco spazio al dubbio sulla natura dell’intervento. Giusto il tempo di far felice il prode Ministro degli Esteri italiano, per poi richiedere immediatamente il passaggio del testimone del comando delle operazioni alla Nato, che ora può avvantaggiarsi di uno scenario tutto in discesa, dopo che le stesse potenze coinvolte hanno messo fuori uso, sotto l’egida delle Nazioni Unite, buona parte del potenziale strategico della Repubblica di Libia. L’altra certezza riguarda il consenso globale (in epoca di globalizzazione, dovrebbe interessare il consenso del pianeta intero, o no??), che riduce notevolmente le dimensioni stratosferiche con cui fino ad oggi numerosi politicanti dei paesi occidentali si sono riempiti la bocca. In virtù del principio di rappresentanza, è presunto (nella prassi tecnica) e presumibile (nella pratica quotidiana) che gli emissari in sede Onu dei rispettivi Paesi membri siano la voce non solo del proprio governo centrale di riferimento, ma anche della popolazione da esso governata: dal momento che ad astenersi, dunque a non condividere la strategia proposta in sede Onu, sono stati Cina, India, Russia, Brasile e Germania, è dunque facile dedurre che i governi di ben tre miliardi circa di abitanti non legittimano l’intervento Onu. Ma, per le magiche numerologie della diplomazia “de noantri”, in pieno stile statunitense, il Gabon e la Bosnia, evidentemente hanno lo stesso peso geopolitico ed internazionale della Russia e della Cina, e dunque il loro voto “vale uno”. Perciò: “10 a 5. Zitti e muti!”. Dopo le prime operazioni, per di più, il dissenso internazionale per le modalità di svolgimento è persino aumentato, tanto da causare la reazione sconcertata della Cina, ma soprattutto una crisi a Mosca, dove ormai Medvedev, scontratosi con Putin (che aveva parlato di “crociata medievale contro la Libia” da una fabbrica della Russia… luoghi dove l’aria è ancora quella buona di una volta, a quanto pare) è stato già marchiato a fuoco, da 4/5 dell’opinione pubblica nazionale, come l’ennesima “quinta colonna”, e, speriamo, possa presto fare le valigie per una ridente località siberiana, magari nella cella del penitenziario di Stato dell’Oblast di Cita, assieme ad un potenziale “collega” come il criminale internazionale Mikhail Khodorkovskij, difeso dalla medesima indecifrabile logica dei “diritti umani” che l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno preparato per tutti noi. Si salvi chi può.