L’ALIMINESTRONE: SINTOMO DI UNA SUBORDINAZIONE

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Fino a un paio di mesi fa, nell’annoso tormentone relativo alla vendita di Alitalia, gli schieramenti sembravano essere non dico chiaramente definiti, ma abbastanza individuabili. Il centrosinistra – con dietro una parte decisiva (Intesa e la presidenza confindustriale) della GFeID più i sindacati (non quelli principali dei piloti e assistenti di volo) – per la cessione ad AirOne, cioè al pool finanziario che appariva guidato dalla appena nominata Intesa: il tutto in nome di una ritrovata vocazione “patriottica”, persa durante il conflitto interbancario (e non solo tale) del 2005. Il centrodestra sembrava molto più possibilista, mettendo spesso in luce come Air France desse più garanzie quanto a piano industriale e non meramente finanziario. Il Governo, in particolare Prodi – “amico” di Intesa – non era proprio limpido nelle sue intenzioni, ma nell’insieme si poteva dire a favore di quest’ultima.
Negli ultimi tempi, si è verificata una serie di movimenti assai confusi e forse un po’ torbidi. Intanto, il pool finanziario, il vero potenziale acquirente (la “squattrinata” AirOne essendo lo “specchietto per le allodole”), è venuto meglio in evidenza con la presenza esplicita dei colossi americani Goldman Sachs (sempre presente nelle “scorrerie” in Italia) e Morgan Stanley (un po’ provata ultimamente dalle perdite sui crediti subprime), assieme alla giapponese Nomura, “in appoggio” (diciamo così) a Intesa. Il centrosinistra si è disunito, pur se sono rimasti sulle precedenti posizioni i sindacati (e quindi la sinistra “radicale”) nonché membri importanti (anche del Governo) come D’Alema e Bersani, in fondo pure Rutelli. I principali sindacati piloti e assistenti di volo hanno mantenuto le loro posizioni filo-francesi. Incredibilmente, si è detto invece che il ministro dell’economia e soprattutto il premier (l’“amico” di Intesa) fossero per Air France. Il centrodestra, a stragrande maggioranza, è divenuto strenuo difensore di AirOne; non tanto, per la verità, in nome dell’italianità quanto della “nord-italianità”, enfatizzando la critica alla posizione dei francesi che escludono il mantenimento di un secondo hub italiano a Malpensa, pur senza affatto manifestare l’intenzione – a loro invece attribuita, in modo “malandrino”, da Formigoni e Letizia Moratti (che hanno trascinato anche Berlusconi, comunque più tiepidamente schierato) – di voler ridurre tale aeroporto a scalo di importanza quasi secondaria (del resto, paesi ben più rilevanti del nostro, tipo Inghilterra e Francia, hanno un solo hub, mentre ne ha due solo la Germania).
Il “signor ma-anche” (al secolo Veltroni, “capo” del novello Pd) è fautore di una soluzione che accontenti salomonicamente entrambi i contendenti. Tale soluzione non è apparsa gradita a nessuno dei due, ma nulla è cristallino in questa faccenda, per cui starei attento a dare troppo credito alle dichiarazioni ufficiali, quelle rese pubbliche. Strano sembra però l’atteggiamento attribuito ad uno dei principali patrocinanti (finanziari) del (puramente formale) acquirente AirOne: la solita Banca Intesa. La stampa ha accennato ad un dissidio tra presidente e amministratore delegato. Quest’ultimo è stato il più “scatenato” in favore dell’acquisizione di Alitalia, arrivando a dichiarazioni non proprio corrette (del tutto prive di fair play) nei confronti dei concorrenti francesi. Del primo, si sono sparse voci che potesse addirittura essere favorevole ad Air France o comunque appena tepido per la soluzione “italiana” (in realtà, soprattutto della finanza americana). Si è pure detto che Passera – questo strenuo difensore della (finta) italianità nell’operazione Alitalia – avrebbe buone possibilità di essere nominato al vertice di Eni, visto che in primavera viene a scadenza la presidenza di tale ente così come quella della Finmeccanica, e forse di altre.
E’ evidente che su Alitalia vi è chi sta “giocando alle tre carte”. Inutile azzardare pronostici. Potrebbe alla fine prevalere il piano del “ma-anche”; comunque non scommetterei molto su una soluzione come quella “ufficialmente” caldeggiata dal Cda di Alitalia (all’unanimità schierato per la vendita ad Air France; nessuna perplessità al suo interno dopo ore e ore di discussione? Sarei propenso a nutrire dei sospetti). Una serie di posizioni favorevoli all’azienda francese – non ultima quella del premier italiano – sembra fatta apposta per rinfocolare la (finta) italianità, farsi appoggiare perfino da settori importanti (quasi tutti) dell’opposizione e, alla fine, vendere – magari con qualche “offa” marginale ai francesi, che, anch’essi di questi tempi, non sembrano voler dimostrarsi
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troppo ostili agli americani – alla finanza della superpotenza (i giapponesi di Nomura sembrano essere semplice rincalzo di quest’ultima). E non tanto per questioni meramente finanziarie; e non tanto per la semplice questione Alitalia.
Il gioco è in realtà più grosso; ciò spiegherebbe le contorsioni, le manovre ambigue e tentennanti, le oscurità, le stranezze e i cambi di posizioni in corso d’opera che si sono verificati, e via dicendo. L’Alitalia sarebbe insomma un pezzo (non certo il più importante) del complesso puzzle aggrovigliatosi in seguito ai conflitti interni alla GFeID, con alle spalle la finanza della nation prédominante, la quale fa, da una parte, i suoi particolari interessi (mediante tipiche operazioni assai perigliose e che già hanno creato scompiglio in Italia con, ad es., la Parmalat e dintorni) e, dall’altra, funziona da punta di lancia di ambienti politico-strategici statunitensi, ormai giunti ad attribuire nuova rilevanza – dopo l’errore commesso nel 1992-3, per aver creduto nella completa liquidazione dell’“Impero del male”, per cui si è abbattuto il “vecchio regime” italiano mediante “mani pulite” – al nostro paese, sia come “portaerei” lanciata verso il Medioriente, l’Iran, ecc. sia allo scopo di rafforzare la presa sulla UE in vista della crescita delle nuove potenze concorrenti ad est, fra le quali la Russia desta nuovamente molte preoccupazioni, una volta deluse le speranze create dalla svendita dell’Urss da parte di Gorbaciov e Eltsin.
L’Alitalia è solo un passo verso la “madre di tutte le battaglie” (in Italia soltanto, cioè ai fini di una sua sostanziale, pur se celata, subordinazione agli Usa) rappresentata dal controllo delle Generali. Questo scontro – di tipo finanziario, ma con riflessi politici cruciali – verrebbe però accompagnato dal tentativo di mettere sotto tutela, oltre i vari corpi speciali e i mass media, anche i pochi “gioielli” della nostra industria, nei suoi sguarniti settori di punta, non a caso privi dell’alimento che dovrebbe fornire lo Stato, sovvenzionando la ricerca scientifico-tecnica che fa ad essi da supporto. E’ un complessivo disegno di ramificazione della “Piovra” (gli ambienti della GFeID che eventualmente risultassero infine vincenti, oppure in grado di stabilire fra loro una “equa” ripartizione del bottino) nei posti chiave necessari ad esercitare una effettiva dittatura, pur nel rispetto formale di regole all’apparenza democratiche. Certo, i Tribunali amministrativi (Tar e Consiglio di Stato) hanno creato dei problemi – vedi sentenze su Petroni, che si voleva estromettere dalla Rai, e sul generale della Finanza Speciale – ma finora non è seguito nulla di sostanzialmente negativo per la parte politica che, di fatto, governa il paese per conto degli Stati Uniti: Petroni non è finora rientrato in Rai (e comunque non rappresenterebbe un vero ostacolo), Speciale si è dimesso e ha lasciato il posto al comandante della GF già nominato da “chi di dovere”. Si ricordi inoltre che è stato cambiato – anche in tal caso non senza polemiche – il comandante della polizia; che fra poco scade quello dell’Esercito, ecc.
Infine, come già ricordato, ci sono le prossime nomine ai vertici delle aziende ancora in mano “pubblica”, che rappresentano le uniche imprese “d’eccellenza” del nostro paese. Esse sono già parzialmente depotenziate da una politica tutta bancocentrica e di assistenza – con la scusa dell’occupazione – alla Fiat e alle aziende del vecchio metalmeccanico, delle macchine utensili, ecc. Tanto per fare un esempio, ci sono voci non molto rassicuranti in merito a Finmeccanica (dopo il cambio di presidenza), che ha già forti cointeressenze “anglosassoni” al suo interno (sebbene sembrino ora di minoranza e con apparente poca voce in capitolo). Pure per l’Eni è necessario stare all’erta, perché non sarà interesse dei gruppi preminenti (politico-finanziari) statunitensi di lasciarla attuare una politica del tutto indipendente. Del resto, perfino flebili “voci politiche”, che fossero eventualmente interessate a levarsi in favore di una nostra più decisa autonomia, sarebbero attualmente in difficoltà per l’ancor debole presenza di “sponde” internazionali decise a giocare rapidamente un ruolo mondiale di primaria grandezza.
Forse non si è notato abbastanza che l’ultima risoluzione con cui il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha di fatto accettato la presenza aggressiva degli Usa in Afghanistan – con perfino l’invio di altri 30.000 soldati – è stata approvata all’unanimità; a favore non ha quindi votato solo l’infido governo italiano (con la copertura della sinistra “estrema”), ma anche Russia e Cina. Pur se tali paesi si ergeranno a mio avviso, entro il medio periodo, come nuovi poli di conflitto mondiale, sembra
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tuttavia evidente che al momento essi si muovono con cautela senza troppo esporsi; anche perché, nella lotta al “terrorismo” (in specie islamico), hanno i loro conti interni da regolare, e agiscono dunque in modo molto ambiguo e contorto, che a volte rischia di indebolire la loro azione e ritardare la loro crescita in quanto nuove potenze antagoniste degli Stati Uniti. Come ben si vede, ci siamo allontanati di un bel po’ dall’argomento di partenza; e certo l’Alitalia e i suoi problemi diventano un “bruscolino” in confronto ai complessi, e al momento non facilmente e coerentemente decifrabili, giochi politici mondiali. Tuttavia, non manca il legame, per quanto indiretto.
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Non è questa la sede per chiarire meglio le funzioni della finanza, che troppi economicisti (anche, e soprattutto, pseudomarxisti) credono sia il settore predominante di un capitalismo parassitario e di rapina. Chiariremo meglio il problema nel sito. Qui dico solo che la finanza è strumento di strategie politiche: nella fase monocentrica – in cui sostanzialmente ci si trova ancora – si tratta di quelle attuate dalla nazione predominante che controlla i capitalismi avanzati ma subdominanti (la cui finanza è dunque di fatto subordinata alle manovre di quella della nazione in questione). Tuttavia, tale strumento non solo acquista una sua più accentuata “autonomia relativa”, ma vede pure accentuarsi la lotta tra i gruppi (bancari, assicurativi e altri) al suo interno, quando si approssima (in tempi storici, ovviamente) l’avvento della fase policentrica. La prima manifestazione – di superficie, che però sconvolge la vita dei popoli del mondo intero – della perdita di controllo centralizzato da parte della nation prédominante è proprio il succedersi di crisi finanziarie via via più gravi e magari ravvicinate; quella che probabilmente scoppierà verso la metà del 2008 (prevista da molti istituti internazionali, ma che la nostra stampa e la TV nascondono accuratamente, salvo qualche sussulto nei momenti di sua accentuazione) presenta aspetti piuttosto gravi; logicamente, l’onda d’urto prenderà l’avvio dal centro “dell’Impero”.
Il nostro paese appare destinato a subire in pieno quest’onda giacché è il più succube rispetto alle strategie degli USA in perdita progressiva della loro preminenza centrale, malgrado le cautele, cui si è già fatto cenno, dei probabili nuovi poli di conflitto geopolitico, tuttora nel periodo della loro crescita quali potenziali competitori. La presidenza Bush è stata caratterizzata forse dal massimo di aggressività statunitense nel tentativo di recuperare in pieno il predominio monocentrico. Non è però escluso – non sicuro comunque – che la futura presidenza implicherà il sopravvento di nuovi gruppi predominanti con cambio delle strategie mondiali. Queste ultime saranno magari più coperte (dal “guanto di velluto”), ma non abbandoneranno il compito che è quello proprio di ogni centro “dell’Impero”, mai disposto a cedere la propria posizione di vertice volontariamente e con rassegnazione. L’Italia conserverà il suo ruolo di “terra di conquista” (degli Usa) per meglio “orientare” la UE nell’epoca di declino del monocentrismo. Diventa perciò sempre più urgente, per i nostri controllori, che il paese sia governato da chi finge maggiore autonomia onde meglio ingannare la popolazione. I più smaccati filoamericani (e filosionisti, dato che Israele è il “primo sicario” degli Usa) non sono adatti all’uopo; per questo il centrodestra è sempre più scombiccherato, e ogni sua parte cerca di salvarsi, contribuendo così all’affondamento di tale schieramento.
Diversa la situazione del centrosinistra. Esso appoggia robustamente gli Usa; anche in Irak malgrado il ritiro delle truppe italiane, che invece si impegnano sempre più in Afghanistan, mascherando tale impegno con l’aiuto della sinistra “estrema” e grazie alla presenza di pacifisti senza cervello, che non capiscono nulla dei giochi mondiali in corso. Perfino l’intervento in Libano, sotto la facciata dell’Onu, è funzionale al duo Usa-Israele. L’Italia è perciò terreno di scorrerie atte a farle svolgere, con opportune mascherature, una funzione subordinata ai disegni mondiali degli Usa; questo il motivo fondamentale per cui siamo entrati in una fase di stagnazione – non potendo assolutamente privilegiare settori di sviluppo industriale, ma dovendo invece piegarci agli strumentali giochi della finanza del paese predominante – che ha molte probabilità di mutarsi in “aperta rotta” se si preciserà lo “tsunami” finanziario proveniente dal “centro imperiale”. Il centrodestra, come visto, non è affat-
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to una alternativa, poiché tenta disperatamente di non affogare sbandierando un ancora più scoperto e stolto filoamericanismo. Sul piano interno, indubbiamente, potrebbe giocare la carta del pieno appoggio al lavoro autonomo, ormai sempre più bastonato (una discreta parte di esso però si salva e perfino si arricchisce); in realtà, non riesce a giocarla per le sue assai gravi contraddizioni interne (fra l’altro An e Udc debbono difendere l’inefficiente apparato “pubblico”, riserva elettorale per loro come per la sinistra).
Il centrosinistra galleggia e marcisce tra continui annunci di crisi imminente e di rinvii della stessa. La sua ala detta ridicolmente “radicale” (ancora più esilarante la definizione di “cosa rossa”) commette continui “tradimenti” nella politica estera, e deve perciò tentare di strappare qualche concessione per i propri elettori, la parte del lavoro dipendente a minor reddito (con salari che sfiorano ormai pericolosamente il livello dell’indigenza); avvicinandosi la crisi, legata alla dipendenza abnorme nei confronti della finanza americana, non otterrà praticamente nulla. I settori detti “moderati” del centrosinistra (che si proclamano neoliberisti ad oltranza) annunciano sempre sfracelli, ma li debbono rinviare almeno fino a quando non sia pronto un eventuale “nuovo” governo adeguato al tentativo di recuperare una quota del sedicente “ceto medio” (soprattutto il solito lavoro “autonomo”) per porlo sotto l’egemonia della GFeID. Più però si aspetta a metterlo in piedi e più si affonda nel putridume dell’attuale governo; tuttavia il suo sostituto, se verrà, dovrà affrontare l’acme della prossima crisi (almeno per il 2008 e 2009, se tutto va bene; e di ciò v’è molto da dubitare). Ecco perché i gruppi finanziari-industrialdecotti, e i loro scherani di centrosinistra, vorrebbero arrivare almeno fino all’estate occupando tutte le posizioni di potere nell’economia, nella politica, negli strumenti di egemonia ideologica. Già molte le hanno occupate, e nessuno sembra accorgersene (questo la dice lunga sulla completa inettitudine dell’opposizione attuale); comunque, le vogliono occupare proprio tutte. Basterà ad evitare di essere travolti dalla crisi?
Lasciamo aperta la domanda, anche perché debbo concludere. Volevo solo dare una pallida idea di come certi giochi siano in fondo bazzecole nell’ambito di quello ben più grosso, mondiale addirittura. Però essi vanno valutati quale sintomo di una crisi e marcescenza che ormai investe sempre più a fondo il nostro paese; e da cui non usciremo se non vengono affondate le attuali forze politiche e ridotti all’impotenza i loro “padroni”: i gruppi finanziari (sub)dominanti e quelli di industrie vecchie, superate, sempre assistite dal settore “pubblico”, intente cioè a rapinare di fatto l’intera popolazione, una cui parte consistente sgobba per mantenere tutto il resto costituito da mignatte che non si riesce in nessun modo a staccare dal corpo della nazione. La conclusione è quella ben nota per i lettori del blog: far fuori e destra e sinistra. Quest’ultima è comunque oggi la più pericolosa, la più infetta (e infestata da parassiti), e dovrebbe essere dunque asportata “chirurgicamente” in tutta fretta; l’altra è soprattutto inetta, fasulla, incapace di rappresentare una qualsivoglia alternativa. Sarebbe indispensabile eliminarle entrambe prima dello “tsunami” finanziario! Altrimenti
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