LA PRATICA VALE MENO DELLA GRAMMATICA, di GLG

gianfranco

Tutti conoscono il detto: “la pratica val più della grammatica”. In realtà, se si parla una lingua senza conoscerne la grammatica, non solo la comunicazione è scarna ma si può prestare a fraintendimenti. Conoscere la grammatica è molto meglio; fra l’altro si è in grado di trasmettere informazioni, spiegazioni, ecc. assai più complesse ed esaurienti. E così pure avviene nei rapporti tra la teoria e la pratica scientifica o economica o politica, ecc. che a questa segue. Un dato processo in atto in qualsiasi ambito della vita (sociale o individuale) non dovrebbe mai svilupparsi a casaccio. Andrebbe invece sempre analizzato senza fretta, con la massima attenzione; se ne traggono così determinate ipotesi relative alla sua dinamica, che costruiscono una teoria della stessa atta a promuovere attività pratiche tendenti ad intervenire in essa, a promuoverla, a frenarla, a modificare il suo orientamento, ecc. In definitiva, quella teoria verrà poi verificata o falsificata e si procederà oltre. Qualcuno obietterà che le ipotesi devono nascere da una data pratica effettuata in precedenza. Senza dubbio; solo che dalla pratica immediata, e non sottoposta a ben ponderata e ripetuta riflessione del pensiero, nascono azioni improvvisate, magari improvvide, dense di effetti negativi forse non più rimediabili. Solo una riflessione approfondita e magari ripetuta – con una serie (non infinita, ma nemmeno sullo stile dello stimolo/risposta immediata) di andate e ritorni dall’attività pratica alle soluzioni pensate per agire nel campo interessato da quella pratica – consente di accrescere l’efficacia dell’intervento nella situazione data. L’immediatezza, appunto lo stimolo/risposta, può essere necessario in date contingenze specifiche (ad es. nella guida di un’auto, trovandosi di fronte ad un ostacolo imprevisto), ma conduce fin troppo spesso a risultati disastrosi o quanto meno assai carenti.
Qui di seguito faccio un esempio, indubbiamente immaginario, per chiarire il senso di quanto sto affermando. Ed è in fondo un invito – non solo, ma soprattutto, rivolto ai più giovani – a non voler coltivare e solo rafforzare la cosiddetta “prontezza di riflessi”, vista sempre più spesso come una prerogativa fondamentale dell’agire umano. No, lo è invece proprio in un numero abbastanza limitato di azioni tipiche di noi esseri umani; differente è senza dubbio il caso delle altre specie animali. Noi abbiamo questa “strana” prerogativa denominata pensiero, ragione, ecc. e con questa abbiamo anche molto ridotto le funzioni della cosiddetta “intuizione”, che comunque non credo proprio abbia una potenza superiore alla “ragione riflettente”, che va elaborando quelle che definiamo ipotesi (teoriche) al fine di guidare più efficacemente il nostro agire pratico. Si lasci quindi perdere il rimbambimento legato a stare continuamente “addosso” ai mezzi informatici, ai telefonini e altri oggetti consimili. Si riprenda a pensare, a riflettere, a elaborare teorie quali guide indispensabili dei nostri interventi in questo mondo; al momento, mi sembra di vedere schiere innumerevoli di individui largamente “istintivi”; cioè incoscienti e inconsapevolmente subordinati a chi guida il nostro mondo al disfacimento.

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Il leone insegue la gazzella, tutto sommato solo per mangiarsela; perché ha fame e ha bisogno di nutrirsi. Non vi è nulla di malvagio, né vi è smania di potere nell’area animale, di cui il leone viene ritenuto, ma dagli uomini, Re. Lui non lo sa e non gliene frega nulla. Deve solo nutrirsi e semmai nutrire la leonessa e i leoncini. Ma non è questo che mi interessa di questo povero animale, cacciato per farsene trofeo con ben poco merito da animali, denominati uomini, effettivamente crudeli e privi del bisogno impellente di alimentazione. La gazzella tenta di sfuggire all’inseguimento con brusche, improvvise e in pratica continue inversioni di rotta. Il leone è veloce ma anche lei lo è. Il leone in genere segue questi rapidi cambiamenti di percorso e più o meno segue lo stesso zig zag della gazzella. Può capitare, ed infatti capita, che si stanchi prima della sua preda, che non riesca a raggiungerla; in tal caso, quest’ultima può tirare un respiro di sollievo: è salva, per questa volta non sarà mangiata.
Immaginiamo adesso che il leone venga dotato di ragione, di capacità di pensare e riflettere; non semplicemente di scrivere e parlare in internet e nei telefonini, ma proprio sia in grado di riflessione; di fermarsi, pensare e poi prendere nuove decisioni. Insomma che non segua lo schema stimolo/risposta, tipico appunto dell’inseguimento leonesco della gazzella, tipico dell’animale che non ha vero pensiero, non ha la ragione. Adesso invece il leone ne viene dotato. Occorre pur sempre che il leone insegua la gazzella, non le dia requie. Sia per stancarla (anche se si stanca pure lui), ma soprattutto per costringerla a tutte quelle inversioni di fuga. Quel leone ha però adesso la possibilità di chiedere l’intervento di un suo simile, che se ne sta invece fermo, dotato magari degli strumenti adeguati a seguire le varie fasi dell’inseguimento. Egli cercherà di capire se la gazzella si muove veramente a caso oppure se, pur inconsciamente, segue un certo schema nel suo apparentemente caotico fuggire. Cerca di studiare la frequenza temporale delle inversioni, il loro avvenire a destra o sinistra e con quale irregolarità (che a volte ha una sua regolarità), con quale angolazione vengono effettuate, ecc.
Alla fine, è facile riesca a ricostruire un certo percorso (non quello reale, solo costruito idealmente, teoricamente; quindi una teoria che non riproduce affatto la realtà, ma l’interpreta tramite costruzione pensata); magari non sarà del tutto una linea retta, anzi con alcune curve, ma insomma nettamente più breve di quella zigzagante che sta seguendo il leone cacciatore (quello dedito alla “pratica”, che per sciocchi e ignoranti val più della “grammatica”). Una linea che ovviamente – nel tempo dato e calcolato con maggiore o minore approssimazione a seconda dei casi – infine incocci la gazzella o comunque consenta di affibbiarle qualche bella artigliata cosicché essa, ferita e sanguinante, perda presto energie e divenga più facile preda. E’ ovvio, però, che occorre trasmettere al leone inseguitore gli ordini necessari ad abbandonare il suo zig zag e a seguire quella data linea più breve. Bisogna, dunque, anche costruire le reti di comunicazione delle informazioni, da fornire al “cacciatore” con sempre maggiore precisione e tempestività; altrimenti queste informazioni non servono a nulla e il lavoro del “leone pensante” è pura perdita di tempo.

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Spero sia chiaro l’intendimento di quanto scritto. La prontezza di riflessi è indispensabile in casi molto limitati di improvviso sorgere di un ostacolo, di un pericolo incombente da cui difendersi subitamente o di un obiettivo da dover colpire in pochi istanti, ecc. In linea generale, il pensiero umano riflette, impiega tempo e compie più andate e ritorni dalla e alla realtà “vista” (non sempre direttamente e a volte solo letta, come accade nei libri di storia ad es.); e ad ogni giro apporta correzioni alla costruzione di quanto è stato “visto” (sempre nel senso lato che spero sia stato compreso). Il pensiero non si accontenta di “affondare le mani” (in senso sempre figurato) nella realtà presente o passata (registrata su qualche documento) o futura (prevista); non si accontenta insomma della “bruta pratica”. Deve procedere teoricamente, cioè costruire schemi di movimento dei processi osservati, considerati, analizzati, registrati. Poi verrà applicata la costruzione teoretica alla pratica e si constaterà come funziona in vista del conseguimento di un certo risultato. Non sempre quest’ultimo è il “raggiungimento della preda”; talvolta è solo il realismo nell’interpretazione di dati accadimenti, e svolgimenti degli stessi, che consente di trovarsi “al posto giusto nel momento giusto”. Anche se è giusto solo temporaneamente e poi tutto andrà deteriorandosi e bisogna ricominciare l’iter daccapo. Comunque, un discorso continuamente aperto, di impossibile chiusura salvo cadere nell’immobilismo e nell’incapacità di afferrare, sempre imperfettamente e provvisoriamente, l’incessante movimento in cui siamo “immersi”, da cui siamo “trascinati” verso mete cangianti, provvisorie e da rivedere quindi periodicamente.
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