“LA QUARTA GUERRA MONDIALE” (di G. Gabellini)

 Se c'è un merito indubbio, tra i tanti, da riconoscere al professor Claudio Mutti, è quello di aver scelto di inserire tra le pubblicazioni della piccola ma agguerrita casa editrice "All'insegna del Veltro" molti saggi particolarmente eterodossi rispetto allo stagnante Zeitgeist contemporaneo.

Tra i numerosi titoli elencati nel catalogo, spiccano infatti i nomi di non pochi personaggi di indiscutibile valore, gente del calibro di Karl Haushofer, René Guenon, Israel Shamir, Oswald Spengler, Ruollah Khomeini, Pierre Drieu La Rochelle e tanti altri. Tra i tanti testi di indubbio valore, spicca senz'altro il saggio firmato dal prolifico e istrionico filosofo torinese Costanzo Preve, intitolato "La quarta guerra mondiale". Pensatore di formazione marxista, Preve si è sempre considerato un filosofo "divergente" rispetto all'ortodossia interpretativa che ha contribuito a fare delle idee del grande ebreo trevirese un vero è proprio oggetto di culto. In ogni caso, l'impostazione di carattere marxista propria a Preve si evince già dalle prime righe della prefazione, in cui egli ammette il proprio rammarico nel prendere atto del "revisionismo" postumo operato da molti intellettuali (Toni Nergi e Marco Revelli in primis) provenienti dalla sua stessa area culturale, che hanno immolato tutti i propri ideali "di gioventù" sull'altare del "politicamente corretto" per condannare senza appello il Ventesimo Secolo, liquidato come vero e proprio "secolo delle ideologie assassine". Preve respinge questa lettura oltranzista del recente passato ai tanti mittenti installati nelle università e nelle redazioni giornalistiche, offrendo una propria, originale riconsiderazione degli eventi. Lasciamo a lui la parola:

"Il Novecento è dipinto come il secolo maledetto delle ideologie assassine (e cioè nell'ordine nazionalismo, comunismo e fascismo), laddove è stato invece il secolo che, a partire dall'ignobile mattanza suicida della Prima Guerra Mondiale (il cui scatenamento è a mio avviso un crimine tale che i successivi crimini di Hitler, Stalin, eccetera, sono solo reati da "pretura", per usare un linguaggio da legulei), ha cercato di limitare con la politica la dinamica totalitaria dell'economia assolutizzata, dinamica totalitaria la cui imposizione è l'oggetto appunto del contendere in questa Quarta Guerra Mondiale in corso".

Preve nel suo argomentare scorrevole e brioso mette, in questo frangente, l'accento su un aspetto integralmente ignorato dai contemporanei ma che rappresenta la vera e propria chiave di volta indispensabile per comprendere la natura di questa Quarta Guerra Mondiale in pieno svolgimento, ovvero il primato dell'economia sulla politica.

Ma andiamo per ordine.

Per inquadrare efficacemente il contesto in cui maturò il primo conflitto mondiale, il filosofo torinese fa riferimento ad una illustrazione presente su un manuale di storia sovietico, che raffigura (a differenza dei testi italiani, che fanno tutt'ora cadere l'accento sull'irrilevante omicidio di Francesco Ferdinando) una congrega di "nobiluomini" (veri e propri maiali orwelliani) incappellati intenti ad appiccare il fuoco sull'Europa. L'immagine in realtà non faceva altro che sublimare la nozione leniniana di imperialismo, ossia di scontro concorrenziale tra potenze di (più o meno) pari grado, intente a contendersi la più ampia fetta di territori e (soprattutto) mercati mondiali. E su quali entità queste potenze decisero di orientare le proprie attenzioni? Su quei due imperi (Ottomano e Austro – Ungarico) che Preve definisce senza mezzi termini "benemeriti", premiando la loro capacità (in particolare l'Impero Ottomano) di aver creato, sotto un'unica egida, una società composta da mille culture, etnie e religioni che vivevano in perfetta ed armonica compenetrazione. Il resto, come si suol dire, è Storia; alle masse inglesi, tedesche e francesi, fresche di nazionalizzazione (un fenomeno analizzato egregiamente dallo storico George Mosse), che funsero da carne da cannone si aggiunsero quelle dei diseredati italiani, che pagarono prima l'interventismo propugnato in grande stile dai futuristi e in seguito la solita doppiezza dei governanti (nella fattispecie, il patto segreto siglato da Sydney Sonnino a Londra), che con il solito trucchetto voltarono le spalle agli alleati tedesco e austro – ungarico per correre in aiuto di quelli che a breve sarebbero usciti vincitori. Preve giudica con estrema severità l'atteggiamento tenuto da tutte le potenze, Italia compresa, che prima innescarono l'immane conflitto, e poi si spartirono arbitrariamente il bottino di guerra, ritagliandosi (nel senso letterale del termine) sulla carta geografica le proprie aree di influenza e infliggendo alla Germania condizioni che definire vendicative costituirebbe un eufemismo. Alcune pagine di elogi sono dedicate ai due "giganti" che tentarono in ogni modo di evidenziare la scelleratezza del conflitto, ovvero Papa Benedetto XV e (in larghissima parte) Lenin, cui Preve tributa grande rispetto intellettuale e politico.

Si arriva così alla Seconda Guerra Mondiale, che affonda diverse radici nei diktat lanciati nei confronti della Germania a Versailles. Preve suddivide il conflitto in tre sezioni temporali distinte; la prima parte si presentò più o meno come la solita guerra imperialistica, nel senso leniniano del termine, tra potenze. La seconda fase assunse fattezze più marcatamente schimittiane, in cui il “politico” (feroce opposizione tra fascismo/nazismo e comunismo) assurse a connotazione prioritaria dello scontro. La parte finale del confronto sarebbe da leggere invece, secondo Preve (come secondo chi scrive), come offensiva imperiale degli Stati Uniti sul Vecchio Continente, che portò alla completa disfatta da cui l’Europa non si è ancora ripresa. Sul piano geopolitico questa sconfitta si è materializzata con l’installazione di una miriade di basi statunitensi sul suolo europeo (con tutto ciò che la cosa comporta in termini di mancata sovranità), mentre su quello giuridico con la demolizione controllata, in cui i Processi di Norimberga funsero da detonatori,  dei pilastri su cui si era retto il diritto internazionale dalla Pace di Westfalia (1648) fino a quel momento. Al

riguardo, la penna di Preve è di una lucidità spietata:

Non si tratta di stabilire se ed in quale misura gli sconfitti di Norimberga o di Tokyo meritassero o meno la pena capitale che fu loro inflitta. Se anche esaminassimo tutte e tre le tipologie di reato (crimini di guerra, crimini contro la pace ed infine crimini contro l’umanità), ci renderemmo conto che la prima tipologia (crimini di guerra) fa parte di un insieme di regole e di principi di diritto bellico esistente da tempo, la seconda tipologia (crimini contro la pace) è eminentemente opinabile, mentre la terza (crimini contro l’umanità) è dipendente non tanto da una forma di giusnaturalismo filosofico difficilmente formalizzabile, quanto dalla volontà del vincitore ipocritamente trasformata in manifestazione della giustizia suprema. Il problema, lo ripeto, non consiste nel se e nel come i politici ed i militari tedeschi e giapponesi meritassero di essere condannati a morte e giustiziati. Se lo meritavano, lo meritavano esattamente come centin
aia di politici e di militari inglesi, americani e sovietici. Norimberga e Tokyo non avevano infatti la funzione di punire dei responsabili di eventuali crimini di guerra, contro la pace e contro l’umanità, crimini che erano stati ampiamente commessi anche dai loro giudici (Dresda, Hiroshima, Nagasaki, fosse di Katyn, espulsioni bestiali a freddo di milioni di civili, uccisione per freddo e fame di centinaia di migliaia di soldati prigionieri sconfitti in campi di prigionia ecc.) ma una funzione religiosa, e cioè la demonizzazione definitiva del vinto
”.

Concluse le riflessioni sugli scempi della Seconda Guerra Mondiale, Preve passa all’analisi della Guerra Fredda, da lui considerata Terza Guerra Mondiale, il cui inizio è, a suo parere, collocabile nell’agosto del 1945, in corrispondenza del lancio delle due atomiche sul Giappone allo stremo. La Guerra Fredda fu per Preve la massima esaltazione del “politico”, poiché si basò sull’irriducibile opposizione ideologica tra sistema capitalista americano e comunismo storico novecentesco. Per dar conto del contesto in cui maturò la “vittoria” degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica è bene ricordare il commento di Oswald Spengler in merito all’ascesa al potere di Hitler; “Non fu vittoria, perché mancarono i nemici”. Effettivamente più di vittoria degli USA sarebbe bene parlare, secondo Preve, di implosione dell’URSS, di autoaffondamento di un impero sepolto sotto la valanga di contraddizioni che vigevano al suo interno. Una tesi senz’altro condivisibile. Il filosofo torinese traccia una bilancio storico dell’Unione Sovietica piuttosto positivo, ma non tanto perché si sia rispecchiato in essa, quanto perché fu l’unico contraltare allo strapotere di quello che Edward Luttwak definisce “turbocapitalismo”. Si trattò comunque di uno stato di belligeranza permanente le cui “eruzioni cutanee” non si verificarono sulla pelle dei due popoli direttamente impegnati in essa, ma per lo più su paesi del secondo e terzo mondo (Corea, Cile, Vietnam, Afghanistan ecc.) alleati ora dell’una ora dell’altra fazione.

La parabola si chiuse, come è noto, nel 1991, con la ristrutturazione economica gorbacioviana meglio nota come “perestroijka”, improntata alla “glasnost” (trasparenza), che assestò il colpo definitivo alle casse sovietiche e innescò un repentino effetto domino di conseguenze sempre più disastrose che culminarono, per l’appunto, con la disgregazione dell’Unione Sovietica è l’instaurazione di un assetto unipolare del mondo, con gli Stati Uniti al comando. In quello specifico frangente storico va collocato, secondo Preve, l’inizio della Quarta Guerra Mondiale, un conflitto quasi esclusivamente combattuto sul terreno della cultura. Autori di puro stampo reazionario colsero l’occasione per proclamare una non meglio precisata “fine della storia” (Francis Fukuyama), che avrebbe sancito il trionfo della democrazia anche negli angoli più remoti del pianeta, mentre altri (Samuel Huntington) preferirono andarci coi piedi di piombo e richiamarsi a un fantomatico “scontro di civiltà” che avrebbe visto la cultura confuciana e quella islamica opporsi frontalmente a quella “occidentale”. All’epoca la Russia era tenuta in pugno dall’ubriacone Boris El’cin che diede il via a una serie di privatizzazioni in ambito economico che rimpinguarono enormemente il portafogli di uno sparuto manipolo di “oligarchi” (Mikhail Khodorkhovskij, Roman Abramovich, Boris Berezovskij ecc.) ben assistiti da governi e poteri forti occidentali, a spese di una popolazione ridotta alla fame. In questa congiuntura si inserì un personaggio di nome Vladimir Putin, cui Preve riconosce enormi meriti, non ultimo dei quali quello di aver riportato la Russia nel novero delle principali potenze mondiali. Il circo mediatico occidentale si è invece scagliato contro Putin e contro tutti gli uomini politici dei paesi più disparati, accomunati dalla volontà di restituire alle proprie patrie un accettabile grado di sovranità. Preve non manca di smascherare l’ipocrita atteggiamento tenuto da quelli che definisce “intellettuali vaselina”, ovvero personaggi appartenenti alla risma sopra descritta, impegnati, con la loro costante opera di mistificazione (anche grazie alla visibilità che il circuito mediatico garantisce loro)  a tempo pieno a inculcare il Verbo del Nuovo Ordine Mondiale nelle menti di milioni di persone. Le stoccate, condite con quell’inconfondibile irriverenza e sarcasmo attraverso cui si snoda scintillante la prosa previana raggiungono talvolta livelli sublimi al riguardo:

Immaginiamoci un greco antico del tempo di Polibio che dicesse: ‘Io non voglio l’impero romano e farei di tutto per impedirlo. Ma i cartaginesi sono forse un’alternativa con i loro tofet in cui sacrificano i primogeniti? Ed è un’alternativa Mitridate? E lo è Antioco? E lo è forse Perseo di Macedonia? E lo è forse Giugurta di Numidia? E sono forse un’alternativa gli iberici, i galli, i germani e i britanni? Ed è forse un’alternativa il regno ellenistico d’Egitto con gli incesti dei sovrani? Eccetera eccetera eccetera’.  Tutti capirebbero che questo fantomatico greco antico non è che un ipocrita, che finge di non volere l’impero romano, ma in realtà è talmente schizzinoso che alla fine lo accetterà come il famoso (e famigerato) male minore. E non solo lo accetterà come il male minore, ma a poco a poco dirà che questo impero è provvidenziale, perché solo un Impero unificato potrà permettere in un secondo tempo alle Moltitudini (cristiane allora, negriane oggi – e se esiste la spengleriana decadenza, come io credo fermamente, essa è quel processo che porta da Gesù di Nazareth a Toni Negri da Padova) di attingere al regno di Dio, regno di Dio che nella sua versione posto moderna è la grammatica della forma di vita del consumo illimitato dell’individuo monetariamente solvente, con i concerti rock che sostituiscono le messe cantate e i centri commerciali che sostituiscono le cattedrali. Ebbene, la figura antropologica prevalente è oggi quella dello Schizzinoso. Certo, gli americani sono odiosi con la loro sindrome imperiale di onnipotenza ed i loro bombardamenti unilaterali contro i quali noi testimoniamo a scadenza annuale con ritualizzate processioni belanti – pecoresche, ma sono ancora più odiosi i talebani che mettono il burqa alle donne, fondamentalisti islamici barbuti, i populisti latinoamericani che perseguitano gli omosessuali, i dittatori baffuti o meno di tipo fascista – comunista (Milosevic, Chavez, Lukashenko, Kim Jong Il, Fidel Castro, Ahmadinejad, Saddam Hussein, Assad ecc.)! Mica per caso vorrete costoro! Abbasso gli USA, ma viva gli americani che almeno sono il male minore”.

Come si vede, ipocrisia e moderazione non trovano quartiere nell’incedere previano. Comunque, tirando un po’ le conclusioni, è possibile affermare che “La Quarta Guerra Mondiale” è un libro partigiano, scritto da un intellettuale che non nasconde il proprio background culturale e che non rinnega la propria giovanile fede comunista, ma che avverte l’urgenza di utilizzare gli strumenti indicati da Marx e da alcuni suoi interpreti (Lenin su tutti), per comprendere la complessa realtà che abbiamo sotto gli occhi. I molti intellettuali appartenenti a quello che Preve definisce “clero” (e che distingue in secolare – i giornalisti – e regolare – i professori universitari) perseverano nel
osservare la realtà con le miopi lenti dell’ideologia, mentre egli preme perché al posto di essi si assuma il metodo marxista di indagine, che si occupa di individuare gli interessi in gioco per poi delineare un quadro effettivo della situazione. Limiti (come ad esempio l’eccessiva esaltazione dell’Unione Sovietica) e “storture” non mancano certo in questo libro, ma molto, anzi moltissimo, va perdonato all’autore perché capace di analizzare e spiegare argomenti capitali sciorinandoli con un prosa divertente ma mai superficiale o ambigua, in cui la chiarezza delle posizioni assunte non lascia adito ad alcun dubbio interpretativo. In sostanza, apprestandoci a concludere, si può a buon titolo convenire che il presente saggio è un monito, finalizzato a mettere il lettore in guardia dall’adagiarsi beatamente – come gli dicono invece di fare i vari Negri, Hardt e Revelli – sugli allori della società dei consumi, e a mettere in luce gli aspetti culturali, economici e persino religiosi dell’”ideocrazia imperiale americana” (titolo omonimo di un altro buon saggio del filosofo torinese), di fronte alla quale occorrerebbe, secondo Preve come secondo chi scrive, alzare poderose barriere difensive. A questo proposito cade l’urgente esaltazione, da parte di Preve, della disciplina geopolitica, e più specificamente della via eurasiatica. Un percorso politico, sociale, economico e culturale atto a ìd integrare in un “unicum” l’intera massa continentale che va dal Portogallo alla Kamchatka, cui affiancare un effettivo e reale sostegno a tutti i leader politici non allineati alle direttive imperiali statunitensi, che si stanno attivando per debellare lo stagnante unipolarsimo americano a beneficio di un policentrismo in grado di restituire un grado accettabile di sovranità che molti paesi non hanno mai visto in passato.

 

 

“La Quarta Guerra Mondiale”,

di Costanzo Preve

Edizioni “All’insegna del veltro”

Pagg. 192, euro 20