L’ADDIO AI MONTI DI BERLUSCONI

Il governo ha abrogato la norma che dava il via al progetto dello sviluppo di centrali nucleari sul nostro territorio. La rivoluzione energeticaprogrammata dall’Enel non ci sarà, ed il referendum a questo punto avrà un valore politico ridotto, anche se resta l’importantissimo quesito sul progetto di privatizzazione (assolutamente da evitare) delle reti idriche nazionali. Questo cedimento sul nucleare è il segnale definitivo che il primo biennio del Governo Berlusconi IV, è ufficialmente concluso e decaduto. La crisi in Libia, innescata da un separatismo interno, da mesi abilmente sostenuto da mercenari inglesi, francesi ed egiziani, aveva già messo in luce lo scenario della politica italiana, mostrandoci la realtà nuda e cruda della nostra situazione interna. C’è voluto il primo deciso atto imperialistico dell’amministrazione Obama, per scoprire le carte in tavola e per smascherare gli attori in campo. Il primo dato che raccogliamo è al contempo anche la conferma di una delle tesi portanti di questo blog: la degenerazione della sinistra e la completa riconversione politica delle sue espressioni partitiche e movimentiste, alle ragioni dell’imperialismo e della Nato. Non ci riferiamo soltanto ai partiti, come il PD o l’IdV, sui quali ormai il giudizio era piuttosto scontato da tempo, ma proprio a tutto l’entourage“intellettual-culturale” che muove questa ignobile macchina, ormai capace di procedere soltanto grazie alle massicce dosi del carburante dell’antiberlusconismo. Il secondo dato che conferma le tesi del blog, è quello relativo alla centralità della politica estera nel cuore della polemica nazionale degli ultimi due anni, quale vero nodo di gordio della polemica pro o contro Berlusconi, finalmente svelatasi nelle sue più concrete e strutturali dinamiche politiche, al di là delle escort, al di là dei festini e al di là delle baggianate di sovrastrutturale avanspettacolo, propinate per mesi dai mezzi di comunicazione di massa: dietro questo teatrino, che alla pseudo-politica mescolava il gossip, si celava uno scontro ben più serrato tra i settori tendenzialmente nazional-statali dell’industria strategica italiana (assolutamente trasversali e non riconducibili ad etichette partitiche) e i settori della finanza e dell’economia legati a doppio filo a Washington, schermati attraverso i propri scudieri (giornalisti, politici, opinionisti …). Berlusconi, secondo la vulgata popolare, è un uomo del capitalismoin perfetto stile reaganiano. In fin dei conti il suo passato imprenditoriale è un fatto insindacabile: altro discorso è però inquadrarne l’area di riferimento all’interno di questo variegato panorama del capitale internazionale. Il premier, infatti, potrebbe rappresentare un personaggio fuori dal tempo, cioè una figura simil-schumpeteriana, tipicamente fordista, all’interno di un’epoca, quella post-fordiana, che ne ha sancito la definitiva scomparsa. Non è un caso che in Confindustria, Berlusconi raccolga molti più favori tra la PMI piuttosto che tra i rappresentanti del grande capitale, e le sue acredini con De Benedetti e Montezemolo ne sono una dimostrazione. Come ha ricordato Paolo Barnard in suo recente articolo dal titolo Le bugie di un usciere neo-liberista, Fabio Scacciavillani, giornalista ed economista di matrice friedmaniana, nonché collaboratore de Il Fatto Quotidiano, in una sua intervista al New York Times, ha recentemente accusato Berlusconi di voler “evitare le urgenti riforme strutturali del mondo del lavoro e delle pensioni”, dove per “riforme strutturali” è da intendersi un nuovo “spremiagrumi iper-liberista”.

Datosi alla politica, ne è emerso perciò un presidente del consiglio debole tra i “dominanti” ma forte, nel consenso popolare, tra i “dominati”, e dunque, come si è visto, assolutamente scoperto e indifeso, rispetto ai poteri estranei al suo ambiente politico, continuamente dossierato, costantemente indagato e, addirittura, concretamente avvertitoin occasione dell’episodio della statuetta scagliata in faccia in Piazza Duomo a Milano. In sintesi, Antonio Di Pietro disse che fu Berlusconi ad aver creato il clima politico per reazioni del genere. A buon intenditor poche parole.

L’accordo a tre con Russia e Turchia per il progetto del South Streamera avvenuto pochissimo tempo prima, e si aggiungeva al Trattato di Bengasidel 2008, e all’avvio del Forum del Mediterraneo, un’iniziativa fortemente voluta dal Sottosegretario agli Affari Esteri, Stefania Craxi, per ridare slancio alle vecchie politiche euro-mediterranee del padre Bettino Craxi, e per riproporre le capacità cooperative dell’Italia coi Paesi affacciati sul Mediterraneo. In questi oltre due anni e mezzo di governo, la Farnesina sembra aver vissuto quasi una stagione del doppio binario, in cui il vagoneguidato dalla Craxi non di rado ha viaggiato con direzione ed a velocità molto diverse da quelle del Ministro Franco Frattini. La reazione del Sottosegretario dinnanzi alle prime proteste contro Ben Alì in Tunisia era stata di sdegno e profondamente contrariata. La Tunisia non era infatti soltanto il Paese che quasi quindici anni fa aveva ospitato suo padre, ormai perseguitato in Italia alla stregua di un mostro o di un dittatore, ma anche uno dei più importanti alleati strategici dell’Italia nel Nord Africa, assieme alla Libia e all’Algeria. Quando le proteste si sono riversate ad Algeri, al Cairo, e a tutta la parte araba del Medio Oriente, è apparso subito in tutta la sua evidenza che il gioco era diventato molto più grande di quanto si pensava, e che dietro di esso si stava prefigurando uno scontro tra giganti, tra potenze. La Cina, in particolar modo, sta ormai investendo da almeno undici anni, in un progetto di cooperazione multilaterale che promuove sviluppo e reciproco vantaggio tra Pechino e i suoi partner africani. Il referendum in Sud Sudan e lo scandaloso intervento di Parigi contro il Presidente Gbagbo in Costa d’Avorio hanno perciò completamente sancito una realtà oggettiva: in questa nuova fase imperialista di inizio secolo, l’Africa è ormai entrata a pieno titolo – assieme al Medio Oriente, all’Asia Centrale e alla regione dell’Oceano Indiano – tra gli scenari principali della nuova (e per molti aspetti inedita) Guerra Fredda.

La Craxi oggi consiglia a Berlusconi di andarsene, dicendo chiaramente che “èora di aprire una stagione nuova[…] perché come direbbe mio padre 'non era questa l'Italia che sognavo: derisa all'esterno e miserabile al suo interno'”. Per i tifosi di Travaglio, per gli onanisti di quell’autentico specchietto per allodole chiamato “questione morale”, questa affermazione potrebbe avere del sorprendente, visto che il Cavaliere è sempre stato da loro conside
rato una sorta di “pupillo” di Bettino. In realtà, sul piano della capacità politica e dell’autorevolezza istituzionale, la differenza tra Berlusconi e Craxi è proporzionalmente la stessa che esiste tra un asino e un cavallo di razza, e, per quanto il sottoscritto non abbia personalmente alcuna simpatia politica né per Craxi né per la linea
riformista einterclassistache impresse al PSI negli anni Ottanta, non possiamo non notare questo aspetto. Sono praticamente quasi sicuro che Bettino Craxi non avrebbe mai stracciato in poche ore e su imposizione straniera, un accordo essenziale come il Trattato di amicizia di Bengasi tra Italia e Libia che, non soltanto poneva fine ad un dissidio storico cominciato nel lontano 1912, ma consentiva all’Italia di tornare ad avviare una politica estera di ampio respiro nel Mediterraneo, sia sul piano infrastrutturale sia sul piano energetico, proseguendo lungo la linea cooperativa e contro-imperialista(perché, all’attico pratico, tale era la prassi delle cosiddette royalties) indicata da quel grande uomo di Stato che fu Enrico Mattei.

La Russa e Frattini hanno dimostrato tutta la pochezza e l’ignominia dell’Italia odierna, piegandosi con entusiasmo servile alle direttive neo-coloniali di Washington, Londra e Parigi, e raccogliendo il consenso di larghissima parte della sinistra, pronta ad unirsi al coro del fantomatico “popolo libico” in rivolta contro l’ennesimo “tiranno” delineato dall’unilateralismo propagandistico occidentale. La Germania, che aveva diversi interessi in Libia, si è dimostrata almeno relativamente decorosa, astenendosi dal voto della Risoluzione 1973, presentata dalle tre principali potenze della Nato contro il legittimo governo libico. L’Italia è stata capace di peggio: non avendo diritto di voto (e tanto meno di veto) all’Onu in quella circostanza, ha direttamente concesso l’utilizzo delle basi militari poste sul nostro territorio, inviando anche alcuni caccia italiani sui cieli della Libia.

Le reazioni indignate delle donne del PdL (mere dame da comparsa come la Mussolini) intervistate in merito alle considerazioni di Stefania Craxi, sono l’evidente segno che questo governo (come anche questa opposizione) non esiste, e che esso è composto quasi per intero da personaggi slegati tra loro, i quali, tranne rarissime eccezioni, di politica vera non capiscono un piffero ma tornano buoni solo per qualche rissa televisiva da pollaio negli studi di Vespa o di Santoro. Non è un caso che, proprio a margine della crisi libica, la Craxi se ne sia uscita così. Il riferimento è chiarissimo: la sua tesi per cui Berlusconi debba “uscire di scena nel modo giusto”,e che non possa“essere travolto dal ridicolo” o che  dovrebbe “smetterla di raccontare barzellette oscene”,rimanda a qualcosa di ben più profondo e di ben più grave di una parola fuori posto o di una pur deprecabile vicenda sessuale di dubbio gusto. La realtà è che Berlusconi, dopo le numerose storie che la magistratura e le “veline” sono riuscite a tirare fuori, è totalmente ricattabile dalle stanze dei bottoni di Washington, e che, dunque, non è più in grado di condurre il Paese fuori dalla crisi strutturale del sistema finanziario occidentale, attraverso misure anti-speculative e accordi strategici con Paesi extra-Nato. Stefania Craxi lo sa e cerca di salvare il salvabile proponendo un immediato cambio della guardia in seno a Palazzo Chigi, con un sostituto più affidabile e soprattutto non ricattabile. Nel frattempo l’Italia sta crollando giorno dopo giorno e, con quest’ultima decisione in materia energetica nucleare, il nostro Paese si sta preparando ad un completo suicidio strutturale, rischiando seriamente una catastrofe sociale di proporzioni “greche” entro i prossimi cinque anni.