LA FAME NEL MONDO: DALLA RIVOLUZIONE VERDE AI DERIVATI

di G. Duchini                                     

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Sono passati circa 60 anni dalla pubblicazione della “Geografia della Fame” di Josuè de Castro (brasiliano e fondatore della Fao) in cui si descrivevano, agli attoniti lettori europei, gli enormi strati della popolazione mondiale sotto il morso della fame; il capitolo più inatteso e sorprendente, per coloro che vedevano negli Usa la società del benessere, fu la malnutrizione e l’indigenza estesa a milioni di persone, negli slums, nei ghetti urbani delle grandi città americane. Venti anni dopo, nel 1971, Josuè de Castro, in una edizione rinnovata del suo libro, constatò che la situazione della fame nel mondo non era molto cambiata, anzi per certi aspetti si era aggravata. E’ su quest’ultimo aspetto dell’aggravamento nutrizionale che le grandi società finanziarie Usa (Fondazione Ford, Rockfeller,..) intervennero, coadiuvate dal Fmi e dalla Banca Mondiale, per una soluzione del problema alimentare nel mondo, con la cosiddetta “Rivoluzione Verde;” si trattò in pratica di un’idea di sviluppo accelerato del Terzo Mondo attraverso interventi tecnici che si sarebbero basati sul principio dell’accrescimento di rendimenti attraverso una selezione di sementi adattate al clima tropicale (specialmente per quanto riguarda il grano ed il riso), con una intensa applicazione di fertilizzanti e sistemi di irrigazione. Dall’idea produttivistica della “Rivoluzione verde” si passò all’ideologia neomalthusiana del “limiti dello Sviluppo” del “Mit” (Massachuttes Istitute of Technology), in una “fine della crescita” ipotizzata dal gruppo attraverso un controllo demografico mondiale;  due  politiche convergenti nell’idea comune di una crescita attraverso un controllo dell’offerta alimentare atta a regolare, nel contempo, la domanda e con essa la risoluzione dei problemi della malnutrizione.

      Nelle strategie politiche imperiali Usa, un aspetto rilevante è stato occupato dal ferreo controllo alimentare fin dalla fine della seconda guerra mondiale, con pelose “mani tese,” non senza disdegnare aperture ideologiche ai “Terzomondosti” del sottosviluppo se non altro  a contrasto dei movimenti di liberazione (sollecitati e finanziati dai paesi dell’Est, Urss in primis) e protrattisi quest’ultimi fino alla implosione  del Socialismo reale, con la caduta del muro di Berlino nel 1989. Tale  caduta ha (ri)aperto nuove campagne ideologiche posizionando altri limiti e barriere allo sviluppo cercando di coinvolgere questa volta  i  paesi del Mondo intero (ovviamente Usa esclusa), in nuove catene, con inviluppi ideologici (vedi “Decrescita”) diventate nel tempo, vere e proprie assonanze ideologiche del mitico “Mit” (il quale, come si può immaginare, agisce su commissione): un fiume carsico alimentato dal caotico mondo, impropriamente chiamato “Ecologismo.”  In tutto questo,  Al Gore (Nobel per la pace) ha potuto issare  più in alto di tutti, la nobile bandiera dell’Ambientalismo,  “per gli sforzi di costruire e diffondere una maggiore conoscenza di origine antropica del cambiamento climatico, e gettare le basi per le misure che sono necessarie a contrastare tale cambiamento,” attraverso le nuovi fonti (produzioni) di energie rinnovabili onde tentare di ridurre il riscaldamento del pianeta derivante dall’innalzamento del biossido di carbonio e di altri gas a effetto serra.

    I corposi interessi finanziari di Al Gore (si ricorda che è Presidente del vincente canale televisivo Usa “Emmy Award,” Direttore di “Apple,” socio  della grande società ambientalista “kleiner Perkins..,) in sempre maggiore espansione, si intrecciano in modo perverso con le bandiere ambientaliste, le quali sventolano per ribadire l’idea che il “bioetanolo” è meno inquinante della benzina (si ricorda che il bioetanolo è un  derivato dalle biomasse dei cereali, che miscelato con la  benzina è  consumato in misura sempre più crescente in Usa, RegnoUnito,  Brasile..) con ciò aprendo una corsa drammatica ad ulteriori sottrazioni di cereali destinati all’alimentazione mondiale, mettendo a rischio cento milioni di persone, con spinte inflazioniste sui prezzi dei beni primari (pane, pasta) base fondamentale di gran parte dell’alimentazione umana e animale (si ricorda, a questo proposito, che per produrre un litro di biodiesel occorrono l’equivalente di circa 4000 litri di acqua ed un ettaro di terra).

    Ma l’ambientalismo d’accatto auspica su tutti i giornali della sinistra (Liberazione, Manifesto,…) un ritorno alla piccola agricoltura locale mentre le grandi multinazionali Usa (Monsanto,Cargill,Generall Mills..) continuano a mettere a coltura estensiva i terreni, moltiplicando produttività e profitti; i governi nazionali, soprattutto nelle zone più povere del mondo, convincono i contadini ad adattare i loro piccoli terreni in monocolture intensive e nel contempo  ad avere buoni rapporti con le multinazionali delle granaie (Usa).

     La Banca Mondiale ed Il Fmi, a marchio Usa, hanno contribuito a smantellare i sistemi agricoli regionali, finanziando nel mondo qualsiasi progetto che servisse a tale scopo, finanche all’imposizione in vincoli dei bilanci pubblici finalizzati al finanziamento di tutte  le opere pubbliche (acquedotti,  strade, privatizzazione delle acque..) che andassero nella stessa direzione;  un processo circolare ben consistente e consolidato in un intreccio composito di “finanziario-agricolo-ambientalista” sviluppatosi in questi ultimi decenni, non senza la solita ciliegina sulla torta: i Fondi pensione ed i Fondi comuni hanno investito in modo massiccio in derivati nel settore alimentare, guadagnando sul rialzo dei prezzi.  Speculano e fanno profitti ma questo, in fin dei conti, è il loro mestiere.

           

      

   

G.D. maggio 08