La Fiat tra giolittismo e fascismo

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La vicenda storica della Fiat dentro la formazione sociale italiana costituisce un ottimo angolo visuale per cogliere l’intreccio tra apparati statali, e gli agenti strategici politici che li indirizzano, con gli agenti strategici economici. “Il fondatore della Fiat, Giovanni Agnelli, soleva esprimere tale linea di condotta con la massima ‘Noi industriali siamo ministeriali per definizione.”1
Le note che seguono cercano di sostanziare mediante documentazione storica, le indicazioni lagrassiane circa il carattere antinazionale della linea di condotta di questa impresa, e di come le azioni degli agenti del capitale (economici o politici) svolgano sempre una dimensione profondamente politica mascherata dietro l’apparenza della superficie economica
1.La preferenza di Agnelli per Giolitti.
Giolitti “era convinto che la crescita dei salari nell’industria svolgesse una funzione positiva ampliando la domanda sul mercato e favorendo l’industrializzazione, e su questa ipotesi fondava la propria linea di ‘collaborazione di classe’ con le organizzazioni dei lavoratori. […] si appoggiò sempre sulla grande industria protetta, e finalizzò l’azione dello Stato al sostegno ed allo sviluppo dei settori industriali più forti. La grande industria pesante e armatoriale, la nuova industria leggera, alcuni settori del movimento operaio furono dunque le forze eterogenee … che costituirono la base sociale del suo progetto. Esso si basava su un duplice patto: sociale (tra imprenditori e operai) e politico (tra governo e socialisti), e presupponeva, accanto ad una sostanziale parlamentarizzazione del conflitto, un contemporaneo rafforzamento della presenza dello Stato nella società in funzione di mediazione e di intervento. ”2
Penso sia utile riportare la riflessione del 1922 che Togliatti esponeva in un rapporto per l’Internazionale comunista, per mostrare la differenza di quando i dirigenti comunisti pensavano teoricamente e di quale giudizio politico davano sul centro(sinistra) giolittiano. Egli nota il cambio di tattica dello Stato italiano rispetto al periodo precedente nel rapporto con i dominati perché dalla fine dell’Ottocento “si cercò …di assorbire, di attrarre nell’orbita dello Stato e quindi di rendere innocui gli istituti creati dagli operai industriali e dai contadini per combattere la lotta di classe.”3 E questo cambiamento tattico dei vertici dello Stato italiano “trova in Giovanni Giolitti l’uomo politico che comprende quale può essere la sua missione di conservazione politica e di coesione sociale e tenta di impostare su di essa tutto un piano di governo rivolto a salvare lo Stato dalla rovina e dalla minaccia se le masse, risvegliate dalla propaganda sovversiva, oltre a non aderire ai suoi organismi, si rivoltano contro di essi. Il tentativo giolittiano lascia però intatte le basi tradizionali dello Stato stesso, cioè l’alleanza fra il parassitismo industriale del Nord e le camorre del Mezzogiorno… Sotto i successivi governi Giolitti si hanno non solo i più numerosi e sanguinosi eccidi proletari, ma anche le tipiche elezioni italiane condotte per intere provincie … con sistemi di scandalosa violenza. Ciò non toglie che in pari tempo lo stesso capo del governo curi attentamente lo sviluppo del riformismo socialista, svolgendo presso i capi socialisti una sistematica opera di corruzione e cerchi di attrarre nell’orbita della legalità, cioè di collocare nel quadro dello Stato borghese, gli organismi della lotta di
1 Rossi ‘I padroni del vapore. La collaborazione fascismo-Confindustria durante il ventennio.’ Kaos edizioni pag 69
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Ortoleva,Revelli ‘Storia dell’età contemporanea.’ Bruno Mondadori pag 346
3 Togliatti ‘Sul fascismo.’ Laterza pag 8
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classe (sindacati, cooperative, ecc.) togliendo ogni capacità di sovvertire l’ordine tradizionale della società italiana.”4
I moventi per l’opzione della Fiat per il centro(sinistra) guidato da Giolitti (che guidò tre ministeri quasi ininterrottamente da novembre 1903 al marzo 1914 sono bene illustrati da fatti esemplificativi come quelli qui sotto riportati: “Il 23 giugno 1908 Giovanni Agnelli (…) divenuto dal 1906, a seguito di un aumento di capitale, azionista di maggioranza della Fiat, venne denunciato dal questore di Torino per “illecita coalizione, aggiotaggio in borsa e falsi in bilancio”. Nel rapporto dell’autorità di pubblica sicurezza Agnelli veniva segnalato come il maggiore indiziato delle manovre fraudolente in borsa che avevano turbato il mercato dei valori e arrecato danni rilevanti ai portatori di azioni. I mezzi fraudolenti consistevano nell’avere provocato nel 1905-1906 enormi ed ingiustificati rialzi delle azioni Fiat, sia col suddividere le primitive azioni, sia col porre dal marzo 1906 in liquidazione la Fiat per ricostruirla immediatamente dopo con un moltiplicato numero di azioni, sia con l’ingiustificato assorbimento dello stabilimento Ansaldo. Il rapporto di questura proseguiva affermando che Agnelli aveva dichiarato nel biennio del 1906 utili consistenti che furono poi distribuiti nel 1907, epoca nella quale la Fiat si trovava già in una crisi che la portò sull’orlo del fallimento.
Il capo del governo di allora Giolitti vegliava sul destino di Agnelli, al quale nel 1907 aveva concesso la croce di cavaliere al merito del lavoro. Il 29 novembre 1908 lo stesso ministro della giustizia Orlando intervenne, con una pesante ingerenza nei confronti della magistratura torinese, affermando che “un’azione penale nei confronti di Agnelli avrebbe avuto conseguenze negative sulla nascente industria nazionale, in particolare piemontese”: regione d’origine del primo ministro Giolitti. A un anno dalla denuncia il perito nominato dal tribunale, professor Pietro Astuti, confermava gli indizi della questura affermando che le scritture stipulate da Agnelli nel 1906 occultavano operazioni personali a scapito della società, e che le operazioni di borsa dovevano configurarsi come un vero e proprio aggiotaggio al fine di procurare fortissimi e ingiustificati profitti. Il 23 agosto 1909 Agnelli venne rinviato a giudizio per rispondere di aggiotaggio e truffa. Con la benevola attenzione del ministro Orlando e con ricorsi vari Agnelli riuscì a rinviare il processo sino al 21 giugno 1911, mentre già nel 1909, dopo le dimissioni, era tornato all’incarico di amministratore delegato della Fiat. Il 22 maggio 1912 il tribunale mandava assolto Agnelli e a nulla valse il ricorso del pubblico ministero, il quale nel giudizio di secondo grado si trovò di fronte, come difensore di Agnelli, l’ex ministro Orlando e come testimoni a favore di Agnelli i dirigenti della Banca commerciale di Milano, Vittorio Roll e Lodovico Toeplitz. In seguito, durante la fase di preparazione della prima guerra mondiale, la Fiat venne favorita dal governo e ricevette moltissime commesse militari anche dall’estero. Agnelli ottenne dal governo che Torino venisse dichiarata zona di guerra. Gli operai vennero militarizzati e persero le pur minime tutele sindacali, il diritto di sciopero e furono sottoposti al codice militare di guerra. Con le forniture di guerra la Fiat si avviava a divenire una grande industria di livello europeo, la famiglia Agnelli ne deteneva ormai la maggioranza delle azioni di controllo.”’
La preferenza per la forma democratica dello Stato, quando possibile, e del centro(sinistra) come formula governativa auspicabile è confermata dal fatto che anche prima di auspicare l’avvento della forma autoritaria dello Stato ed appoggiare la soluzione governativa mussoliniana “E’ certo …che Agnelli appoggiò l’iniziativa assunta in extremis dal direttivo della Confindustria per esortare Giolitti a riprendere la guida del governo.”’
4 Idem pag 8
5 Cipriani Il vizietto degli Agnelli in www.fondazionecipriani.it/Scritti/agnelli.html
6 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 307
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La Fiat e l’avvento del fascismo.
Ma la forma democratica e la forma autoritaria dello Stato sono complementari (due forme possibili del dominio di classe) e la prevalenza dell’una o dell’altra dipende dalle congiunture storico-politiche del configurarsi dell’ordinata o meno riproduzione di una formazione sociale capitalistica particolare. Secondo il suo biografo, per quanto riguarda Agnelli e il gruppo dirigente Fiat “a livello generale una scelta di fondo [a favore dell’opzione autoritaria impersonata da Mussolini e dal movimento fascista] era già avvenuta tra il 1921 e il 1922, nella misura in cui la classe politica non aveva saputo negli anni precedenti precostituire le condizioni per un’integrazione del proletariato in uno Stato democratico-borghese”7 Infatti “Alla vigilia della ‘marcia su Roma’, i giornali controllati da Agnelli (che sono ormai molti) si schierano apertamente per Mussolini. … Il 28 ottobre 1922, Agnelli è tra i primoi a inviare un telegramma di felicitazioni a Mussolini e, presto, gli chiede ingenuamente di smobilitare le squadracce e d i ‘mettere un freno ai ras di provincia’ (..), temendo siano controproducenti. Subito copo,…,riconosce ai sindacati fascisti, che non avrebbero i requisiti di legge, il diritto a partecipare alle elezioni della commissione interna.”8
Successivamente : “Nel giugno del 1924 risultò che il sen. Agnelli era stato anche uno dei principali finanziatori del ‘Corriere Italiano’, il quotidiano diretto dal famigerato Filippo Filippelli, complice della banda che aveva assassinato Giacomo Matteotti.”9 Proprio a questo proposito un deputato del PPI osservava acutamente :”Quando i giornali pubblicarono che il ‘Corriere Italiano’ e il suo degno direttore, avv. Filippelli, avevano consumato in un anno circa dieci milioni e che gran parte di questi milioni li avevano regalati i signori Odero, Bocciardo e Agnelli, il piccolo borghese e proletario italiano,…,si sono domandati stupefatti : ‘O perché mai questi signori hanno regalato al ‘Corriere Italiano’ dieci milioni?’ Dopo aver spiegato come la protezione doganale e il trust siderurgico consentivano ai produttori nazionali di vendere, sul mercato interno, a 900 e a 1000 lire la tonnellata il ferro che avremmo potuto ottenere dall’esterno a 600-800 lire … concludeva ‘Il governo è il padrone dei dazi. E solo il governo, se vuole, può impedire i trust. Da lui quindi dipende la cuccagna siderurgica, ch’esso può, da un momento all’altro, far cessare. E allora si comprende come Odero, Bocciardo e Agnelli non abbiano osato dire di no all’on. Mussolini quando li ha pregati di finanziare il ‘Corriere Italiano’ e abbiano versato una decina di milioni.”10
Dopo il delitto Matteotti “Quando in Parlamento si arriverà al voto, quello di Agnelli sarà a favore di Mussolini.”11
La Fiat ed i sui rapporti con gli apparati statali durante il fascismo.
Le modalità e le tecniche di pressione verso i governi (di qualsiasi segno siano) mostrano una certa continuità: dopo l’avvento della forma autoritaria dello Stato “Agnelli,….,punta subito sullo spirito nazionalista di Mussolini, insofferente all’invadenza di prodotti stranieri, vista come una mortificazione dell’orgoglio nazionale. E Mussolini avoca a sé ogni decisione in materia, bloccando i piani della Ford ‘che non può pretendere di rifarsi in
7 Castronovo ‘Agenlli’ UTET pag 372
8 Moscato ‘Il capitalismo reale’ Teti editore pag 154
9 Rossi ‘I padroni del vapore. La collaborazione fascismo-Confindustria durante il ventennio.’ Kaos edizioni pag 81
10 Rossi ‘I padroni del vapore. La collaborazione fascismo-Confindustria durante il ventennio.’ Kaos edizioni pag 341
11 D’Ori Storia di una dinastia.Gli Agnelli e la Fiat.’ Editori Riuniti pag 133
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Europa delle perdite che subisce a casa sua’. Anzi chiude d’autorità —per questioni ‘d‘ordine nazionale’—gli impianti che il gruppo americano aveva già nel porto di Trieste. Gli azionisti Fiat salutano con gioia questa decisione, che blocca anche un altro tentativo della General Motors di installarsi in Italia ‘considerandola alla stregua di una colonia’, e il 6 marzo del 1930 votano all’unanimità la proposta di ricordare la decisione del ‘duce’ con un epigrafe a caratteri d’oro collocata nell’atri principale del Lingotto.”12 Oppure in altra circostanza “la Fiat si rivolge a Mussolini avvertendo che, in mancanza di nuovi e ancora più energici provvedimenti contro la concorrenza estera, avrebbe dovuto adottare altre ‘gravi e dolorose decisioni’ sul piano dell’occupazione, ottiene subito che i dazi doganali sulle autovetture estere vengano aumentati del 130%”13 ed oltre a ciò “insistesse adesso col governo per ottenere sia un alleggerimento della pressione fiscale sugli utenti sia ulteriori facilitazioni al credito automobilistico.”14
Addirittura si rimane sorpresi dalla coincidenza al dettaglio delle misure con le richieste fatte ai successivi governi dopo il ritorno della forma democratica dello Stato. Infatti, a più riprese in rapporto alle contingenze, durante il periodo fascista secondo la Fiat “il governo avrebbe dovuto ridurre gli oneri fiscali gravanti sui carburanti, combustibili e lubrificanti per uso automobilistico; consentire la detrazione del prezzo di acquisto della vettura dalla cifra imponibile ai fini delle imposte dirette a carico di ogni singolo acquirente; abolire la tassa di circolazione per tutte le vetture nuove immatricolate… Alle autorità ministeriali si chiedeva infine di ‘promuovere particolari facilitazioni al fine di consentirne il possesso a strati sempre più vasti dei propri dipendenti, sia acquistando vetture in proprio e rateandone l’ammontare, sia propagandando e promuovendo l’adozione di tale criterio presso tutti gli Enti Parastatali, le Municipalità…”15
Si spiega quindi perché, durante la visita di Mussolini alla Fiat il 24 ottobre 1932, Agnelli a fianco del duce pronunciò le seguente parole: “Qui dinanzi a Voi, stanno venticinquemila lavoratori della Fiat. [ …] Una fiera commozione pervade questa moltitudine del lavoro …la commozione che tutti sentiamo nel rivedervi al Lingotto, al compiersi del primo decennio della Vostra sublime fatica. Questo sentimento che ogni vero italiano nutre per Voi è fatto di ammirazione e gratitudine. Ammirazione per la Vostra personalità dominatrice, e gratitudine per la formidabile opera di governo con la quale avete rinnovato in ogni campo della vita nazionale e internazionale il volto e il destino del Paese. ”16
4. La Fiat e il colpo di Stato del 25 luglio 1943
Già nel corso della dell’apogeo del fascismo “tendenze contrastanti all’interno della classe industriale italiana vennero alla luce tra il 1936 e il 1937, in coincidenza con le scelte fondamentali della politica estera fascista: la prima, facente capo al mondo finanziario e ai principali industriali lombardi e veneti, rappresentati sostanzialmente da Volpi, favorevoli ad una ripresa su più ampia scala di certi solidi e intimi rapporti dell’anteguerra con la Germania; la seconda (di cui la Fiat ebbe a costituire la punta più significativa ….), intesa ad assecondare la continuazione del ‘dialogo’ con gli ambienti economici americani, inaugurato all’epoca della stabilizzazione della lira, e, in second’ordine con quelli inglesi.”17
12 ‘Cento… e uno anni di Fiat.’ (a cura di Antonio Moscato) pag 27 Massari editore
13 Idem pa g 27
14 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 405
15 Idem pag 559
16 Dal periodico ufficiale della Confindustria ‘L’Oranizzazione Industriale’ : fonte Rossi ‘I padroni del vapore. La collaborazione fascismo-Confindustria durante il ventennio.’ Kaos edizioni pag 339-340
17 Castronovo ‘Il potere economico e il fascismo’ pag 81-82 in AAVV ‘Fascismo e società italiana’ Einaudi
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Ma a lfine dio comprendere il mutamento delle classi dominanti italiane nel mezzo della seconda guerra mondiale è paradigmatico seguire i comportamenti dei vertici di quella che sarebbe divenuta il cuore della lagrassiana Grande Finanza e Industria Decotta, la Fiat, in quanto simbolo dei “rapporti tra grande industria e fascismo: un accordo di sostanza cementato dalla soppressione dei conflitti di classe, dalla costruzione di una base di massa, dalla protezione e dalle sovvenzioni accordate. [ … ] Tra la fine del 1941 e l’estate del 1942 si dà la piena disponibilità della Fiat a impegnarsi direttamente nell’intensificazione della produzione bellica per ovviare alle deficienze dell’esercito e della burocrazia e il raccordo con le direttive espansionistiche dell’imperialismo nazista. Solo i bombardamenti dell’autunno-inverno 1942 manderanno in fumo, non solo metaforicamente, l’iniziativa patriottica dell’oligopolio torinese, volta a raddrizzare la situazione deficitaria dell’economia di guerra. Ma non si giungerà ancora al divorzio dal regime: Agnelli e Valletta ostenteranno un atteggiamento ‘apolitico’, di mera difesa degli interessi della ditta, richiedendo, per le perdite subite, congrui risarcimenti al governo fascista. Ci vorranno gli scioperi di marzo 1943, che fanno saltare gli equilibri sociali su cui aveva poggiato il ventennale patto di alleanza tra grande industria e fascismo … per indurre i vertici Fiat a caldeggiare cautamente la prospettiva, condivisa dagli altri esponenti della classe dirigente economica e politica e dall’alta burocrazia, di un siluramento di Mussolini. Gioveranno a questo mutato orientamento da un lato il riannodarsi dei fili con le grandi concentrazioni economiche internazionali, specialmente americane, e dall’altro i rapporti con gli ambienti antifascisti moderati [quelli che piacciono tanto a Fini… Nota mia] e, anche tramite questi, con la corte e lo stesso Badoglio.”1 8
Quindi se ne desume che “Il divorzio fra potere economico e fascismo sarebbe avvenuto soltanto ormai a guerra persa, tra l’inverno del 1942 e la primavera del 1943. […] Saranno allora Donegani, Pirelli e Volpi i primi a muoversi in direzione di un approccio con gli Alleati onde separare le sorti e le responsabilità della grande borghesia economica da quelle del regime fascista, prima che la dittatura fosse travolta definitivamente; e il gruppo di comando della Fiat, in particolare, ad appoggiare il colpo di Stato del 25 luglio 1943 e il tentativo di restaurazione monarchica, oltre che assecondare nel corso della Resistenza (significativa è ancora una volta la vicenda Fiat) i revenants della classe liberale prefascista e i gruppi moderati dell’antifascismo e i governi costituiti al Sud per ridurre lo spazio di manovra delle forze di sinistra e insabbiare i tentativi di rinnovamento delle istituzioni nella prospettiva della crisi postbellica. Furono, pertanto, ancora una volta o grandi gruppi economici (già collegati in vario modo con le forti centrali finanziarie e industriali americane e inglesi…) a giocare un ruolo importante nel successo della restaurazione moderata… ”1
Nella fattispecie della Fiat si tenga presente che:
intrecciò rapporti con la monarchia in vista della sostituzione del personale politico fascista (ad esempio attraverso Maria Josè di Savoia)20;
attivò un canale di contatto con gli inglesi tramite il rappresentante della banca J.P. Morgan nel suo Consiglio d’Amministrazione (incarico affidato dal ministero degli esteri a guida fascista in concerto con il Vaticano) per una pace separata;21
18 ‘Gallerano ‘Fascismo : la caduta.’ In ‘Il mondo contemporaneo : Storia d’Italia.’ Vol. 2° pag 494
19 Castronovo cit. pag 87-88
20 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 620
21 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 621
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c) saggiò attraverso la sua rappresentanza commerciale in Svizzera l’atteggiamento americano (assicurando la disponibilità al boicottaggio delle forniture di tungsteno alla germani).
Quindi a ragion veduta (seppur inficiata da una lettura ancora marcatamente economicistica ) un’importante ricerca storica collettiva promossa alla fine degli anni ’60 dall’Istituto della resistenza, a proposito dell’atteggiamento di Agnelli, assunto come emblematico delle classi dominanti italiane a proposito del colpo di Stato monarchico del 25 luglio 1943, afferma che “Il grande industriale non ha bisogno di ispirarsi ad una logica direttamente e strettamente politica … Quel che conta,…,è la difesa del profitto e, a un tempo, dell’ assetto sociale e delle gerarchie di classe. E’ una logica, a suo modo, di lungo periodo, dalla quale nasce l’appoggio implicito e patriottico a Badoglio nei quarantacinque giorni. A cui si accompagnano ammiccamentI e blandizie ai nuovi partiti”.22
5. La Fiat, la resistenza , i comunisti.
In generale dopo il colpo di Stato monarchico-miitare la politica della dirigenza Fiat era a tutto campo e guardava in tutte le direzioni (ovviamente sottinteso, favorevoli al proprio interesse): “Insomma, quello che i massimi responsabili della Fiat stavano conducendo era un gioco complesso e su più tavoli: con i tedeschi, con gli americani, ma anche in altre forme con gli inglesi, con il governo del Sud, con le varie componenti del Cln, nonché con ambienti della Chiesa e del Vaticano.”23
In particolare “sia Agnelli sia Valletta sapevano perfettamente che per i partiti di sinistra del Cln la lotta partigiana non era soltanto una guerra di liberazione nazionale, ma avrebbe dovuto porre le premesse, dopo il crollo del regime nazifascista, se non di un moto rivoluzionario, di un radicale cambiamento dell’assetto economico e sociale. E che nella loro ottica la Fiat, in quanto considerata la roccaforte per eccellenza del sistema, avrebbe dovuto essere smantellata per prima.” Per questo tesero a “rafforzare quelle formazioni partigiane, come l’Organizzazione Franchi e gli Autonomi ,garanti di una linea politica liberale e moderata.”24
Questa linea politica era integrata da azioni intraprese su un altro piano, che emerge dalla relazione predisposta nel 1944 Lowering Hill del PWB per all’ambasciatore americano in Italia secondo al quale “Alcuni dei più importanti industriali dell’Italia del Nord stanno cominciando ad organizzarsi autonomamente allo scopo di combattere il comunismo. Un primo incontro dei rappresentanti industriali di Milano, Torino e Genova ha avuto luogo il
16 e 17 giugno a Torino. Per Torino: il dottor P. Roccatagliata, proprietario della ditta Nebiolo, uno dei più grandi impianti manifatturieri per macchinari tipografici in Europa, Valletta, in rappresentanza degli interessi di Agnelli (Fiat). Per Milano P. Pirelli,ingegnere Falck, in rappresentanza della Falck l’ndustria dell’acciaio. [ …] Durante l’incontro è stato deciso che il comunismo sarà combattuto a) con un’intensa campagna di stampa e propaganda che includa la corruzione di leaders e scrittori comunisti, b) con le armi.” 25
22 Gallerano,Ganapini,Legnani, Salvati ‘Crisi di regime e crisi sociale.’ Pag 68 in AAVV ‘Operai e contadini nella crisi italian del 1943/1944.’ Feltrinelli editore
23 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 657
24 Castronovo ‘Fiat 1899-1999 Un secolo di storia italiana.’ Rizzoli pag 657
25 In Faenza,Fini ‘Gli americani in Italia.’ Feltrinelli pag. 146
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