La Turchia evita un maggiore coinvolgimento nel conflitto siriano

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Styled_logo[Traduzione di Redazione da: https://www.stratfor.com/analysis/turkey-avoids-deeper-involvement-syrian-conflict – Stratfor]

Sommario

Il 21 febbraio, le forze militari turche sono entrate in Siria per ritirare le guardie distaccate presso la tomba di Suleyman Shah, che la Turchia considera suo territorio sovrano. L’operazione è la prima incursione turca in territorio siriano dall’inizio della guerra civile, ma non è l’inizio di un aperto intervento militare. In realtà, è il contrario. La missione aveva un obiettivo limitato, era temporanea e non ha comportato alcun combattimento. Al contrario, l’operazione è stata esplicitamente progettata per rimuovere un vincolo ed evitare che la Turchia venga risucchiata più addentro al conflitto siriano.

Analisi

La Turchia da tempo considera la tomba di Suleyman Shah come proprio territorio nazionale, anche se si trova entro i confini della Siria, un po’ meno di 30 km (circa 20 miglia) a sud del confine con la Turchia nella valle del fiume Eufrate. Una guardia d’onore di circa 40 truppe turche sorvegliava e proteggeva il sito, ma con l’avvicinarsi della linea del fronte proteggere la tomba era diventato più rischioso. Questa minaccia alla sicurezza è diventata ancora più seria quando lo Stato islamico ha dato il via a un’offensiva nella regione che ha strappato posizioni ai curdi siriani e ha portato all’assedio di Kobani.
Questa offensiva ha spinto i combattenti dello stato islamico in prossimità della tomba minacciando di coinvolgere la Turchia in combattimenti diretti se la tomba fosse finita sotto attacco. Ma la Turchia e lo Stato islamico hanno mantenuto un equilibrio tranquillo nel conflitto in corso. Il gruppo militante si è astenuto dall’attaccare il sito, così come ha per lo più evitato ogni sforzo concertato per attaccare posizioni all’interno del territorio turco. Da parte sua, la Turchia è rimasta sul suo lato del confine, in particolare nei pressi di Kobani, resistendo a pressioni interne e internazionali tese a un suo maggiore coinvolgimento. In sostanza, entrambe le parti hanno mantenuto una situazione di difficile stallo.
La Turchia non ha prestato aiuti militari diretti a Kobani, ma ha consentito a varie forze curde nella regione di passare attraverso il suo territorio. Insieme alla forza aerea della coalizione a guida Usa (che la Turchia ha finora evitato di sostenere in alcun modo diretto, per esempio fornendo basi aeree nella zona), le forze curde non solo hanno rotto l’assedio della città stessa, ma hanno ripreso gran parte del territorio originariamente perso nella regione.

I recenti progressi operativi curdi hanno consentito alla Turchia di aprire un corridoio relativamente sicuro per la tomba di Suleyman Shah evitando di incorrere in seri scontri armati all’interno dei vasti territori occupati dallo Stato Islamico. Questo spiega la tempistica della missione di questo fine settimana per far rientrare le guardie turche che erano rimaste bloccate sul posto oltre il termine del turno loro assegnato, e di trasferire i resti di Suleyman Shah in un luogo vicino al confine turco molto più facile da difendere. La tomba, insieme alla sua guardia d’onore, rappresentava un potenziale pericolo ed essenzialmente un ostaggio della sua stessa geografia. Se la tomba fosse stata saccheggiata o gli uomini della guardia d’onore catturati o massacrati, i politici turchi avrebbero dovuto affrontare un grave contraccolpo interno.

La Turchia avrebbe potuto rafforzare il sito o attaccare preventivamente le posizioni dello Stato Islamico molto tempo fa, nel tentativo di metter in sicurezza la tomba. Invece, ha scelto la strada più lontana dallo scontro diretto, riducendo il rischio continuo di essere risucchiata nel conflitto siriano in maniera più diretta. Mentre il ritiro da una posizione debole che lo Stato Islamico avrebbe potuto conquistare offre alla Turchia una maggiore libertà di intraprendere qualche azione militare sul suo confine meridionale, la natura di questa mossa indica che la Turchia manterrà la sua politica di rimanere fuori dal conflitto siriano.